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02 Dicembre 2025
Una notte di Europa, il riverbero delle luci sul prato del De Kuip e un cognome che pesa: quando, al minuto 81 di Feyenoord–Celtic terminata 1-3, la quarta ufficiale alza la lavagnetta e al posto di Jordan Lotomba appare il nome di Shaqueel van Persie, il brusio diventa racconto. Non è un cambio qualsiasi: è il battesimo nel calcio dei grandi per un attaccante classe 2006, e soprattutto l’intreccio pubblico di una storia privata. In panchina c’è suo padre, Robin van Persie, oggi alla guida del Feyenoord. Dalla linea laterale, un cenno: dentro. La partita, complicata per i padroni di casa, si fa cronaca; l’esordio del figlio d’arte, simbolo, contesto e messaggio, si fa titolo.
Il minutaggio è ridotto, l’impatto inevitabilmente misurato, ma l’istante è uno spartiacque. Esordire in una notte europea non è dettaglio scenico: è fiducia tecnica e prova di personalità richieste in una situazione di punteggio in salita, contro un avversario che ha saputo ribaltare il match. La cronaca “minuto per minuto” certifica il dato: ingresso di Shaqueel per Lotomba all’81’ con il Feyenoord a caccia dell’1-2, prima della stoccata definitiva del Celtic poco dopo.

La gara prende una piega inattesa dopo il vantaggio iniziale di Ayase Ueda all’11’. Il Celtic rientra in partita al 31’ con Yang Hyun‑jun e sorpassa al 43’ con Reo Hatate, bravo ad approfittare di un errore in costruzione della retroguardia di Rotterdam. Nel finale arriva il 3-1 di Benjamin Nygren: conclusione potente sotto la traversa che chiude i giochi. Per gli scozzesi è una vittoria di peso, la prima esterna in Europa dopo un digiuno lungo oltre quattro anni, e, per di più, in una notte speciale per il tecnico ad interim Martin O’Neill.
Che un padre-allenatore faccia esordire il figlio non è un atto neutro: nel calcio, dove tutto si amplifica, diventa un test di maturità per entrambi. Da un lato c’è la capacità di Robin van Persie di gestire il peso del cognome e il rischio delle letture maliziose; dall’altro la prontezza di Shaqueel nel misurarsi con l’aspettativa. Sui dettagli non c’è discrezionalità: è l'esordio ufficiale nel Feyenoord dei grandi.
Nel vivaio di Rotterdam, Shaqueel si è fatto notare presto: dal celebre gesto tecnico – una “bicicletta” nel Klassieker giovanile contro l’Ajax in Under 15 – alle cifre stagionali nelle Under, fino al dato, riportato dai media italiani, dei 30 gol complessivi nelle giovanili del Feyenoord. Sono numeri da incorniciare con cautela – il calcio giovanile è per definizione disomogeneo – ma rappresentano un segnale della sua vena realizzativa.
Il cognome van Persie suscita riflessi condizionati. Ma la gestione societaria e tecnica del Feyenoord degli ultimi anni è stata improntata a processi e meritocrazia: programmazione del settore giovanile, lavoro a Varkenoord, progressioni dosate verso la prima squadra. L’esordio europeo di Shaqueel si inserisce in questo solco: arriva dopo anni di settore giovanile, dopo la firma del contratto lungo, dopo molte convocazioni, nel solco dell’opportunità generata da un calendario fitto e da un momento complesso di risultati. Che a chiamarlo sia stato il padre aggiunge semmai complessità alla gestione, non scorciatoie. Il Feyenoord arriva alla notte con il Celtic dopo settimane complesse, tra Europa e campionato. La guida di Robin van Persie – subentrato nel 2025 – porta un’idea offensiva riconoscibile ma, come spesso accade nelle transizioni tecniche, chiede tempo e aggiustamenti. Le cronache olandesi hanno dato conto di una squadra che crea ma non sempre converte e che, nella gara in questione, paga dazio a due transizioni negative e a una gestione rischiosa del pallone nella propria metà campo. Lanciare Shaqueel in questo scenario è una scelta che parla al gruppo: se meriti, giochi. Anche quando ti chiami van Persie.
Al di là del risultato, la notte del 27 novembre 2025 consegna al Feyenoord – e alla famiglia van Persie – un’immagine nitida: il figlio che varca la linea laterale su indicazione del padre. Ma la retorica finisce qui. Da domani sarà concorrenza, lavoro, gerarchie da scalare, allenamenti e piccoli ingressi per accumulare minuti e fiducia. Il club gli ha già messo addosso un orizzonte 2028; spetterà a Shaqueel dimostrare di essere non “il figlio di”, ma un attaccante in grado di stare a lungo nella rotazione della prima squadra. La prudenza, in questi casi, è virtù: gli esordi non sono sentenze ma finestre. E questa, con la cornice dell’Europa League, è una finestra che lascia entrare luce e responsabilità. Il ragazzo del 2006 ha rotto il ghiaccio; ora iniziano le verifiche domenicali. Perché questa storia interessa anche oltre Rotterdam? Perché parla di come le accademie moderne preparano talenti a salire di livello con gradualità, pPerché racconta la complessità di una leadership che deve tenere insieme meritocrazia e simboli, pPerché ricorda che il salto tra giovanili e prima squadra non è mai lineare: l’esordio è solo il primo tratto della salita. Se nel calcio l’istante vale spesso più del contesto, qui l’istante – la sostituzione all’81’ – ha il pregio di accendere i fari sul contesto: una squadra che deve ritrovarsi, un ragazzo che inizia a misurarsi con l’alta quota, un allenatore che sceglie con coraggio. Il resto lo dirà il campo, senza sconti e senza scorciatoie.