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02 Dicembre 2025
Phil Foden si riprende la squadra dopo un'annata buia (INSTAGRAM @philfoden)
Il brivido di una rimonta subita e il rischio di una crisi. La partita di Phil Foden contro il Leeds è tutta in quel contrasto: il gol a 59 secondi dall’avvio e la frustata del 90’+1’ che tiene il Manchester City aggrappato alla Premier League che conta, traduce in punti un’idea di calcio e manda un messaggio chiaro: il “vecchio” Foden è tornato ad essere il “vero” Foden. Lo ha detto, con parole sue, anche Pep Guardiola, che lo ha definito un giocatore “speciale” e, soprattutto, lo ha ritrovato al centro del progetto.
Il 3-2 all’Etihad di sabato 29 novembre 2025 è stato tutto fuorché lineare: City avanti 2-0 in 25 minuti (Foden, poi Josko Gvardiol), poi il parziale capovolto dal Leeds nella ripresa con Dominic Calvert-Lewin e Lukas Nmecha sul rigore neutralizzato e poi concesso in ribattuta dopo la parata di Gianluigi Donnarumma. Infine, il sinistro chirurgico di Foden a sancire una vittoria “di nervi”, più che di dominio. Il dato tecnico resta limpido: Foden ha firmato una doppietta, con il gol-partita nel recupero, confermandosi il giocatore a più alta incidenza di qualità negli ultimi 30 metri quando la trama collettiva si sfilaccia.
Eppure, il giorno dopo, Guardiola ha raffreddato ogni tentazione narrativa: “Non si definisce una mentalità con una sola vittoria; dipende se Phil mette la palla in rete”. Un modo per mettere in prospettiva un successo che lo stesso tecnico ha reputato “sporco”, alla vigilia del test di Craven Cottage contro un Fulham in salute. Messaggio doppio: fiducia ritrovata nei singoli, ma squadra da registrare.
Tradotto: l’apporto di Foden è stato tanto tecnico quanto emotivo. Ha tenuto insieme la partita quando il filo stava per spezzarsi.
Nella conferenza pre-Fulham, Guardiola ha alzato l’asticella sul valore di Foden nel presente del City e nel suo futuro: “Spero possa restare qui per tutta la carriera. È un calciatore speciale, un tifoso del City cresciuto nell’Academy”. Non è una frase qualsiasi: è la certificazione che, dentro un organico ricchissimo, il n. 47 non è solo un talento, ma un perno identitario e tattico. Ad oggi conta 3 gol in 11 presenze di campionato – secondo miglior marcatore del City dietro Erling Haaland (14 in 13 gare). Un dato che, nei piani di Pep, dovrà salire come nelle stagioni migliori (fino a quota “alta-teen”).
Il City di Guardiola ha bisogno di connessioni corte per attivare i corridoi esterni e, soprattutto, di una figura che “rompa la linea” tra centrocampo e difesa avversaria. Foden è questo: un acceleratore di ritmo capace di:
Sul piano posizionale, Foden sta vivendo una stagione di “polifunzionalità verticale”: a sinistra per combinare con il terzino che entra dentro al campo, da trequartista “ibrido” nei corridoi tra centrale e mezzala, e (a gara in corso) persino da “falso esterno” di destra per alzare la minaccia sul tiro a giro. Con il rientro graduale di Kevin De Bruyne nei carichi e la crescita di Reijnders, è lecito aspettarsi un City capace di cambiare pelle in corsa, senza sacrificare l’istinto combinativo di Foden. Mentre mezza stampa celebrava la “rinascita” ora che Foden ha ribaltato una gara complicata, Guardiola ha mantenuto il profilo dell’ingegnere: complimenti, ma senza dichiarazioni altisonanti sul famoso “turning point”. Non per svalutare: per proteggere la squadra da picchi emotivi. Il messaggio è semplice: “Il talento c’è, ma deve tradursi in continuità”. È anche così che si costruiscono le stagioni che contano, quelle che tengono il City sul binario della Premier e della Champions.
La presenza di Jeremy Doku cambia le priorità difensive degli avversari: raddoppi sistematici sull’esterno belga, linea che scivola, mezzala che esce. È il contesto ideale per Foden, che ama “apparire” nello spazio che si apre alle spalle del raddoppio, specie quando Bernardo Silva funge da metronomo per il cambio lato. Se Haaland attira il centrale e la copertura diagonale, Foden può arrivare in corsa sul cross arretrato: è una giocata che, statisticamente, il City prova con frequenza quando le difese si schiacciano sull’area piccola. Lo si è visto anche contro il Leeds, quando l’onda finale dei Citizens ha generato la situazione del 3-2.
Per Foden, questa doppietta segna un passaggio identitario. Dopo mesi in cui lo si è percepito più “funzionale” che “decisivo”, il n. 47 si è ripreso il compito di definire le partite. Il suo rapporto con il gol in stagione è in salita, e le parole di Guardiola (“può chiudere in doppia cifra alta”) tracciano una destinazione chiara. Nelle rotazioni offensive del City, specialmente se De Bruyne verrà gestito, Foden sarà l’ago della bilancia tra il possesso fine a sé stesso e l’accelerazione verticale. È il tassello che trasforma il City da bello a letale.
Il calcio di Guardiola vive di dettagli e di interpreti capaci di leggere il copione a tempo di musica. Phil Foden è tornato a suonare la nota che alza il volume. Il City ha vinto una partita imperfetta, ma ha ritrovato un riferimento tecnico, emotivo e simbolico. E, guardando a Fulham-City, l’idea che Foden-Doku-Haaland partano dall’inizio non è solo una previsione di formazione: è la traduzione tattica più logica di quanto visto sabato. Sarà il campo, come sempre, a dare l’ultima parola. Intanto, quella di Foden ha già pesato: due gol, un successo, e la sensazione che il filo della stagione del City sia di nuovo nelle sue mani.