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04 Dicembre 2025
Ottavi di finale di Coppa Italia, Napoli-Cagliari 10-9: Antonio Vergara, fantasista azzurro classe 2003
È lo scatto di un ragazzo con la maglia numero 26, il mancino che frusta l’aria e curva il pallone come fosse un elastico: cross teso, tempo di salto perfetto e colpo di testa di Lorenzo Lucca al minuto 28’: in una magica notte di Coppa Italia, il tabellone luminoso che scorre lento sui volti tesi, e poi una sequenza di rigori che sembra non finire mai: al Diego Armando Maradona il Napoli passa il turno dopo un infinito 10-9 dal dischetto, e nel mezzo c’è un dettaglio che dice molto del presente della squadra di Antonio Conte. La partita l’ha sbloccata quel pallone messo in area con semplicità e coraggio da un ragazzo di 22 anni, nato a Frattaminore, cresciuto nel vivaio azzurro: Antonio Vergara. Prima da titolare, dopo l'esordio europeo dalla panchina nella sfida Champions con il Qarabag, un assist pulito per Lorenzo Lucca, una serata di personalità nella quale il tecnico mantiene la parola data e per molti è proprio lui il migliore in campo. Il contesto, del resto, è spietato: calendario compresso, gestione delle energie, qualche infortunio e l’obbligo di “coinvolgere tutti”. Così, nella mediana, oltre ai riferimenti Stanislav Lobotka e Scott McTominay, spunta la carta Vergara: un jolly tattico che può far comodo subito.
ANTONIO VERGARA, DAL SETTORE GIOVANILE AL CONTRATTO DA PROFESSIONISTA
La storia di Antonio Vergara è tipicamente napoletana: quartieri, campetti e poi l’entrata a Castel Volturno quando aveva appena 11 anni. Centrocampista tecnico e slanciato, 1,82 di altezza, sinistro naturale, molta sensibilità nella conduzione, progressione palla al piede e tempi d’inserimento. Fa tutta la trafila nelle giovanili del Napoli, poi cerca campo vero: Pro Vercelli in Serie C (34 presenze e 3 gol), quindi Reggiana in Serie B per due stagioni, con una prima annata frenata da un serio problema al ginocchio e la seconda in ascesa fra presenze, reti e assist. In estate rientra alla base, impressiona nei ritiri di Dimaro e Castel di Sangro, e Antonio Conte decide di tenerlo anche per volontà dello stesso calciatore che accetta di giocarsi le sue carte da sesto centrocampista in rosa. Il club ne blinda la crescita: rinnovo fino al 30 giugno 2030 con opzione. Debutto in Serie A il 23 agosto 2025 a Sassuolo, poi minuti in Champions e la prima da titolare proprio in Coppa. Sono tappe che segnano.
«Vergara farà parte della rosa del Napoli, è del vivaio e non intacca le liste»: lo dice Conte alla vigilia del campionato. E non è un’etichetta: è una scelta tecnica. L’allenatore lo considera utile perché polivalente: mezzala nel 3-5-2 o nel 3-4-2-1, ma anche incursore tra le linee o esterno alto a destra quando la partita chiede un uomo che sappia cucire e strappare. La definizione più ricorrente è proprio “jolly”.
LA PROMESSA MANTENUTA DI ANTONIO CONTE
Il primo indizio era arrivato presto. Dopo il successo europeo con lo Sporting Lisbona, Conte aveva avvisato: Giuseppe Ambrosino e Antonio Vergara «si allenano bene, fanno miglioramenti importanti: potrebbero avere spazio, non datemi del pazzo se li vedete in campo». Non era un messaggio di circostanza. Era la fotografia di un’idea: con quattro competizioni e una rosa che andava protetta, i ragazzi del vivaio sarebbero stati una risorsa. Il passo successivo lo abbiamo visto: Coppa Italia, otto cambi rispetto al campionato, e i due classe 2003 dentro dal primo minuto.
OUT DE BRUYNE, GILMOUR E ANGUISSA: TOCCA A VERGARA
La risposta sta nel contesto. Il Napoli è in mezzo a una striscia serrata di appuntamenti, in 15 giorni si gioca praticamente ogni tre, e arrivava alla Coppa con la necessità di preservare i titolari per la sfida alla Juventus e per il proseguo di Champions e campionato. Nella mediana, Anguissa ha dovuto fare i conti con un problema al polpaccio; il carico di Lobotka è altissimo; McTominay è divenuto un perno dell’equilibrio e dei gol; Kevin De Bruyne, arrivato per dare qualità tra le linee, out fino a febbraio/marzo; Billy Gilmour appena operato e anche lui fuori per un bel po'. In Coppa Italua, l’idea è stata chiara: coppia centrale Vergara–Elmas, con Lobotka e McTominay risparmiati per i big match e la panchina pronta come rete di sicurezza. Una gestione “scientifica”, più che conservativa.
Il contorno è stato da thriller sportivo: Napoli–Cagliari finisce 1-1 (gol Lucca e risposta Sebastiano Esposito), poi 20 rigori complessivi e pass per i quarti grazie alla parata su Luvumbo e al penalty trasformato da Alessandro Buongiorno. In mezzo, la notizia tecnica: Vergara gioca, regge l’urto e serve la palla che sblocca il match. Per un debuttante dal primo minuto non è poco.
Chi ha lavorato con lui in Serie B lo descrive con tratti piuttosto precisi. L’ex allenatore William Viali sottolinea “qualità tecniche sostenute da quelle fisiche”, la capacità di alzare ritmo e “tempi d’inserimento”, l’uno contro uno e l’efficacia nello stretto. Meglio a destra che a sinistra, perché può rientrare e alzare cross o rifiniture col piede forte. In azzurro, questo si traduce in compiti concreti: quando gioca da mezzala destra, deve cucire il primo giro palla con Lobotka, accompagnare il pressing “a uomo su zona” che Conte chiede sulle prime uscite rivali, e soprattutto occupare l’area sul lato debole quando l’azione si sviluppa a sinistra. Da trequarti, invece, gli si chiede di ricevere “tra le linee” e accendere il corto-lungo con la prima punta. La notte col Cagliari ha offerto l’esempio più semplice: ricezione pulita, testa alta, tempo giusto e assist frontale. Manuale dell’incursore.
La duttilità è il suo vero valore. Con Conte, il Napoli alterna momenti di 3-4-2-1 e fasi in 4-4-2: in non possesso, la mezzala deve scivolare esterno per comporre il blocco a 4; in possesso, deve buttarsi nello spazio interno quando l’esterno porta via l’uomo. È in quei “canali” che Vergara può fare male, perché ha gamba, primo controllo orientato e un minimo di malizia per crearsi la linea di passaggio. Se aggiunge continuità nelle scelte e nell’intensità difensiva, il campo – che in questi giorni si è riaperto – potrebbe rimanere suo più spesso.
IL CENTROCAMPO DEL NAPOLI, TRA GERARCHIE E INFORTUNI
Il Napoli ha costruito il suo equilibrio su due pilastri: Lobotka in regia e McTominay come interno di rottura, fisicità e gol. Lo scozzese – sbarcato in estate dal Manchester United – è diventato rapidamente determinante per sostanza senza palla e attacco dell’area, tanto da essere indicato come uno dei migliori colpi della nuova gestione. Non a caso, Conte ha raccontato la sorpresa (e l’orgoglio) per essere riuscito a portarlo in Serie A e poi a valorizzarlo in un contesto che ne esalta i tempi d’inserimento. In questo quadro, Vergara s’infila come alternativa “tecnica” nei giorni in cui servono rotazioni o un cambio di ritmo negli ultimi 30 metri. Accanto a loro, Elmas rimane il tappabuchi ideale e Anguissa un riferimento quando è al 100%.
È importante capirsi sulle “gerarchie”: non è un sorpasso, è una aggiunta. Conte non si innamora delle figurine; si fida della prestazione. E il ragazzo, alla prima vera verifica, ha dato risposte di presenza mentale e ordine. Da qui a prospettare un minutaggio fisso ce ne passa – prudenza d’obbligo – ma è verosimile che il suo nome torni utile ogni volta che si dovranno imbrigliare i carichi di Lobotka e McTominay, o quando le partite pretenderanno un cambio di passo tra le linee.
LE PAROLE, GLI INDIZI, LE CONFERME
Oltre alle dichiarazioni di Conte, hanno pesato due indizi. Il primo è burocratico: essendo “club trained”, Vergara non occupa spazio in lista e permette a Conte di avere un tassello in più nelle rotazioni, senza costi collaterali. Il secondo è tecnico: nelle amichevoli estive si è visto un ragazzo capace di tenere il ritmo del primo Napoli, quello “verticale” che il tecnico pretende anche a costo di correre qualche rischio. La prudenza rimane: il salto vero si misura sul lungo periodo, contro avversari che ti studiano e ti sfiancano. Ma lo start è nella direzione giusta.
A fare da cornice, anche il punto di vista della famiglia: il papà Giovanni ha raccontato in estate quanto possa giovare a Antonio lavorare accanto a campioni come Kevin De Bruyne, per affinare letture e tempi. È un passaggio non scontato: crescere vicino a chi governa il gioco crea vizi buoni, allena lo sguardo e la scelta.
IL DETTAGLIO TATTICO CHE PUÒ DARGLI ANCORA PIÙ SPAZIO
Nel Napoli che difende in 5 e riparte in 3 (con gli esterni che alzano e abbassano il baricentro, e uno dei due trequartisti che si trasforma in mezzala), il profilo di Vergara è interessante se schierato sul lato di Di Lorenzo: occupa bene il “mezzo spazio” destro, si avvicina a Lobotka per creare la prima uscita, ma soprattutto accompagna la palla verso l’alto mantenendo la larghezza che serve a liberare il corridoio interno per la punta. Non è solo posizionamento: è tempi di corsa e qualità del primo controllo. Il ragazzo li ha, e l’assist a Lucca in Coppa è un esempio da cartolina. Per restare, però, servirà una crescita “Conte-style” nella fase senza palla: smarcamenti preventivi, riaggressione immediata, e più cattiveria nel contrasto verticale. Sono dettagli che trasformano un talento in una costante.