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Serie A

Oltre 700 partite giocate tra i Professionisti e un Europeo vinto, si ritira un grande portiere

L’addio dell'estremo difensore apprezzato dovunque segna la fine di un’epoca del calcio tra club e Nazionale

NAZIONALE PORTOGALLO - RUI PATRICIO

Rui Patricio, portiere classe 1988, ha vinto l'Europeo 2016 con la Nazionale del Portogallo e ha giocato in Italia con Roma e Atalanta dal 2021 al 2025

C’è un momento, nella vita di un portiere, in cui il silenzio conta più del rumore. A Oeiras, nella Città del Calcio della FPF, venerdì alle ore 12 ci sarà una cerimonia sobria, quasi rituale. Nessuna parata sotto i riflettori, solo l’abbraccio del suo mondo. Lì, Rui Patrício, classe 1988, dirà davvero «basta». La notizia è ufficiale: a 37 anni il portiere più presente della storia della Seleção chiude la carriera. Un epilogo che arriva dopo un ultimo, curioso giro di giostra: la parentesi negli Emirati Arabi Uniti con l’Al‑Ain, appena il tempo di 2 partite nel Mondiale per Club 2025, e poi il silenzio di chi ha già deciso. Un addio che non sorprende gli addetti ai lavori, ma che obbliga tutti a voltarsi indietro e misurare l’impronta lasciata da un estremo difensore diventato, nel tempo, una vera e propria istituzione.

UN COMUNICATO, UNA CERIMONIA, UN SIMBOLO
La Federação Portuguesa de Futebol ha fissato i contorni dell’addio: 10 dicembre 2025, l’annuncio; 12 dicembre 2025, l’omaggio pubblico nella casa del calcio portoghese. Motivo di vanto e di misura: 108 presenze in Nazionale maggiore, record assoluto per un portiere lusitano, e una serie di imprese che raccontano la sua longevità ad alto livello. L’ultima apparizione con le Quinas risale a marzo 2024 (amichevole con la Svezia), ma il sigillo che non si cancella è la notte di Saint‑Denis, 10 luglio 2016: Portogallo‑Francia 1‑0, la coppa d’Europa alzata da Cristiano Ronaldo e custodita da chi, tra i pali, ha retto ogni urto. In bacheca con la Nazionale anche la UEFA Nations League 2019, vinta a Porto.

ITALIA NEL DESTINO: ROMA E IL PASSAGGIO A BERGAMO
Se c’è un luogo in cui Rui Patrício ha raccontato una seconda giovinezza, quello è l’Italia. Arrivato alla Roma nell’estate 2021, ha attraversato 3 stagioni intense nella capitale, diventando uno dei pilastri del progetto tecnico di José Mourinho. L’immagine scolpita resta Tirana, 25 maggio 2022: la UEFA Europa Conference League finisce tra le mani giallorosse, primo trofeo europeo della storia della Roma nell’era moderna. Patrício para e guida, sbaglia poco, fa tanto. Il suo rendimento è stato misurato con il metro degli scettici e degli entusiasti, ma è difficile smentire l’essenziale: nei 129 incontri disputati in giallorosso ha garantito continuità, leadership e una presenza che ha fatto scuola nello spogliatoio. La parabola romana si chiude a giugno 2024. L’ex Sporting e Wolverhampton accetta la sfida da vice alla Atalanta: un patto chiaro con Gian Piero Gasperini, nella stagione 2024‑25. A Bergamo scende in campo 6 volte tra Serie A, Coppa Italia e Champions, mettendo esperienza e mestiere a disposizione di un gruppo che corre forte e ruota con idee. Non è il ruolo del protagonista assoluto, ma è quello dell’affidabile, del professionista che alza il livello della concorrenza negli allenamenti e fa comodo quando il calendario si fa severo.

L'ULTIMA TAPPA
Uscito dal contratto con la Dea a giugno 2025, Rui Patrício firma un accordo di breve durata con l’Al‑Ain per partecipare al Mondiale per Club 2025. È una parentesi breve e dal sapore esotico: la squadra degli Emirati si presenta al torneo da campione d’Asia e incrocia corazzate come Juventus e Manchester City. Patrício gioca 2 gare, poi il capitolo si chiude. È qui che il filo della carriera, già sottilissimo, si spezza: nessuna nuova avventura, nessun ritorno a sorpresa, solo la maturità di chi sa riconoscere il proprio tempo. La cifra distintiva di Rui Patrício è la coerenza. In Nazionale ha attraversato una generazione intera di talenti, sopportando la pressione dei grandi tornei e concedendosi raramente serate storte. Dai Mondiali (2014, 2018, 2022) agli Europei (2008, 2012, 2016, 2020, 2024), la sua permanenza tra i migliori è stata un esercizio di rigore: posizionamento, lettura del gioco, tempi d’uscita, parata «di mano forte» sul tiro a incrociare. Non è stato il portiere più spettacolare della sua generazione, ma uno dei più affidabili: quello che ti fa vincere perché quasi mai ti fa perdere. E nel registro dei ricordi ci sono interventi decisivi a Euro 2016, una costanza di rendimento che ha accompagnato l’ultimo grande Portogallo fino all’età dell’oro.

UN PORTIERE MODERNO, SENZA EFFETTI SPECIALI
Se si dovesse spiegare ai giovani portieri cosa studiare in Rui Patrício, la risposta sarebbe questa guardando le sue oltre 700 partite giocate in carriera nel mondo del Professionisti in 3 nazioni diverse (Portogallo, Inghilterra e Italia): i fondamentali. Il suo punto di forza non è mai stato l’estetica, bensì la funzionalità. Piedi sufficienti per reggere il possesso, posizione quasi sempre corretta, riflessi brillanti ma non esibiti, comunicazione misurata con la linea difensiva. Nei contesti tattici più diversi, la difesa posizionale dello Sporting, il ritmo Premier del Wolves, l’ordine strategico della Roma, la tattica aggressiva dell’Atalanta, si è mosso con intelligenza applicata.

L'EPILOGO GIUSTO
A 37 anni, nel momento in cui le strade possibili si moltiplicano e il calcio globale offre contratti lontani e nuovi mercati, Rui Patrício ha scelto il contrario: fermarsi. Nessun tour d’addio, nessuna sovraesposizione. Un comunicato, una cerimonia, una stanza piena di chi sa cosa ha fatto per il calcio portoghese e per le squadre che ha servito. Il resto è storia già scritta: un ragazzo di Leiria che è diventato guardiano di un’epopea. E che, nel salutare, ci ricorda una verità semplice: il calcio passa, la misura resta. Per i lettori italiani, due tasselli aiutano a fissare l’immagine. A Roma ha incarnato la solidità che mancava da tempo, sigillando una coppa europea attesa da una vita. A Bergamo ha mostrato che il ruolo del portiere non si misura solo in minuti giocati, ma anche in ciò che si trasmette: etica, cultura del lavoro, pressione gestita. È per questo che il suo saluto parla anche a noi: perché il suo calcio, per anni, è stato anche casa nostra.

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