Serie C
13 Dicembre 2025
VIRTUS VERONA SERIE C - Gigi Fresco allena il club scaligero ininterrottamente dal 1982
Un lunedì di fine marzo, al Centro Tecnico di Coverciano, tra applausi e sorrisi, un signore con la giacca rossoblù sale sul palco per ricevere un riconoscimento «speciale». Non è un allenatore appena campione, non è il protagonista dell’ultima favola di Coppa. È Luigi «Gigi» Fresco, 64 anni, che quel giorno incassa l’ennesima prova che il suo è un calcio unico: «43 anni» consecutivi alla guida della Virtus Verona e il titolo, certificato, di record mondiale di longevità sulla panchina di un club professionistico. A chi chiede come si fa, lui alza le spalle e sorride: «Il segreto? Essere anche presidente».
UN ROMANZO INIZIATO DA BAMBINO
La storia comincia con un bambino di 8 anni che entra in una piccola società di Borgo Venezia, a Verona. Quella società, ieri Virtus, oggi Virtus Verona, diventerà la sua seconda casa. A 12 anni allena già i più piccoli; a 21 guida la prima squadra; pochi mesi dopo diventa presidente. È l’inizio di un rapporto totalizzante, quasi simbiotico, con un club che all’epoca naviga nella Terza Categoria, il fondo della piramide italiana, e che nel tempo scalerà pianerottolo dopo pianerottolo fino alla Serie C. Un’ascesa che, da sola, varrebbe un film: oltre 550 panchine ufficiali, quasi 16.000 giorni in carica, un percorso sportivo che si confonde con la biografia di un quartiere e della sua gente.
DAL FONDO ALLA TERZA SERIE: UNA PROMOZIONE ALLA VOLTA
C’è una geografia minuta nel percorso della Virtus Verona di Fresco: Terza, Seconda, Prima Categoria, Promozione, Eccellenza, Serie D, e infine il professionismo. La prima finestra tra i pro si apre nel 2013, con l’ammissione alla ex Lega Pro Seconda Divisione dopo i playoff: un salto storico per un club cresciuto a pane, idee e volontariato. La stagione è dura, arriva la retrocessione, ma la Virtus non smette di guardare su. Nel 2018 vince il Girone C di Serie D e rientra in Serie C, dove si è consolidata senza tradire la propria identità. Il campo racconta un metodo: valorizzare chi ha fame, dare strade a chi ne cerca una, rimettere in moto carriere che sembrano finite. Il nome simbolo è Andrea Nalini, cresciuto con Fresco e arrivato fino alla Serie A. E poi c’è Sheikh Sibi, il portiere gambiano che attraversa il Mediterraneo su un barcone nel 2015, trova accoglienza a Verona e una maglia da titolare nella Virtus: oggi è nel giro della sua nazionale. Storie che definiscono una squadra oltre la classifica.
IL DOPPIO RUOLO CHE SFIDA LE REGOLE DEL GIOCO
Nel calcio dei direttori sportivi, dei pre‑contratti e dei budget d’investimento, Fresco è un’eccezione ambulante: allenatore e presidente. Un’anomalia? Sì, ma nel suo caso è un sistema. Il tecnico decide con il dirigente, il dirigente ascolta il tecnico: convergenza rapida, identità stabile, pochi scossoni. In un ambiente dove l’allenatore è spesso un parafulmine usa e getta, alla Virtus il progetto è unico e la rotta non cambia alla prima burrasca. Il paradosso, che Fresco racconta con ironia, è che quella continuità passa per una battuta ricorrente: «Mi sono anche sfiorato l’idea di esonerarmi… ma la domenica dopo abbiamo vinto». Dietro la battuta c’è però una regola diversa: responsabilità totale. Se la scelta è sbagliata, è sbagliata «da dentro». Se è giusta, diventa un mattone nella costruzione. È la dinamica di un club che negli anni ha preferito investire su strutture, settore giovanile, relazioni con il territorio, piuttosto che sul colpo di mercato effimero.
SUPERARE UN'ICONA: IL CONFRONTO CON GUY ROUX
Per misurare la portata del traguardo di Fresco bisogna tirare fuori il metro della storia. Prima di lui l’icona era Guy Roux, simbolo dell’AJ Auxerre: oltre 4 decenni di guida tecnica, tra anni interrotti dal servizio militare e una parentesi dirigenziale, con la vetta del titolo di Ligue 1 del 1996. La traiettoria francese è leggendaria, ma è appunto discontinua in alcuni passaggi; quella di Fresco invece somma stagioni in fila, dalla 1982‑83 sino a oggi. Nella classifica della durata entrano poi figure come Willie Maley al Celtic (prima metà del Novecento) o lo stesso Sir Alex Ferguson al Manchester United: storie titaniche, tuttavia per lo più legate a club d’élite. La peculiarità del caso Virtus è proprio questa: la longevità non come accessorio di una grande potenza, ma come leva per costruire dal basso. L’eccezione non è solo cronologica, è socio‑sportiva.
LA VIRTUS VERONA COME LABORATORIO SOCIALE
La Virtus Verona non è nata «per» fare sociale. Lo è diventata strada facendo, perché la città cambia, perché i bisogni cambiano e perché il calcio, in certi contesti, è il modo più semplice per tenere insieme i pezzi. Negli anni il club di Borgo Venezia ha aperto le porte a richiedenti asilo e rifugiati, collaborando con la Prefettura e con realtà del territorio. L’inserimento di Sibi è solo il caso più noto. Il messaggio, ripetuto senza proclami, è chiaro: antirazzista e antifascista. Identità e accoglienza non come slogan, ma come pratica quotidiana, che passa da un posto in foresteria, da un allenamento in più, da una fiducia accordata. Questa è anche la dote «invisibile» del metodo Fresco: l’idea che il club viene prima dei singoli e che il risultato nasce dall’aver messo le persone nelle condizioni di crescersi addosso una responsabilità. Per questo a Verona, sponda rossoblù, si è costruita una reputazione di squadra‑comunità che travalica la categoria.