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16 Dicembre 2025
“Non mi hanno voluto davvero”: lo sfogo di Bruno Fernandes che chiama in causa la dirigenza dello United (INSTAGRAM @brunofernandes8)
«Mi è sembrato che al club non importasse se restavo o meno». Nel salotto televisivo della rete della Federcalcio portoghese – un contesto che profuma di casa, non di polemica – Bruno Fernandes fa cadere il velo su un’estate di sussurri e trattenute. Conferma i contorni di un’offerta fuori scala arrivata dall’Al‑Hilal: circa £100 milioni allo United e un ingaggio attorno a £700.000 a settimana per lui. E, soprattutto, mette un punto che brucia: «Mi sono sentito ferito». Non fa nomi, parla di “gerarchie”, si riferisce alla “dirigenza”. Eppure, l’eco rimbalza forte fino a Old Trafford.
Il quadro, a distanza di mesi, acquista una nitidezza che allora mancava. Già a inizio giugno 2025, tra Nations League e mercato, il capitano dei Red Devils aveva reso pubblico il corteggiamento saudita e la decisione di restare. Non per mancanza di tentazioni – l’assegno dell’Al‑Hilal era di quelli che cambiano una carriera – ma per una combinazione di fattori: motivazioni sportive («restare al livello più alto»), famiglia, e una richiesta precisa del suo allenatore, Rúben Amorim, insediato a Manchester da pochi mesi. Le cifre sono state confermate da più fonti internazionali e dall’Associated Press: proposta da circa £100 milioni per il cartellino e stipendio nell’ordine di £700.000 settimanali, un totale potenziale da capogiro.
Fernandes ha sempre scandito un concetto chiave: «Se lo United avesse ritenuto fosse arrivato il momento di vendermi, lo avrei accettato». Nel racconto del portoghese, invece, le conversazioni estive lo hanno portato a percepire un’ambiguità: non l’imposizione della cessione, ma la disponibilità a procedere se fosse stato lui ad aprire lo spiraglio. Un non detto che, per chi indossa la fascia, pesa più di una sentenza.
Nel colloquio con Canal 11, Bruno usa un’espressione che fotografa l’irritazione: alla “gerarchia” sarebbe mancato il “coraggio” – parola dura – di prendere una posizione netta. Restare oppure vendere: chiedeva chiarezza. Da qui il senso di ferita. Non indica dirigenti in particolare, ma il riferimento alla “catena di comando” arriva nel pieno della rifondazione targata INEOS, con Sir Jim Ratcliffe azionista e un management strutturato su Omar Berrada (CEO) e Dan Ashworth (football director). È il gruppo chiamato a disegnare lo United del futuro: la fotografia del potere è cambiata tra 2024 e 2025, e non è un dettaglio quando si parla di scelte strategiche e simboli tecnici.
Dal punto di vista formale, poco è cambiato: Bruno Fernandes resta legato allo United fino all’estate 2027 (con opzione per un altro anno), rinnovo firmato nell’agosto 2024. Dunque un leader riconosciuto anche nei documenti, oltre che in campo. Ma il punto non è la carta: è la percezione. Da una parte il club che, ufficialmente, lo considera centrale; dall’altra un capitano che chiede una parola definitiva quando attorno si intrecciano offerte e valutazioni economiche. È qui che lo sfogo in tv trova la sua ragione.
L’arrivo di Rúben Amorim a Old Trafford nel novembre 2024 ha segnato un tornante. Il tecnico portoghese – contratto fino al 2027 – è stato descritto come il primo a convincere davvero Fernandes a restare nel vivo dell’offensiva saudita, chiedendogli di “tenere la rotta” mentre la rosa veniva ricalibrata. Lo stesso Amorim, a un anno dall’insediamento, ha raccontato la propria evoluzione tattica e gestionale nel contesto inglese, segno di un cantiere ancora aperto ma con una guida forte. In questo scenario, la fascia al braccio di Bruno è anche un patto con l’allenatore: la promessa di essere snodo tecnico e culturale dello spogliatoio.
Questi numeri non sono soltanto fattori di mercato: sono una lente per leggere le priorità. Con INEOS al timone sportivo, il club ha dichiarato di voler prendere decisioni “sobrie e sensate” nel medio periodo, delegando le scelte cruciali a un management tecnico‑operativo. Dentro questa cornice, però, la gestione dei simboli – i capitani, le bandiere, i riferimenti per i giovani – non può essere appaltata solo ai fogli Excel. È qui che il concetto chiave diventa “identità”. Il messaggio implicito di Bruno è semplice: le bandiere si proteggono con chiarezza, non con l’ambiguità delle mezze aperture.
Non è la prima volta che Bruno si fa carico del dibattito pubblico. In primavera aveva già risposto, con toni misurati ma fermi, alle parole di Sir Jim Ratcliffe sui giocatori “troppo pagati” o “non abbastanza bravi”: «Non è piacevole ascoltare certe cose, ma il nostro compito è dimostrare sul campo». Una linea coerente con il suo modo di intendere la fascia: il campo come tribunale, il rendimento come confutazione. Sul piano tecnico, il portoghese è rimasto il principale generatore di gioco e di gol/assist della squadra, con contributi decisivi anche nelle notti europee. La sua influenza, combinata con le scelte di Amorim, ha tenuto in equilibrio una squadra in transizione: una base per il futuro, purché la comunicazione interna eviti cortocircuiti come quello raccontato in tv.
Il passaggio che ha colpito l’opinione pubblica non è l’esistenza dell’offerta – nel calcio moderno le proposte saudite sono la norma – ma il messaggio sottotraccia: la sensazione di non essere stato “blindato” verbalmente dal club. In un’epoca in cui gli atleti sono anche asset economici, il valore della parola, del gesto interno, pesa quanto un comunicato. Per un capitano, le mezze frasi diventano crepe. Quando poi la negoziazione include numeri come £100 milioni e £700.000 a settimana, è inevitabile che l’equilibrio tra “valori” e “valutazioni” si faccia instabile.
Dalla riorganizzazione del 2024, l’architettura del club è più definita: Sir Jim Ratcliffe come co‑proprietario e garante politico, Omar Berrada come CEO esecutivo e Dan Ashworth come responsabile della politica sportiva. Lo stesso Ratcliffe, già nell’ottobre 2024, aveva rimarcato che le scelte su allenatore e rosa dovessero passare per la struttura tecnica, non dalla sua scrivania. Un principio che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto stabilizzare i processi. Nella pratica, episodi come quello di Bruno mostrano quanto sia importante che le catene decisionali siano rapide e comunicate con nettezza ai diretti interessati.
Nel primo anno e oltre, Amorim ha adattato idee e principi al ritmo della Premier League. Ha lavorato su varianti di sistema rispetto al suo “canone” con braccetti, ha introdotto correttivi sul possesso e sull’uscita dal basso, e non ha esitato a semplificare dove richiesto dai dati e dall’intensità avversaria.
In tutto questo, il ruolo di Fernandes è rimasto baricentrico: collegare reparti, forzare l’ultimo passaggio, governare le transizioni e i piazzati. La compatibilità tecnico‑caratteriale fra i due è stata, di fatto, il filo che ha tenuto unita la squadra durante i tornanti stagionali. Lo sfogo di Bruno Fernandes non è una frattura definitiva; è un campanello. Dice che, anche nel 2025 del calcio‑industria, esistono ancora parole‑chiave – appartenenza, trasparenza, leadership – che non si comprano. E che un progetto credibile vive di regole chiare: soprattutto quando valgono per tutti.