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Lutto

Ci lascia un vero signore del calcio, promozioni in Serie B e salvezze «impossibili» il suo mondo per oltre 30 anni

Non era un mago, ma uno stratega: il tecnico ha girato tutta l'Italia lasciando segni concreti e storie da tramandare

SAMBENEDETTESE SERIE C - GIORGIO RUMIGNANI

SAMBENEDETTESE SERIE C - Giorgio Rumignani aveva 86 anni e aveva iniziato ad allenare nel 1973 guidando il Lignano tra i Dilettanti

C’erano domeniche in cui il pullman partiva all’alba e la lavagna magnetica viaggiava sulle ginocchia. Sul retro, schemi disegnati a mano, frecce colorate, un appunto cerchiato: «densità e linee di corsa». Chi lo ha vissuto lo ricorda così: un calcio pratico, lucido, che nasceva dalla testa prima che dai piedi. A Giorgio Rumignani, spentosi a Lignano Sabbiadoro a 86 anni nella sua abitazione, non servivano slogan né frasi ad effetto. Gli bastavano una squadra, un’idea e il tempo per trasformare l’una nell’altra. Il resto è rimasto negli annali delle categorie «di mezzo», quelle che lui rese grandi: promozioni, salvezze insperate, identità costruite pezzo dopo pezzo. E un’etichetta, «il mago», cucitagli addosso dagli altri e accettata con il sorriso misurato di chi sa che, dietro l’aura, ci sono ore di campo e di studio. Lo piangono piazze diverse e orgogliose: Piacenza, Andria, Pisa, Ravenna, Monza, Palermo, senza dimenticare Pescara, Sambenedettese, Barletta e molte altre. Perché il filo rosso della sua carriera è uno solo: trasformare le difficoltà in una possibilità concreta. E riuscirci spesso.

LE ORIGINI: UNA MEZZ'ALA MODERNA PRIMA DEL TEMPO
Da calciatore, Rumignani fu una mezzala nell’era in cui la parola non era moda ma mestiere: passo lungo, letture intelligenti, senso dell’equilibrio. Partì dal Portogruaro e si fece strada passando per la Marzotto Valdagno e la Sambenedettese, dove debuttò in Serie B e contribuì a un settimo posto che rimaneva all’epoca un traguardo d’orgoglio per i rossoblù. Poi Cosenza, Siena in Serie C, quindi il ritorno tra i cadetti con il Pisa a metà anni Sessanta, prima del biennio all’Arezzo chiuso con la promozione del 1968-69. Terminò la carriera al Savona, da capitano, condividendo lo spogliatoio con un giovane Marcello Lippi. Già allora il suo calcio era fatto di intelligenza posizionale e responsabilità: qualità che diventarono la sua firma in panchina.

DALLE PRIMA PANCHINE ALLA «SPECIALIZZAZIONE» NELLE PANCHINE «RAPIDE»
Il percorso da allenatore comincia presto e lontano dai riflettori, a partire dal 1973 tra Lignano, Messina, Varese, Mestre e Forlì. La reputazione arriva negli anni Ottanta, quando sposa contesti di provincia ambiziosi, costruendo un’identità con risorse misurate: linee strette, reparti corti, un’idea di partita che allena le distanze prima ancora che i muscoli. È la stagione della maturità metodologica, quella che lo porterà a essere cercato quando le situazioni si fanno complicate: se c’era da ribaltare inerzie negative, da rialzare spogliatoi sfiduciati o da progettare una crescita sostenibile, il suo nome era nei taccuini dei direttori. La mappa delle panchine racconta bene questa vocazione: Teramo, Lucchese, Virtus Francavilla (all’epoca Francavilla), Barletta, Palermo, Piacenza, Sambenedettese, Fidelis Andria, Pisa, Pescara, Ravenna, Monza, Reggiana, Benevento, Arezzo, Imolese, fino alla Sambenedettese e al Treviso negli anni Duemila. Un giro d’Italia tecnico, coerente: contesti diversi, stesso progetto tattico ed educativo.

LE PRIME IMPRESE: PROMOZIONE E COPPA
1) La prima «firma» resta la promozione del Teramo in C1 nella stagione 1985-1986: un salto di categoria costruito su una squadra corta e feroce nelle seconde palle, con un utilizzo chirurgico delle transizioni. L’anno dopo, replica il copione con il Francavilla (oggi Virtus Francavilla): ancora C1 e ancora un gruppo che cresce inseguendo una chiara grammatica di gioco. 2) Nel 1991-1992, con la Sambenedettese, alza la Coppa Italia di Serie C: un trionfo sottovalutato, maturato attraverso gestione delle energie, rotazioni studiate e cura maniacale dei dettagli sulle palle inattive. In un’epoca in cui la coppa era spesso vista come intralcio, lui la trasformò in laboratorio di competitività e in volano psicologico.

SALVEZZA E ALTRI SUCCESSI
1) L’impresa che gli cucirà addosso la fama di «salvatore» arriva nel 1993-94: subentra a stagione in corso al Pescara, in Serie B, e porta i biancazzurri a una salvezza che la città ricorda come miracolosa. In campo, un 4-4-2 flessibile, capace di alzarsi o stringersi a seconda dell’avversario; davanti, l’impatto realizzativo di Andrea Carnevale (arrivato a novembre, 14 gol), valorizzato da un sistema che ne esaltava tempi e attacchi alla profondità. Un caso di studio su come un subentro possa incidere non solo sul morale ma sulla struttura stessa della squadra. 2) Nel 1995-1996 la sua mano dà un’impronta definitiva al Ravenna: eredita la squadra a campionato in corso e la conduce alla promozione in Serie B. Non un dettaglio: i romagnoli avevano iniziato bene, poi si erano inceppati; con Rumignani ritrovano compattezza, gerarchie chiare e una straordinaria resa difensiva nelle gare chiave. Quell’anno si chiude con 68 punti e la festa per il ritorno in cadetteria. La cronaca locale lo ricorda come lo «stratega» subentrato al momento giusto. 3) Nel suo percorso pugliese, oltre alla parentesi Barletta con una salvezza pesante in B nel 1987-1988, resta la stagione 1998-1999 alla Fidelis Andria: subentro a novembre, rimonta quasi epica (ben 8 vittorie in 11 partite tra fine gennaio e aprile), prima del calo finale che vanificò la rincorsa. È il prototipo dell’operazione-Rumignani: ricostruzione mentale, semplificazione dei compiti, sblocco degli attaccanti, competitività immediata.

LE GRANDI PIAZZE DELLA PROVINCIA CHE LO HANNO ADOTTATO
1) A Piacenza arrivò sul finire degli anni Ottanta e poi tornò nel 1989-1990: ereditò una squadra in transizione, la rese più solida e contribuì a gettare le basi di quella cultura del lavoro che avrebbe portato, l’anno successivo e con altri interpreti, alla promozione in B. A Piacenza hanno sempre avuto memoria lunga per chi non promette miracoli ma lascia strumenti: anche questa fu una delle sue eredità. 2) Con Pisa e Monza la relazione fu intensa e tecnica: due piazze esigenti, sensibili al dettaglio, in cui la sua proposta tattica, blocco squadra corto, catene laterali codificate, attenzione maniacale ai tempi di pression, incontrava una tifoseria competente. Furono stagioni da professionista «artigiano», capace di far rendere al massimo risorse finite. 3) A Palermo ebbe due passaggi non semplici, specie nel 1997-1998, quando fu esonerato dopo l’avvio zoppicante in C1. Anche lì, però, rimase la testimonianza di un allenatore che parlava prima alla coscienza professionale dei giocatori e poi alla loro tecnica. Non sempre basta, ma quasi sempre costruisce.

L'UOMO CHE STUDIAVA I DETTAGLI: CALCIO DI IDEE E NON DI SLOGAN
È facile etichettare come «mago» chi vince in contesti complessi. Più difficile è spiegare come. Con Rumignani la chiave era nei dettagli: la posizione del mediano dentro la prima costruzione, la postura del terzino quando la palla usciva sul lato debole, le linee di corsa che diventavano geometrie per abbassare il rischio. Aveva una cultura del lavoro fatta di chiarezza: «meno concetti, più ripetizioni utili». In allenamento chiedeva intensità controllata: non correre di più, correre meglio. Da mezzala, sapeva bene che il centrocampo è un problema di tempi prima che di metri; da allenatore, trasformava quel sapere in una routine: letture, coperture preventive, catene laterali allenate come automatismi. Non c’era retorica motivazionale, c’era metodo. Ed era proprio questo a far scattare la fiducia: il calciatore riconosce chi gli facilita la partita.

L'ULTIMO SALUTO E UN DEBITO DI RICONOSCENZA
La notizia della morte, arrivata nel pomeriggio del 21 dicembre 2025, ha rimbalzato sulle testate nazionali e soprattutto nelle redazioni delle città che con lui hanno vissuto pomeriggi di svolta. È lì che il calcio conserva il suo significato profondo: nella gratitudine per chi ha dato ordine al caos della domenica. Se «mago» significa trasformare limiti in possibilità, allora Giorgio Rumignani lo è stato davvero. Ma chi lo ha conosciuto sa che dietro l’incantesimo c’era solo un’idea chiara, spiegata bene e ripetuta fino a farla diventare collettiva. La sua storia, da mezzala di equilibrio a allenatore di sistema, è una traccia su cui il nostro calcio può ancora camminare. Perché le promozioni del Teramo e del Francavilla, la Coppa Italia di C della Sambenedettese, la salvezza del Pescara e la promozione del Ravenna in B non sono solo righe d’albo d’oro: sono la prova che anche nelle categorie «di mezzo» si può lasciare un segno duraturo, quando si fa funzionare la squadra come un’idea.

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