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Lutto

A 72 anni ci lascia una leggenda del calcio amato da tutti, vinse due Coppe dei Campioni e sconfisse l'Inghilterra a Wembley

Un campione controcorrente e un’eredità che ancora illumina, il «Picasso del calcio» giocò anche 2 Mondiali con la sua Nazionale

NOTTINGHAM FOREST - JOHN ROBERTSON

John Robertson, classe 1953, vinse con il Nottingham Forest le Coppe dei Campioni 1979 e 1980 mentre con la Nazionale della Scozia partecipò ai Mondiali 1978 e 1982

Allo stadio Santiago Bernabéu, in una sera di 28 maggio 1980, il pallone scivolò rasoterra verso il palo lontano. Un tiro pulito, senza effetti speciali, firmato da un’ala che non correva: preferiva avanzare come un pittore davanti alla tela. Quel destro di John Robertson, scozzese di Uddingston, classe 1953, piegò le mani a Rudi Kargus e consegnò al Nottingham Forest la sua seconda Coppa dei Campioni consecutiva. Oggi quel silenzio tagliente prima dell’esplosione di gioia è anche il modo più nitido per ricordarlo: è morto a 72 anni il calciatore che trasformò un club di provincia in un’epopea. Lo ha annunciato il Nottingham Forest, definendolo semplicemente, e forse definitivamente, «il nostro più grande».

UN ADDIO CHE PESA COME LA STORIA
La notizia è arrivata nel pomeriggio di 25 dicembre. In 14 stagioni con il Forest (1970–1983 e 1985–1986), Robertson ha riscritto la grammatica dell’ala sinistra: meno strappi, più controllo; meno frenesia, più lettura. In Nazionale con la Scozia vanta 28 presenze e 8 gol, due Mondiali all’attivo (1978 e 1982), e un rigore che a Wembley nel 1981 gelò l’Inghilterra. Ma fermarsi ai numeri sarebbe riduttivo: Robertson è il gesto che precede l’ovvio, la pausa che crea spazio dove sembrava non essercene.

DALLA PERIFERIA DI GLASGOW AL CENTRO DELL'EUROPA
Cresciuto nei sobborghi di Lanarkshire, arrivò a Nottingham ragazzino. Il suo avvio non fu da prodigio: troppi strappi con i tecnici, un fisico poco scolpito, una carriera che pareva già smarrita. L’innesco della metamorfosi ha due nomi in grassetto nella storia del calcio inglese: Brian Clough e Peter Taylor. Furono loro, dal 1975 in poi, a capovolgere la sua traiettoria. Taylor lo prese di petto: «Guardati allo specchio». Robertson lo raccontò anni dopo, con una sincerità disarmante: «Vivevo la vita del calciatore senza averlo dimostrato». Da quell’urto nacque il calciatore che conosciamo.

1977-1978: LA PROMOZIONE E UN TITOLO IRRIPETIBILE
Clough lo spostò definitivamente a sinistra, gli chiese di scegliere i momenti più che i metri, di farsi regista esterno. Da lì Robertson divenne il metronomo emotivo del Forest: non gridava al pubblico che stava per accadere qualcosa, lo faceva accadere. Non stupisce che Clough lo abbia descritto come «il Picasso del nostro gioco», e che compagni e avversari riconoscessero quell’aura da dominatore silenzioso. La sua impronta è indelebile nella scalata dalla Second Division alla vetta della First Division: promozione nel 1977, titolo inglese nel 1978. Quella cavalcata si allargò in un dato che ancora fa scuola: 42 partite di imbattibilità in campionato, dal 26 novembre 1977 al 9 dicembre 1978. Un filotto da intera stagione, poi superato solo decenni dopo. Robertson, in quel contesto, fu molto più di un esterno: era la bussola.

LE DUE NOTTI CHE HANNO CAMBIATO LA STORIA
1) Monaco, 30 maggio 1979, Olympiastadion: cross sul secondo palo, Trevor Francis in tuffo di testa. Nottingham Forest–Malmö 1–0. È la prima Coppa dei Campioni del club. La traiettoria parte dal sinistro di Robertson, geometria aerea che batte il tempo e la marcatura. 2) Madrid, 28 maggio 1980, Santiago Bernabéu: palla sul destro, finta breve, conclusione chirurgica. Nottingham Forest–Hamburger SV 1–0. È la seconda Coppa: stavolta la firma è sua. Due finali, due gesti diversi, un unico protagonista.

LA PARTITA CHE GLI SCOZZESI NON DIMENTICANO: WEMBLEY 1981
Nel British Home Championship del 23 maggio 1981, Inghilterra–Scozia 0–1. Minuto 64, rigore. Robertson, specialista freddo, spiazza Joe Corrigan sotto gli occhi di 90.000 spettatori. È una delle sue 8 reti in 28 presenze con la Scozia, ed entra nel pantheon perché completa la serata perfetta: la prima «clean sheet» scozzese a Wembley dal 1938. Curiosità: l’inglese subentrato quel giorno fu anche lui parte della storia di Nottingham, Trevor Francis. Il cerchio si chiude.

NUMERI, RECORD E SOSTANZA
La grandezza di Robertson non è solo iconografia. Con il Nottingham Forest ha collezionato, nelle competizioni ufficiali, oltre 500 presenze e quasi 100 gol: i registri storici del club riportano 516 partite e 95 reti, cifre da totem per un’ala. A livello di società è il quinto di sempre per presenze. Molti ricordano anche l’efficienza dal dischetto, con l’etichetta di «rigorista affidabile” e una percentuale altissima; in Nazionale, ad esempio, è perfetto: 5 su 5. Ma il dato che gli corrisponde di più è un altro: la capacità di incidere quando conta, finali, partite a eliminazione, crocevia di campionato.

LE STAGIONI AL FOREST: UN FILO ROSSO LUNGO 14 ANNI
Dal debutto del 10 ottobre 1970 fino all’ultima partita del 15 gennaio 1986, la storia fra Robertson e il Forest ha attraversato due epoche: l’ascesa sotto Clough e Taylor, l’intermezzo a Derby County (1983–1985), quindi il ritorno a casa. Nel mezzo: First Division 1978, League Cup 1978 e 1979, Coppe dei Campioni 1979 e 1980. Un palmarès che ha fatto del City Ground un luogo di pellegrinaggio calcistico, e della figura di Robertson un riferimento per chiunque consideri il football un’arte applicata.

DOPO IL CALCIO: COPPIA FISSA CON MARTIN O'NEILL
Conclusa la carriera di calciatore, Robertson divenne «il braccio destro» di Martin O’Neill. Insieme hanno lavorato a Wycombe, Leicester, Celtic e Aston Villa. A Glasgow, con il Celtic, parteciparono alla rinascita di inizio anni 2000, con scudetti e coppe interne, e una cavalcata fino alla finale di Coppa UEFA 2003. Molti giocatori ricordano l’attenzione quasi artigianale con cui Robertson curava i dettagli delle catene laterali, come se i margini esterni del campo fossero ancora la sua tela preferita.

L'ULTIMA STANDING OVATION
I tributi arrivati in queste ore non sono di circostanza. Dalla Premier League ai vecchi compagni, dalle istituzioni calcistiche scozzesi ai media internazionali, il coro è unanime: John Robertson ha elevato il gioco. Le parole scelte dal Forest, «Il nostro più grande», non sono iperbole da comunicato, ma la formula più onesta per chi ha vissuto quegli anni. La sua eredità resta nei video d’archivio, nelle fotografie sgranate, nelle testimonianze di chi ha avuto il privilegio di marcarlo, negli occhi lucidi di chi lo ha visto in campo: un’ala che preferiva il bisturi al machete. E in quella traiettoria bassa e precisa al 21’ del Bernabéu c’è ancora oggi tutto il senso del suo calcio.

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