Lutto
30 Dicembre 2025
Enrique Collar ha giocato con l'Atletico Madrid dal 1956 al 1969 e ha vinto con la Spagna l'Europeo del 1964
Quando il vecchio Neckarstadion di Stoccarda appare nelle immagini d’archivio, si vede un’ombra velocissima tagliare la sinistra, quasi senza toccare terra: è il passo elastico di Enrique Collar, il giorno in cui l’Atlético de Madrid capisce che può essere anche un club europeo. Il tabellone segna un 3-0 nella ripetizione della finale di Recopa del 5 settembre 1962 e, tra chi alza la coppa, il braccio con la fascia è il suo. Oggi quell’ombra ha smesso di correre: Collar è morto a 91 anni e la famiglia rojiblanca, e non solo, perde una bussola tecnica e morale. A darne l’annuncio è stato il club, con un messaggio asciutto e affettuoso: «La famiglia rojiblanca perde un simbolo…». Non è retorica: pochi calciatori hanno lasciato un’impronta così lunga, così definita.
UN CAPITANO DA RECORD, UN'ICONA CON LA FASCIA
Per quasi un decennio, dalla stagione 1960 alla 1969, la fascia di capitano dell’Atlético è rimasta sul braccio di Enrique Collar. Nessuno nella storia del club ha indossato la fascia per così tanti anni consecutivi: un primato che racconta fiducia, carisma, continuità. In 16 stagioni con i Colchoneros, dal 1953 al 1969, ha totalizzato 470 partite ufficiali e 105 gol, numeri che lo collocano ancora oggi tra i giocatori più presenti in assoluto della società, a braccetto con Antoine Griezmann, e tra i migliori marcatori della casa rojiblanca. Sono cifre che non hanno bisogno di aggettivi, bastano per definire una carriera.
SOPRANNOMI, SIMBOLI E APPARTENENZA
Soprannominato El Niño, appellativo che molti anni dopo sarebbe diventato sinonimo di Fernando Torres, Collar incarna l’idea di identità che a Madrid, sponda rojiblanca, è quasi una religione. Cresciuto tra l’Imperial CF e il Peña Norit, approda giovanissimo nelle giovanili dell’Atlético nel 1949, vince il campionato di Spagna Juniores nel 1952 e firma il primo contratto professionistico il 3 novembre 1952, giorno del suo 18° compleanno. Debutta in prima squadra il 13 settembre 1953 contro l’Espanyol. La cronologia non è un esercizio di memoria: è la mappa di un senso di appartenenza che resisterà per tutta la vita, anche negli anni in cui la malattia proverà a consumarne i ricordi.
L'ALA SINISTRA CHE CAMBIÒ UN'EPOCA
Tra 1955 e 1962, la fascia sinistra del Metropolitano è un laboratorio di meraviglie: da una parte l’intelligenza in corsa di Joaquín Peiró, dall’altra l’eleganza tagliente di Collar. Nasce così l’Ala infernale, un binomio diventato proverbiale nella storia dell’Atlético: Peiró da interno, Collar da esterno, un gioco di sponde e accelerazioni che molti allora considerarono tra i migliori d’Europa. Nel 1960, nella finale di Coppa contro il Real Madrid vinta 3-1, segnano entrambi: apre «El Niño», chiude «Il Galgo del Metropolitano». L’icona non è solo estetica: quell’ala porta trofei, fiducia, e soprattutto un modo diverso di interpretare l’ampiezza.
IL CATALOGO DEI TRIONFI
Il palmarès di Enrique Collar è il riassunto dei primi passi dell’Atleti nel calcio che conta: 1) la Recopa d’Europa 1961-1962, vinta dopo la ripetizione della finale contro la Fiorentina a Stoccarda, con il 3-0 che consegna ai colchoneros il loro primo titolo europeo; 2) la Liga 1965-1966; 3) le tre Coppe nazionali (1960, 1961, 1965). La finale di Recopa è il suo manifesto: 1-1 ad Hampden Park il 10 maggio 1962, poi il capolavoro del 5 settembre 1962 al Neckarstadion (reti di Jones, Mendonça e Peiró). Da capitano, Collar alza il trofeo che certifica l’Atlético tra le grandi. Non è un dettaglio: la memoria europea del club riparte da lì.
LA CARRIERA E L'ULTIMA ANNATA A VALENCIA
La parabola calcistica di Collar è anche una lezione di pazienza. Prima di diventare perno inamovibile, vive due parentesi in prestito: Cádiz (1952-1953) e Real Murcia (prima metà 1954-1955), dove firma 7 gol in 11 partite in Segunda contribuendo al futuro salto di categoria dei pimentoneros. Rientra a Madrid a dicembre 1954 e non si muove più fino al 1969, quando chiude la carriera spagnola con un’ultima stagione al Valencia CF (1969-1970). Si ritira nel 1970, dopo una vita vissuta quasi interamente con le strisce rojiblancas.
COSA RESTA OLTRE I NUMERI
A Madrid, lato Metropolitano, i numeri non sono tutto, ma aiutano. 470 presenze, 105 gol, 10 anni di capitano: coordinate che misurano la durata di un’idea, quella di un club che non rinuncia al talento ma lo vuole assieme alla responsabilità. Che il suo peso simbolico resti attualissimo lo dimostra un gesto recente: nel 2023-2024 il club sceglie Enrique Collar come volto della tessera abbonati, onore riservato alle leggende. Un modo per dire ai più giovani che l’identità non è una parola, è una storia.
LA NAZIONALE: UNA SPAGNA CHE VUOLE CRESCERE
Con la Spagna, Collar totalizza 16 presenze e 4 gol tra 1955 e 1963, partecipa al Mondiale di Cile 1962 e contribuisce al cammino di qualificazione all’Europeo 1964 che la Roja di José Villalonga Llorente vincerà. Non è il protagonista assoluto di quella generazione, ma è un tassello che alza il livello competitivo e porta con sé l’esperienza di un club in ascesa. Il passaporto internazionale, tra Copa de Europa, Recopa e Nazionale, è un tratto importante del suo profilo. Ma la storia di Enrique Collar non si chiude con l’ultima partita. Resta nel club come presenza concreta e discreta: tra 2005 e 2011 presiede la Fundación Atlético de Madrid, promuovendo iniziative sociali, culturali ed educative. È la versione istituzionale dello stesso ragazzo che sul finire degli anni ’40 faceva il pendolare dei sogni tra Peña Norit e il vivaio colchonero. Quel lavoro «dietro le quinte» spiega perché la sua scomparsa sia avvertita al Wanda come un lutto familiare, non come la semplice perdita di un ex grande giocatore.
COSA RESTA DI LUI OGGI
Resta l’immagine di un capitano che non ha mai recitato la parte del protagonista assoluto, e proprio per questo è diventato totemico. Resta il primo grande trofeo europeo dell’Atlético, alzato con naturalezza e senza clamori; restano le finali vinte in faccia al Real Madrid; resta la Liga del 1966; restano le 470 presenze e i 105 gol. Resta, soprattutto, la lezione dell’ala che non aveva bisogno di una sovrastruttura narrativa per far impazzire una partita: bastava un’accelerazione, un controllo con il piede sulla linea della vernice, una corsa con la schiena dritta e il mento alto. Nel calcio di gerarchie fluide e cicli brevissimi, quei 10 anni di fascia pesano come un monumento. Che Enrique Collar resti un riferimento vivo lo dimostrano i gesti recenti: la scelta di farne l’immagine delle tessere 2023-2024, le mostre storiche e i materiali d’archivio con cui l’Atlético ha raccontato, ai suoi soci e ai giovani del museo, il passaggio dal vecchio Metropolitano al Manzanares e poi al nuovo impianto. In questi abita la grandezza di un giocatore che ha insegnato all’Atlético, e a chi ama il gioco, come si diventa grande restando se stessi.