Diego Armando Maradona, rituali nel mondo del calcio (foto wikipedia.org)
Rituali nel mondo del calcio. Episodio 7 - Se fino ad ora tutto può comunque rientrare nella norma, non dimentichiamoci che questo mondo spirituale proprio perché ai confini con la realtà, tende ad oltrepassare molti limiti. Dall'attenzione per i rituali al disturbo ossessivo compulsivo sembra passare un attimo. Diego Armando Maradona “El Pibe de Oro”, ci regala un sacco di rituali a fin di bene per le sorti calcistiche. Uno è l'ingresso in campo sempre saltellando sul suo piede magico, il sinistro infortunato. Un altro passato alla storia era baciare in fronte il suo massaggiatore Salvatore Carmando. Prima di ogni gara poi si recava a bordo campo con tutta la squadra, salutava i tifosi, si faceva fotografare con un membro dello staff tecnico, telefonava alle figlie Dalma e Giannina e si faceva portare una copia del giornale di diversi anni prima. La copia del giornale di diversi anni prima era quella in cui si celebrava il titolo mondiale vinto dalla sua Argentina.
LE FOLLIE DI ALAN ROUGH
Anche se questa serie di azioni può sembrare già complessa, il vero record di rituali e superstizione spetta al portiere scozzese Alan Rough. Ecco elencati in ordine i riti che doveva compiere per poter di entrare in campo: Non radersi prima della gara, non dimenticare l’anello portachiavi a forma di cardo, indossare rigorosamente i calzini bianchi anche se per la squadra era diventato d'obbligo il rosso, mettersi in tasca una scarpetta da calcio in miniatura, portare una piccola maglia a forma di stella, usare sempre il gancio numero 13 negli spogliatoi, indossare la maglia numero 11 sotto la numero 1, far rimbalzare tre volte il pallone nel corridoio che porta al terreno di gioco. Ed ancora: portare in campo una vecchia pallina da tennis, calciare il pallone nella rete vuota, soffiarsi il naso più volte possibile durante la gara, avere sempre sette chewing-gum con se: tre per ogni tempo e uno per il recupero. Alla fine, lo stesso portiere ammise a fine carriera che viveva nel terrore di scordarsi una parte del proprio rito: «Una volta avevo dimenticato di lavare i calzini prima di una partita in Israele. Li ho lavati all’ultimo istante ed indossati. Dagli scarpini mi uscivano bolle di sapone, ma ho giocato una delle mie migliori partite in nazionale. Avrei dovuto farlo diventare parte della routine». Ed aggiunge: «Avevo anche un cappello pieno di portafortuna da mettere dietro alla rete, c'erano dentro: una pallina da tennis, un portachiavi, un paio di biglie, e della bigiotteria. Sì, ero piuttosto superstizioso».
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