Scuola Calcio
30 Gennaio 2023
L’Aldini di ieri, di oggi e di domani batte nel cuore di Samuele Grassi. Classe 1990, un’annata che in via Orsini rappresenta qualcosa di magico e irripetibile: quella degli “invincibili”, i bi-scudettati di Sergio Canevari, una squadra della quale proprio “Sem” faceva parte.
Da lì il passaggio al Legnano e l’esperienza in Berretti; la C lo aspettava ma le problematiche societarie dei lilla lo fecero virare verso la Serie D di Renate. Anche con le Pantere Grassi arriva a un passo dal professionismo, con la sua carriera che prosegue poi tra Pavia, Villanterio, e l’avventura svizzera.
Intanto inizia ad allenare nel CSI, sotto casa, a Novate, e a studiare. La chiamata di Luca Attici chiude il cerchio col passato, segnando un nuovo inizio. «Ho cominciato a lavorare nella Scuola Calcio con i 2011, la mia prima annata. La società era cambiata da quando l’avevo lasciata, c’era bisogno di intraprendere una forte opera di ricostruzione, ed è quello che abbiamo cominciato a fare, e che ora sta iniziando a dare risultati».
Oggi Grassi, oltre che tecnico dei 2012, è responsabile dei Pulcini e della Scuola Calcio dei Falchi. La prima e più importante base del calcio in Aldini. «Scegliamo allenatori che possano insegnare prima di tutto ai bambini la tecnica di base, la fantasia; curiamo da subito l’aspetto motorio più semplice, la coordinazione, l’allenamento di fondamentali come il palleggio, cose che si stavano perdendo sempre di più. Per la tattica e altri principi calcistici ci sarà tempo, il nostro compito è un altro, e il nostro lavoro ci sta portando a ritrovare finalmente credibilità. Cosa che all’Aldini non può mancare. Alla luce degli investimenti che la società sta facendo anche sulle strutture, dagli spogliatoi ai campi, posso dire che inizio a intravedere di nuovo quella società che avevo lasciato».
Il contatto con Samuele Grassi è anche un assist perfetto per tornare a parlare proprio di quella mitica Aldini 90’. Una squadra stellare, i cui protagonisti non hanno tuttavia mantenuto le grandi promesse una volta preso il largo da Quarto Oggiaro. Come mai? «Posso dire, anche sulla base dell’esperienza che ho poi fatto in carriera, che tante volte è importante trovarsi al posto giusto nel momento giusto; ci devono essere tanti meccanismi che si incastrano perfettamente per arrivare a uno stato di grazia come quello in cui eravamo in quegli anni. Eravamo sicuramente ragazzi con del talento, ma la nostra forza arrivava anche dal fatto di essere un gruppo molto unito, che si conosceva bene ed era estremamente affiatato. Però avevamo sedici anni, ci vuole anche tanta testa, e una volta usciti da quella “zona di comfort” sono entrati in gioco altri fattori, altre difficoltà. Nel mio piccolo, però, sono contento del percorso che sono riuscito a fare».