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Riflessioni

C'era una volta il numero 10

Quei giocatori che in questo momento storico mancano, sacrificati sull'altare dei teorici del calcio

C'era una volta il numero 10

Francesco Totti, uno degli emblemi per eccellenza della maglia numero 10

Gianni Brera fu l'inconsapevole artefice di aver fatto diventare una maglia, la Numero 10, un'icona del calcio. La indossava Pelè ai mondiali di Svezia, vinto con il Brasile nel 1958. Come fece? Non fece altro che raccontare con la classe che lo contraddistingueva il profilo tecnico e fisico del giovane brasiliano tanto da permettere anche a chi non l'aveva mai visto giocare, di immaginarlo, di innamorarsi di lui, del suo Numero 10 sulla schiena. Sì, il Numero 10 che dal 1958 è sognato e desiderato da tutti i bambini che iniziano a frequentare qualsiasi campo di calcio anche quello più sperduto. Gianni Brera descrisse così il fenomeno: è alto 1,73, mi pare tracagnotto, è potente, ma agile e sciolto. Ha una faccia nera, un par di cosce ipertrofiche, un tronco nel quale stanno due polmoni e un cuore perfetto. È Pelè. Un mostro di coordinazione, velocità, potenza, ritmo, sincronismo, scioltezza e precisione. Batte di sinistro e di destro sempre mirando. Dribbla con movenze armoniose, sornione, senza sculettare o danzare come altri. Ammansisce la palla, si muove tanto senza sforzo apparente. Incanta. È Pelè.

Questa relazione di Gianni Brera dovrebbe essere un classico da studiare a Coverciano per chi si appresta a conseguire il patentino da Talent Scout. Ma veniamo ad oggi, i Numeri 10 Italiani in attività esistono? Ci sono? Qualcuno saprebbe indicarne uno? Io personalmente no. Con l’espressione che un tempo si sentiva esclamare a bordo campo quando si assisteva alle partite di calcio, quello è un Numero 10, oggi a chi si potrebbe affibiare? Purtroppo, ripeto, purtroppo a nessuno. Che nostalgia dei Numero 10 di regia totale: Giancarlo De Sisti, Giacomo Bulgarelli, Andrea Pirlo (anche se con un altro numero ma Numero 10 per valore) dei trequartisti e/o fantasisti come Gianni Rivera, Sandro Mazzola, Giancarlo Antognoni, Francesco Totti, Roberto Baggio, Alessandro Del Piero.

Questi campioni oggi sarebbero, come allora, idoli per i tifosi, ma, badate bene, un serio problema per i nostri allenatori. Proprio così. La panchina sarebbe spesso per loro, pronti solo ad entrare per recuperare un risultato avverso, oppure a risultato acquisito. Le solite fregnacce, i soliti però, gli equilibri, la fase di non possesso, la poca collaborazione al pressing, difficili da supportare. Insomma, per farla breve, la solita solfa. Si lascerà così che la maglia Numero 10 la indossino immeritatamente i tecnici, i quali prendendo ancora come esempio il Commissario Tecnico della Nazionale Ferruccio Valcareggi (fine anni sessanta inizio anni settanta) che sentenziava: «Rivera e Mazzola non possono coesistere» ideando la più famosa staffetta del calcio italiano. O come fece spesso Luciano Spalletti, attuale Commissario Tecnico, con Francesco Totti comunicando al campione: «Oggi per motivi tattici vieni in panchina». Ripeto, Spalletti a Totti: «Oggi vieni in panchina. Incredibile ma vero».



In conclusione si parla tanto della fine del Numero10, ma è cambiato qualcosa nei metodi di allenamento? Probabilmente no. I risultati si vedono. Eppure basterebbe guardare i grandi campioni che con le loro giocate ci indicano la strada da seguire e le esercitazioni tecniche da fare. Ci fanno capire che per ottenere i loro risultati necessita di mettere al centro di ogni allenamento soltanto il pallone. Proprio così, solo il pallone, tutto con il pallone, dall'inizio alla fine della seduta. Occupare del tempo prezioso ad insegnare strategie tattiche inefficaci, o allenamenti concentrati solo per incrementare la condizione fisica, toglie la possibilità ad ipotetici Numero 10 di sviluppare il proprio talento e di stufarsi talmente tanto da decidere di cambiare sport.

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