Indagine sul bullismo
05 Marzo 2024
Vivere il bullismo è un'esperienza piuttosto devastante, un percorso che segna profondamente non solo chi lo subisce direttamente, vale a dire i ragazzi, ma anche coloro che ne sono testimoni indiretti. È un dolore difficile da condividere, e ancor più duro da scoprire da parte di un genitore.
In questo articolo abbiamo raccolto in forma anonima la testimonianza diretta arrivata da una donna, da una mamma che ha visto il proprio figlio passare un periodo tanto orribile quanto lungo, con il dolore di non sapere - a tutt’oggi - ancora molte cose di quegli anni di scuole medie, ma con il sollievo di vedere ora un ragazzo rigenerato, che si è lasciato alle spalle quei brutti momenti anche anche grazie alla pratica sportiva.
«Da genitore posso dire che non è facile farsi raccontare certe cose, perché in loro subentra anche un sentimento di vergogna, ma ricordo che mi bastava guardare mio figlio all’uscita da scuola per capire che qualcosa non andasse. I tre anni delle Scuole Medie sono stati per lui un vero e proprio incubo. All’epoca era un ragazzino un po’ chiuso, con un sostegno per l’apprendimento, ma veniva preso di mira soprattutto per la sua statura, per il fatto che era più basso. A parole, inizialmente: “Sei un nano da giardino” gli dicevano, ma da lì è cominciata un’escalation che andava a colpirlo nei punti più deboli. Ciò che mi faceva più male era il fatto che lo prendessero in giro su un problema fisico. Se mi fai un commento sui miei pantaloni - solo per fare un esempio - io posso anche decidere di non metterli più. Ma se un ragazzino è più basso degli altri, o se porta l’apparecchio per i denti, lui non può farci nulla. È una cosa crudele, come quando gli dissero: “Tu riuscirai ad avere al tuo fianco soltanto una ragazzina handicappata”.
Ogni giorno andava a scuola, ma non sapevo come sarebbe tornato. Questo finché non è accaduto un episodio gravissimo, del quale sono venuta a sapere quasi per caso. Un giorno all’uscita era particolarmente scuro in volto. Una volta tornati a casa gli ho chiesto se fosse successo qualcosa di brutto, all’inizio non voleva dirlo, ma poi a un certo punto è crollato. A scuola c’era un ragazzo in particolare che gli dava il tormento. Quel giorno mio figlio mi ha detto che gli aveva appiccicato un pezzetto di scotch dietro il collo. Per scherzare, per provare a uscire per un momento dal suo guscio, e provare a prendere il bullo in maniera diversa. Lui per tutta risposta gli ha messo le mani al collo ha iniziato strozzarlo, tanto che stava cambiando colore».
Ne parlavamo proprio la volta scorsa: del fatto che reagire al bullo è importante ma pericoloso (e in questo caso non si può nemmeno parlare di un vero “attacco” da parte della vittima. E parlavamo anche del fatto che chi dovrebbe intervenire e vigilare, spesso invece sorvola. Per non prendersi delle ulteriori gatte da pelare personalmente (decisamente più probabile) oppure perché davvero non dà grande peso all’accaduto. Ma com’è possibile non dare peso a un ragazzino che strozza un compagno di classe.
«Mi sono resa conto che se non trovi gli insegnanti giusti non vieni aiutato. Il ragazzo che ha strozzato mio figlio non è stato sospeso per quel gesto: “signora sono in terza - mi dissero - se lo sospendiamo andrà a finire che dovrà ripetere l’anno”. Così sono andata a parlare direttamente con la preside, ma l’insegnante, che era presente e che ha visto tutto, di fronte a lei ha negato l’accaduto. Alla fine, gli hanno fatto pulire la classe come punizione.
Perché non gli abbiamo fatto cambiare classe, o scuola, durante quegli anni? Ci abbiamo pensato, ma forse noi stessi abbiamo inizialmente sottovalutato il problema. Nei primi anni si trattava perlopiù di prese in giro a parole, e quando la situazione si era fatta ormai insostenibile mancavano ormai due o tre mesi alla fine delle medie. Abbiamo provato a stringere i denti e arrivare in fondo, anche se l’ultimo anno mio figlio ha collezionato un’infinità di assenze per quanto la situazione lo faceva star male.
Abbiamo provato nel frattempo a fargli fare calcio, ma certe dinamiche si ripresentavano anche lì. Così un giorno, visto che in famiglia abbiamo praticato arti marziali, lo abbiamo fatto provare con la boxe. Ci è andato una volta, poi un’altra, poi un’altra ancora, il cambiamento è andato di pari passo con le fine delle scuole medie, e questa cosa lo ha salvato. Oggi ha 16 anni, ed è un ragazzo completamente diverso, che si è sviluppato anche dal punto di vista fisico, e ora ha una forza e una vitalità nuova.
Possiamo dire che quel capitolo triste della sua vita si è concluso, ma io sono sicura di conoscere soltanto una parte di quello che ha dovuto subire in quei tre anni…»