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Campagna anti bullismo

Anche dietro al bullo c'è una situazione di sofferenza: «Infelicità che si nutre dell'infelicità altrui»

Lo psicologo: «Molto può essere fatto per squalificare il fenomeno, ma noi adulti - con le nostre ferite e i nostri dolori - saremo in grado di veicolare questa saggezza?»

Bullismo Psicologo

Nella prima parte della nostra inchiesta sul fenomeno del bullismo abbiamo acceso una luce forte sul tema; nella seconda abbiamo raccolto testimonianze dirette di chi ha vissuto il problema sulla propria pelle; nella terza - e probablmente più rilevante - chiudiamo coinvolgendo sull’argomento un professionista. Alessandro Pedrazzi è nato a Milano, classe 1976. Psicologo, psicoterapeuta, esercita privatamente ed è stato contrattista presso il reparto Stress e Disadattamento lavorativo (Medicina del Lavoro 2) della Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Policlinico di Milano. È stato traduttore per alcuni articoli scientifici di ambito psicologico pubblicati in ”Psicoterapia” (rivista semestrale edita dalla Edizioni QuattroVenti) come su altre testate giornalistiche di divulgazione. È webmaster del sito www.psicologoinrete.com.

«Quando si parla di bullismo giovanile, sovente gli adulti si trovano di fronte ad un bivio nell’intendere i fenomeni che vengono riportati loro dai ragazzi: ciò che questi ultimi combinano fra loro fa parte di un processo tutto sommato naturale tramite il quale essi si misurano e si fortificano rispetto alle sfide adulte, e quindi andrebbero disinnescati certi allarmismi, oppure siamo di fronte ad un serio problema, un problema psicologico e, più estesamente, sociale? È indubbio che i genitori sempre e comunque in ansia per le sorti dei propri figli, nonché sempre in anticipo rispetto alle loro necessità, plasmino figli di una certa fragilità, proprio perché in attesa di costante sostegno e aiuto. Ed è anche vero che determinate dinamiche gruppali un po’ “strong” fra giovani hanno la funzione di stimolare certe funzioni, ad esempio l’importanza dell’assertività, dell’utilità delle regole come strumento per regolare il vivere civile; quindi, anche la capacità dei giovani comprendere, aderire e propagare queste regole in assenza di un adulto che li supervisiona. La volta che i giovani hanno posto l’adulto guida in sé, ovvero ne hanno introiettato la figura, come si dice in termini tecnici, ecco che i giovani diventano adulti. Nondimeno, vi sono forme di interazione fra giovani che sono altamente patologiche e che negano l’idea preconcetta del giovane come strutturalmente candido e incapace di malignità.

Descrivere tutta la casistica del bullismo e, soprattutto, i motivi per i quali una ragazzo, una ragazza, emergono come bulla/o, necessiterebbe di un intero saggio. Diciamo che, di certo, la variabile famiglia d’origine ha un suo peso ben noto. Ma, attenzione, con ciò si intenda sia un esempio familiare platealmente violento, sia una famiglia che vizia in maniera smodata il giovane non insegnando l’importanza dei “No”. E non dimentichiamo anche le famiglie nelle quali, ridendo e scherzando, il giovane viene sempre svilito in qualche modo, diretto o subdolo. Il risultato è spesso, per il giovane, una costruzione mentale della realtà come instabile, implicitamente pericolosa, nella quale è bene imparare a vincere e prevaricare, appoggiandosi a razionalizzazioni quali quelle che vogliono il mondo diviso fra vincenti e perdenti, e/o il fatto che i deboli, in fondo, si meritano le sfortune che capitano loro in quanto non abbastanza intelligenti o “forti” (si pensi alle comuni riflessioni di noi adulti sul caso Wanna Marchi e sui truffati!).

NESSUN CATTIVO È FELICE

L’analisi del dottor Pedrazzi si estende dunque non soltanto all’attenzione e alla “cura” da profondere nei confronti del soggetto bullizzato (che rappresenta la parte più evidente del problema) ma offre una chiave interpretativa più profonda, che vede anche nel “carnefice”, in colui che compie le prepotenze, una vittima, e in senso generale qualcuno che ha bisogno di aiuto e di ascolto.

«La realtà dei fatti è che, come insegnò il poeta latino Giovenale, “Nemo Malus Felix”, nessuna persona cattiva è felice. Quindi, il dramma del bullismo è duplice: il dramma dei ragazzi vittimizzati, e quello dei bulli, tali perché, a propria volta, in qualche fase della loro vita, vittimizzati dal pessimo esempio o dalla pessima lezione impartita da qualche adulto. E tutti quanti ancora vittimizzati (benché i secondi pensino proprio l’opposto!) quando gli adulti non agiscono per limitare il sopruso. E ricordo, per (ri)dare la misura del disagio, che si tratta sempre della pessima impresa di un giovane che costruisce una miserabile self-confidence rifacendosi sui deboli, una sicurezza in sé stesso che mai sarà davvero sicura proprio perché costruita dal lato sbagliato».

Cosa si può fare dunque nel concreto? E a chi tocca farlo? Può l’attività sportiva - com’è stato per la storia che abbiamo raccontato nella puntata precedente - essere una forma di naturale antidoto al bullismo?

«Lo sport non è l’unico strumento che possa opporsi ad un fenomeno che nasce, perlopiù, in seno alla più fondamentale nucleo della società, la famiglia. Nondimeno, lo sport è uno strumento di grandissimo valore perché si compone di diverse variabili utili a formare il carattere, e, in questo caso, in senso positivo: lo spirito di gruppo (anche per quegli sport che non si fanno in gruppo vi è uno spirito di comunità), le regole che non si possono transigere, le conseguenze negative per chi non si attiene alle regole comuni, l’importanza della cura del corpo e della salute, gioire nelle vittorie ma apprendere a non abbattersi completamente per una sconfitta, ed altri vantaggi che voi del mondo dello sport conoscete meglio di me.
Ad ogni modo, seppure possa essere impossibile debellare del tutto il bullismo giovanile (così come il mobbing lavorativo che ne è un riflesso nel mondo adulto), molto può essere fatto per marginalizzare e squalificare il fenomeno, non solo aiutando le vittime dirette, ma sforzandosi di veicolare il messaggio nei giovani che hanno agito come bulli che nel loro comportamento non solo non vi è nulla di onorevole, ma vi è del profondo disonore. E, al di sotto di questo disonore e di una fittizia sicurezza, un qualche tipo di infelicità che si nutre dell’infelicità altrui. Ma noi adulti, con le nostre ferite e i nostri dolori, saremo in grado di veicolare questa saggezza?»

Una questione che raccoglie il senso più profondo - a nostro avviso - di questa piccola campagna che abbiamo tenuto a portare avanti insieme alle nostre società e ai nostri ragazzi.

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