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Quanto devo pagare il biglietto per vedere mio figlio giocare? Uno sguardo su Milano

Gli ingressi servono alle società per mantenersi, ma c'è bisogno di trovare regole condivise in un panorama ad oggi disomogeneo

Quanto devo pagare il biglietto per vedere mio figlio giocare? Uno sguardo su Milano

Il costo dei biglietti è un problema più radicato di quanto si immagini. Non solo in Serie A, dove ormai per portare i figli allo stadio si arrivano a spendere cifre davvero importanti. Ma in tutte le categorie: anche e soprattutto nella Scuola Calcio, dove si fanno - e si pensano - cose molto diverse. C'è chi fa entrare gratis, c'è chi fa pagare meno rispetto a quanto avviene nell'agonistica, c'è chi fa pagare uguale. D'altronde, si entra sempre nello stesso centro sportivo, si usufruisce delle stesse strutture e degli stessi servizi. Ma nonostante ciò, non tutti sono d'accordo.

BIGLIETTI (E REGOLE) NECESSARI

Le questioni che entrano in ballo sono disparate: da un lato la preagonistica accoglie sugli spalti i genitori, magari i fratelli, i nonni; cinque euro a persona, sono venticinque euro per una partita di esordienti, magari di pulcini. O, come ci era stato segnalato tempo fa, per i tornei dei più piccoli. Sulla mail si leggeva «in occasione del torneo “Primi Passi” per l’annata 2019 (parliamo quindi di bambini di 6 anni), mi sono trovato a pagare 6 euro di ingresso. Ora, considerando che una partita di Promozione costa 10 euro, vi sembra proporzionato far pagare una cifra simile per assistere a partite di bambini così piccoli?» E, in effetti, la domanda è più che lecita. Solamente quattro euro in più, per andare però a vedere una Prima Squadra, che gioca in uno dei campionati di cartello della Regione, è poco? Così, a primo impatto, sicuramente. Anche perché, come ci sottolinea anche il nostro lettore, «I genitori, ovviamente, sono obbligati ad accompagnare i propri figli e di conseguenza anche a pagare l’ingresso». Quindi dodici euro, se rimaniamo su questo caso, sono in qualche modo "obbligatori". Una cifra che, se moltiplicata anche solo per le partite del girone d'andata, fa 108. Escludendo i tornei, ma anche qualsiasi spesa "accessoria" che le famiglie sostengono per lo Sport: l'attrezzatura, gli spostamenti, le quote d'iscrizione. Insomma, il costo non è indifferente e, in linea generale, "dove si può tagliare, si taglia". Ma per le società è possibile? La risposta è "dipende", ma tendenzialmente no.

Come racconta Giancarlo Capriglia, direttore sportivo della Macallesi «Le società fanno sempre più fatica ad autosostenersi e gli ingressi rappresentano una quota di bilancio importante. Oltre a loro, c'è poco altro: ci sono le iscrizioni, il bar - quando è di proprietà della squadra - gli sponsor e, per chi li ha, i campi da affittare. Noi ci troviamo costretti a chiedere, dai pulcini in su, un contributo. Però capisco che ci si lamenti dei sei euro: non li condanno, ma trovo che si possa pensare a una soluzione che coinvolga le famiglie, che spieghi loro a cosa servono quei soldi; raccontare che "per il club quella quota è fondamentale", senza però voler esagerare». La partita si gioca un po' sul cercare di far capire agli spettatori che quell'entrata è decisiva, cercando però di farli sentire accolti, ben voluti.

«Senza aiuti esterni è chiaro che si faccia fatica» commenta Fausto Pellegrini, figura centrale degli ambienti Zibido. «Però vogliamo che si cerchi sempre di venire incontro a tutti: credo che molto dipenda dalla manifestazione, ma anche dalla categoria. Io proporrei un sistema a fasce: fino ai pulcini - come già facciamo qui da noi - non fai pagare e poi il biglietto cambia a seconda che si tratti di un match di esordienti, di agonistica provinciale o regionale». In ogni caso, c'è bisogno di cambiare qualcosa: questo limbo non va bene. «Io avevo anche pensato alla possibilità di offrire qualcosa: una bottiglia d'acqua, anche solo un caffè. Così cerchiamo di far capire che quei soldi ci servono necessariamente, ma che noi siamo contenti di averli qui: che le strutture e il personale devono essere pagati, ma che vogliamo accogliere chi ci viene a trovare. Però ci vogliono delle regole: scritte o non scritte, serve in qualche modo trovare una normalità. Perché così è difficile: se in ogni campo si fa una cosa diversa, diventa complicato per tutti. Per chi ha una quota d'ingresso, che deve giustificarla ai propri "ospiti", per chi invece non ce l'ha e rischia di far sentire "in difetto" gli altri».

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