Tornei
28 Novembre 2025
Nel mondo del calcio dilettantistico, dove entusiasmo, volontariato e passione spesso valgono più dell’inchiostro sui regolamenti, capita che qualche ingranaggio si inceppi. È successo anche stavolta: una serie di tornei giovanili organizzati senza le necessarie autorizzazioni federali, una prassi che non dovrebbe verificarsi ma che, nella concreta realtà delle società, nasce più da leggerezza che da volontà di eludere le regole. Che occorra maggiore attenzione è fuori discussione.
Meno scontata, invece, è la reazione con cui qualcuno ha deciso di agitare il cartellino rosso. Perché tutta questa vicenda nasce da una segnalazione formale, precisa, minuziosa al punto da includere post Facebook e locandine: quella del sig. Mario Morella, che ha indirizzato agli organi federali una denuncia articolata sulle attività di Frog Milano. Una segnalazione perfettamente legittima, per carità. Ma il modo, il tono, la meticolosa ricostruzione di ogni episodio lasciano trapelare qualcosa di più di un semplice “richiamo al rispetto delle regole”.
È qui che entra in scena il nuovo protagonista di questa storia: il nuovo sceriffo in città. Non nominato tale, non investito da alcun potere istituzionale, ma determinato a pattugliare il territorio come se da quella vigilanza dipendesse l’ordine pubblico dell’intero calcio giovanile lombardo.
Eppure, mentre lo sceriffo batte i pugni sulla scrivania, il resto della comunità sportiva vive una realtà più sfumata. I presidenti ascoltati dalla Procura Federale, come emerge dal documento ufficiale, hanno quasi tutti ammesso la partecipazione ai tornei, spesso fidandosi dell’organizzatore e dando per scontato che le autorizzazioni ci fossero. È un errore? Sì. È un sistema da raddrizzare? Assolutamente. Ma trasformare ogni svista in un caso giudiziario, ogni locandina in un indizio e ogni test match in una violazione da Far West rischia di fare più danni che bene.
Il punto, infatti, non è difendere l’irregolarità. Il punto è evitare che la caccia al colpevole sostituisca la responsabilità condivisa. Qualunque società sportiva deve preoccuparsi di verificare autorizzazioni e procedure; serve maggiore attenzione, più consapevolezza e, forse, anche un sistema federale più semplice e immediato. Ma non serve – almeno non sempre – la pistola dello sceriffo che sventola PEC come fossero distintivi di latta.
La vera domanda è: cosa vogliamo costruire? Un ambiente dove le società collaborano, imparano dagli errori e migliorano? O un contesto dove ogni passo falso diventa un’occasione per puntare il dito, magari con un certo gusto personale nel farlo?
Il calcio giovanile dovrebbe essere territorio di crescita, non di inquisizioni. Le regole vanno rispettate, certo, ma applicate con proporzione e accompagnate da un dialogo costruttivo. Perché se da una parte è giusto pretendere che gli organizzatori di tornei seguano le procedure previste, dall’altra è altrettanto importante che chi vigila lo faccia con spirito di servizio, non di protagonismo.
Insomma: stiamo più attenti, sì. Organizziamoci meglio, senza dubbio. Ma muoviamoci anche con cautela, evitando che la figura del “controllore” finisca per oscurare il buon senso e la collaborazione, ingredienti indispensabili per il nostro sport di base.
Il calcio dei ragazzi non ha bisogno di sceriffi: ha bisogno di comunità. E di adulti che ricordino che, prima di tutto, è un gioco.