Seconda Categoria
22 Aprile 2022
Roberto Chiavegati, l'allenatore della Nuova Usmate
Il colpaccio di Villasanta fa sì che Roberto Chiavegati si proponga come uno degli uomini del momento del Girone V: prima che l'esperto allenatore commenti la sterzata data a un sodalizio che ora si gioca la salvezza diretta, cediamo la parola al ds della Nuova Usmate Carlo Santini: «Dopo cinque sconfitte di fila cercavamo una scossa, sapendo che non sempre porta a risultati: Roberto ha una storia che è una garanzia, ma soprattutto è un uomo di spessore; lo comprova com'è entrato nello spogliatoio, con decisione pari a rispetto. Iniziamo un percorso: il gruppo ha valore e ha ritrovato autostima. Priorità alla salvezza, ma alla Nuova Usmate cerchiamo, a partire dalle Giovanili, qualità e continuità tecnica: mister Magni è rimasto 5 anni. Mercoledì hanno giocato 5 Juniores, io stesso esordii alla DiPo con Roberto».
Come nasce la tua passione per il calcio, Roberto?
«Il papà di un compagno nelle elementari allenava a Biassono: ho iniziato lì. Ho poi militato 8 anni nella Pro Sesto che viveva gli anni d'oro: amavo Cruijff, ero un tornante destro veloce, non a caso raggiunsi le finali nazionali studentesche sui 100 metri. Mi feci le ossa a Vedano in Prima e poi a Bovisio Masciago in Promozione: purtroppo mi ruppi i legamenti del ginocchio e il presidente Piero Nardi mi propose un lavoro come disegnatore, essendo perito industriale».
Tornasti a giocare?
«Sì, per recuperare la condizione un collega mi indirizzò alla Trieste Calcio di Limbiate e iniziai ad allenare. L'anno dopo mi chiamò la Giovanile Senago (Juniores Provinciale), era l'inizio degli Anni 90. E qua ho un aneddoto: preparai per un anno i ragazzi al quadrangolare di prestigio con Monza, Novara e Pro Sesto, ma la società voleva poi testare nuove leve. Mi opposi a questa scelta e schierai solo i miei ragazzi: 30 anni dopo un fiorista milanese mi riconobbe ricordandosi l'episodio».
Raccontaci qualche tappa della tua carriera.
«Corso FIGC con l'Aurora Desio (Allievi Regionali e secondo in Prima Squadra), poi Cernusco, Brugherio, Seregno, Bellusco, Biassono, dove, dopo aver invertito la rotta degli Allievi (14 vittorie e 1 pari dopo che avevano raggranellato 1 punto in 13 partite), il presidente De Capitani mi passò in Prima Squadra. Poi alla Juve Cusano (Giovanissimi Regionali, ma coordinavo anche l'attività agonistica), dove conobbi il Trap, e nel 2002 torno a Biassono in Seconda Categoria. Dopo l'avvio claudicante viaggiammo a mille e vincemmo il campionato. Da lì in poi un decennio tra Lissone, Real Besana, DiPo, La Dominante e Cavenago».
Un'avventura bellissima è stata con la Campagnola Don Bosco.
«Giunse la chiamata dei mitici Severino e Tino e nel '70 dalla fondazione della società la porto subito in Prima Categoria: era la prima volta nella loro storia. Veniamo ripescati dopo aver eliminato la Cosov ai playoff e perso la finale regionale. Un ambiente familiare, al punto tale che al terzo anno rimisi il mandato, in accordo col presidente, pur di provare a tenere la categoria».
Hai un modello in panchina?
«Mi hanno insegnato tanto mister Lodrini e Mariottini alla Pro Sesto: ho avuto Veleno Lorenzi e Gigi Balestra, collaboratore poi di Capello. Trapattoni è l'icona: abitava vicino al campo e si faceva qualche sgambata coi Giovanissimi, informandosi su come gestivo il gruppo».
Cosa chiedi a una tua squadra?
«Serietà, attenzione a ciò che si fa, determinazione e rispetto: verso arbitro, compagni e avversari».
Descrivi con un aggettivo le tre gare con la Nuova Usmate.
«Il debutto: emozionante. Ritornare a casa contro la Campagnola, come una sceneggiatura! Il ko contro l'Ausonia: utile. Gioco alla pari e buona mentalità, nonostante le assenze. Il successo sulla Cosov: convincente. C'era la determinazione giusta. Non ho un modulo fisso e gli schemi li creano i giocatori coi loro movimenti. Decido sempre in base al materiale umano. Qui ho visto che potevamo migliorare condizione fisica e convinzione mentale. In generale credo l'allenatore non abbia gran meriti: motiva e cerca le soluzioni migliori, ma più del suo lavoro conta la volontà dei giocatori. Il discorso sarebbe lungo».
A te la parola.
«Il calcio vero è quello dei dilettanti, ma se vuole scimmiottare il professionismo non si cresce su un piano sportivo. Il calcio è sano divertimento: è bello confrontarsi e condividere esperienze con i ragazzi, ma adesso si tende a passare meno tempo assieme. Io alleno per loro e col tempo ho smussato il mio carattere, la mia vittoria più bella è che centinaia di loro si ricordano di me nelle ricorrenze o quando mi incontrano».
Chi è Roberto?
«Un vecchio ragazzo che sbaglia tanto probabilmente, ma che ha il dono dell'autocritica. L'emozione irripetibile è stata durante la partita La Dominante-Campagnola Don Bosco del 2017, quando mio figlio Luca ha debuttato in Prima Categoria contro di me».