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Il pungiglione

Siamo nell'era del Supercatenaccio, il libero di una volta oggi è il portiere

Gli allenatori più all'avanguardia in realtà mascherano con la costruzione dal basso la paura atavica di subire gol

Siamo nell'era del Supercatenaccio, il libero di una volta oggi è il portiere

CATENACCIARI • Gipo Viani, Helenio Herrera e Nereo Rocco: tre grandi espressioni della tattica italica per eccellenza

Numerosi allenatori professionisti non lo dicono, forse per paura di essere accostati a tecnici del passato, così da risultare superati, vecchi, non aggiornati (come dicono i mass media). Il calcio per loro è in continua evoluzione. Molti tecnici, però, dovrebbero uscire allo scoperto, e senza vergognarsi dichiarare di utilizzare le stesse soluzioni tattiche che hanno fatto diventare famosi e vincenti alcuni grandi allenatori dei tempi che furono.

ALLE ORIGINI DEL CATENACCIO

Molti dei nostri strateghi del terzo millennio hanno ripreso un'idea che tirò fuori per la prima volta l'austriaco Karl Rappan, allenatore del Servette, mediocre squadra Svizzera, nel 1937. Quella di Rappan fu una correzione difensiva: arretrare un mediano al centro in linea con i due marcatori, praticamente un libero che si muove in orizzontale senza compiti di marcatura spostandosi verso destra o sinistra pronto a rimediare a qualche errore di uno dei due difensori, o quella di intervenire su eventuali prodezze tecniche degli attaccanti avversari eliminando così il pericolo di subire gol. Questo modulo-tattica di allora venne chiamato ”Verrou” (chiavistello-serratura), di lì non si passa. Nascono così dal Verrou le nostre difese a tre (braccetto di destra-centrale- braccetto di sinistra), oggi vanto dei nostri tecnici emergenti, i quali poi, con atteggiamenti ancora più difensivi, fanno rientrare preventivamente, in fase di non possesso, i due esterni passando così ad una difesa che diventa di fatto a 5.

LA TROVATA ITALIANA

Spostare un giocatore diversi metri dietro la linea difensiva, invece, è stata una idea geniale di noi italiani. Nasce così il ruolo del vero “libero”. Con questa novità, prese piede la mitica strategia del ”catenaccio”, termine preferito dal grande giornalista Gianni Brera. Il primo ad adottarlo nel nostro campionato fu Gipo Viani con la Salernitana nel 1946/47 (vincitrice del campionato di Serie B): suo il primo libero italiano, un certo Ivo Buzzegoli. Nella Triestina di Nereo Rocco (seconda nel campionato di Serie A), il libero era Blason. Il “catenaccio” ebbe poi la massima espressione con l’Inter di Helenio Herrera, che con il libero (Armando Picchi), il “taca la bala” (il pressing di allora) e il contropiede vinse: 3 Campionati Nazionali, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali.

EVOLUZIONE AL PASSATO

Ma adesso è ora di tornare a parlare della nostra new era, e invito i lettori a stare molto attenti: le tre categorie di Serie A-B-C e i loro numerosi coach (anche i più vincenti) adottano il verrou anni trenta più il catenaccio vincente di herreriana memoria. Oggi, nel 2024, il verrou di Rappan, e il catenaccio di Viani, Rocco ed Herrera, spopolano. Sì, nessuno può smentire che il libero attuale è il portiere, che come allora calcia via il pallone il più distante possibile in caso di pericolo, o capace di fare il torello recitando la parte del giocatore dai piedi buoni diventando così il principale regista difensivo in grado di creare superiorità numerica per far ripartire l'azione dal basso.

ORA DI CAMBIARE

Questo nostro modo di fingere di giocare un calcio offensivo in realtà è solo mascherato e pieno di paure. Un calcio così sta stufando, questo difensivismo lo si può solo eliminare vietando i passaggi volontari al portiere (quello che una volta era il libero). Gli spettatori sono stufi di pagare il biglietto per vedere il giocatore tecnicamente più scarso della propria squadra (per ovvi motivi il portiere) toccare il maggior numero di palloni, o in caso di pericolo affidarsi alla celebre giocata “alla viva il parroco”.

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