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Leggende del calcio

Eric Cantona: tra sogno e realtà, il calcio come arte e anarchia

Intervista immaginaria con il campione del Manchester United

Eric Cantona: tra sogno e realtà, il calcio come arte e anarchia

Eric Cantona, leggenda del Manchester United

Un pomeriggio di fine autunno, il cielo di Manchester è coperto da una coltre di nubi grigie che sembrano riflettere il carattere enigmatico della città. Eric Cantona, icona del Manchester United negli anni '90, noto per il suo stile di gioco rivoluzionario e il suo spirito ribelle, mi aspetta. Durante la sua carriera, dal 1983 al 1997, Cantona segna un'epoca, trasformando ogni partita in uno spettacolo e lasciando un'impronta indelebile nella storia del calcio. Cantona non è solo una leggenda del calcio: è un artista dello sport, un poeta del pallone e un attore capace di affascinare il pubblico anche sul grande schermo. Nessuno come lui ha saputo combinare genio e provocazione.

L'incontro è stato fissato in un piccolo pub lungo Sir Matt Busby Way, nel quartiere di Old Trafford, a pochi passi dal mitico stadio del Manchester United, Old Trafford. Eric Cantona mi aspetta in quel luogo carico di storia calcistica e ricordi, dove sembra che anche i muri cantino "Glory Glory Man United", l'inno che i tifosi intonano con orgoglio prima di ogni partita.

Trovo Cantona intento a osservare un poster vintage di una vecchia squadra di calcio, perso nei suoi pensieri.

«L'arte non è mai silenziosa», mormora senza voltarsi, quasi sentendo la mia presenza prima ancora che lo saluti. Così inizia la nostra conversazione, in un luogo dove arte e calcio sembrano fondersi.


Il calcio come arte: un campo dove l'anima si esprime

Ci sediamo in un angolo del pub proprio sotto a una sciarpa d'epoca della tifoseria del Manchester United.
«Eric, hai sempre detto che il calcio non è solo uno sport, ma un’arte. Cosa intendi?» gli chiedo.
Ci pensa su un attimo e mi risponde con un sorriso «L'arte non è prevedibile, ed è proprio questo che rende il calcio unico. Quando sei in campo, non giochi solo per vincere; giochi per sorprendere, per creare qualcosa che rimanga nei cuori. Un dribbling, un passaggio, persino un errore possono essere arte, perché riflettono la tua anima in quel momento.»

Cantona si sposta verso un'altra parete del pub, dove un poster di una vecchia partita cattura il suo sguardo.

«Oggi vedo tanti calciatori che sembrano macchine. Non c'è rischio, non c'è emozione. L'arte richiede coraggio, e il coraggio implica la possibilità di fallire.»


L'anarchia è vita

Mentre ordina due birre scure gli domando con curiosità cosa significa per lui rischiare in campo.
Cantona mi dice: «Il rischio è essenziale. Ogni volta che ricevevo la palla, dovevo sorprendermi io stesso. Se non c'è sorpresa, non c'è vita. Nel calcio, come nella vita, esiste un confine sottile tra libertà e caos. Io cercavo quell'anarchia di pensiero, quel momento in cui tutto è possibile.»

«Non ti sei mai pentito di quel desiderio di anarchia?» gli chiedo, mentre un sorriso enigmatico illumina il suo volto. Cantona sorride.

«Quando calciavo, non pensavo solo al gol. Pensavo a come quel gesto avrebbe potuto ispirare gli altri, come avrebbe creato un momento di pura bellezza.»


Il calcio è un rifugio

Cercando di approfondire il discorso, gli domando «Cosa intendi quando dici che il campo da calcio è un luogo di libertà emotiva?»
Cantona riflette per un momento prima di rispondere.

«Il campo è l'unico posto dove puoi lasciarti andare senza paura. Ogni emozione – gioia, rabbia, tristezza – si libera lì, davanti a migliaia di persone. Non c'è altro luogo al mondo così.»

Un cameriere si avvicina al nostro tavolo con un paio di bicchieri di birra scura. Cantona prende il bicchiere, lo osserva per un momento, poi fa un sorso e continua a parlare.

«Ricordo un passaggio che non ha portato a nulla, eppure fu il momento più bello. Perché in quell'istante, tutto era possibile. È questo il calcio: non il risultato, ma il sogno.»


Stiamo perdendo qualcosa?

Si avvicinano al tavolo due ragazzi che chiedono a Cantona un selfie. Lui si alza e con una gentilezza quasi inaspettata si presta alla foto. I due ragazzi si allontanano dandosi pacche sulle spalle felici. Eric si siede e mi sorride.

«Eric cosa intendevi quando parlavi della bellezza come forza salvifica per il mondo?»
Cantona fa un altro sorso dalla birra e risponde

«La bellezza è ciò che ci tiene vivi. Nel calcio, è in un gesto inaspettato, in un gol che non pensavi fosse possibile. Ma la bellezza sta anche nelle persone, nella comunità che si crea intorno al gioco.»

Cantona beve un altro sorso, lasciando che il bicchiere a metà e incrocia le braccia, guardando fuori dalla finestra del pub. «Oggi il calcio rischia di diventare una prigione. Troppa tattica, troppa pressione, troppa paura di sbagliare. Dove sono finiti i giocatori che osano, che si ribellano alle regole?»


Il calcio come metafora della vita
Quando mi alzo per salutarlo, Cantona si volta verso di me con un sorriso enigmatico. «Il calcio è un microcosmo della vita. Ci insegna a rischiare, a sognare, a trovare bellezza anche nelle sconfitte. Ma dobbiamo proteggerlo. Perché se perdiamo la bellezza, perdiamo tutto.»

Lascio il pub e mi incammino nella nebbia che avvolge Manchester. L'aria è fredda, e ogni passo mi porta più vicino al prossimo incontro. Un altro eroe del calcio mi aspetta, in un luogo che ancora non conosco, ma che già immagino avvolto da storie e riflessioni da condividere.

Mi ripeto che le interviste che ho deciso di fare seguiranno proprio una direzione precisa: difendere il calcio e la sua bellezza.


Questa intervista è un’opera di fantasia basata su dichiarazioni reali di Eric Cantona. L’intervista e il contesto sono immaginari, ma ogni parola riflette la sua autentica visione sul calcio.

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