Storie di calcio
21 Febbraio 2025
Pasquale Bruno con la maglia del Toro e trattenuto a stento dopo l'espulsione in un derby
Ci sono calciatori che diventano leggende con i gol, altri con le giocate di classe, e poi ci sono quelli che entrano nella storia per qualcosa di più viscerale. Pasquale Bruno rientra senza dubbio in questa categoria. Uno che il calcio non lo giocava, lo combatteva. Un difensore di vecchio stampo, di quelli che non chiedevano permesso prima di entrare in scivolata e che consideravano il cartellino giallo una sorta di decorazione al valore.
E se i numeri non mentono, allora Bruno si è guadagnato il titolo di "guerriero del calcio italiano" sul campo: più di cento cartellini gialli, cinquanta giorni di squalifica e un soprannome che dice tutto: "O' Animale".
Se sei stato uno dei beniamini della Curva Maratona, significa che non eri un giocatore qualunque. Il Toro, quello vero, quello con il sangue caldo, si specchiava perfettamente in Pasquale Bruno. Grinta, cuore, battaglia su ogni pallone: era un difensore che, più che impostare, imponeva. I tifosi granata non potevano che adorarlo.
Arrivato al Torino nel 1989, Bruno incarnava lo spirito granata in ogni contrasto. Con lui in campo, gli attaccanti avversari sapevano che la partita non sarebbe stata una passeggiata. Il suo repertorio? Scivolate al limite (ma più spesso oltre), duelli rustici e quella capacità innata di farsi rispettare – o forse temere – da chiunque si avvicinasse alla sua zona di competenza.
I numeri dei suoi cartellini sono da record. Più che un calciatore, sembrava un collezionista: ogni stagione aggiungeva qualche ammonizione alla sua bacheca personale, come fossero trofei di guerra. E non mancavano le sospensioni: 50 giorni di stop dal campo non si guadagnano per caso. Ma guai a chiamarlo cattivo. Bruno non era un difensore violento, era un difensore onesto, diretto, senza fronzoli. E se per fermarti doveva farti sentire il fisico, lo faceva senza pensarci due volte.
Dietro quell’aspetto da duro, però, c’era un giocatore che capiva il calcio e che, nel suo modo ruvido e senza filtri, sapeva essere un leader. Forse pochi ricordano che Bruno aveva anche piedi educati e che, oltre a picchiare, sapeva impostare il gioco. Certo, era più facile notare un avversario che si massaggiava la tibia dopo un contrasto piuttosto che un suo lancio preciso, ma questo fa parte della narrazione.
Dopo gli anni al Toro, ha lasciato un segno anche alla Fiorentina e in Scozia con l’Heart of Midlothian, dove il suo stile battagliero ha trovato terreno fertile.
Pasquale Bruno è stato uno degli ultimi rappresentanti di un calcio che oggi non esiste più. Un calcio meno patinato, meno VAR, meno telecamere su ogni contatto. Uno di quei giocatori che, nel bene e nel male, erano autentici. E che per questo non si dimenticano.
Perché puoi segnare 200 gol, ma se la curva canta il tuo nome per la grinta, la battaglia e il cuore, allora sei entrato davvero nella storia.
E Pasquale Bruno nella storia ci è entrato con i tacchetti alti.