Storie di calcio
09 Marzo 2025
Nakata con la maglia della nazionale giapponese
Il 18 luglio 2006, dopo la sconfitta del Giappone contro il Brasile ai Mondiali, Hidetoshi Nakata annunciò il ritiro dal calcio a soli 29 anni. Una decisione che sconvolse il mondo sportivo: fisicamente integro, tecnicamente ancora brillante, il "David Beckham asiatico" – come lo definì The Guardian – chiuse la sua carriera nel momento di massimo splendore. Ma dietro quel gesto c’era una lacerazione interiore:
«Il calcio era diventato un business. Ogni partita, ogni trasferta, ogni contratto ruotava attorno al denaro. Avevo smarrito il senso del gioco»
Nakata non fuggì: si liberò.
Nel 2009, Nakata iniziò un pellegrinaggio attraverso le 47 prefetture del Giappone. Non un turista, ma un cercatore. Scalò montagne sacre dello Shintoismo in Yamagata, imparò a intrecciare bambù con artigiani di Kyoto, studiò la coltivazione del riso Yamada Nishiki – ingrediente sacro per il sakè – nelle risaie di Hyōgo. Fu un’immersione totale, durata 2.557 giorni, durante i quali visitò 1.872 laboratori artigianali e 423 birrifici di sakè (il 40% del totale nazionale).
«Quando lasciai il Giappone a 21 anni, conoscevo più l’Europa che la mia terra. Viaggiando, ho scoperto che ogni prefettura ha un dialetto, un tessuto tradizionale, un modo unico di preparare il tè. Ero un analfabeta culturale».
Incontrò produttori di sakè ottantenni che fermentavano riso con metodi tramandati dal Periodo Edo (1603-1868). Apprese che per produrre 1 litro di junmai daiginjo (la varietà più pregiata) servono 30 ore di lavorazione manuale, 85% di acqua pura di sorgente e temperatura controllata al grado.
Nel 2015, Nakata fondò la Japan Craft Sake Company (JCSC), ma il suo approccio fu rivoluzionario. Mentre i colossi industriali dominavano il mercato con sakè low-cost, lui creò N by Hidetoshi Nakata – una linea artigianale prodotta in collaborazione con 12 microbirrifici storici, ognuno con un blend unico di riso, acqua e lievito koji.
Ma il colpo di genio arrivò nel 2023 con Sakenomy, un’app che unisce tecnologia e tradizione:
6.872 tipologie di sakè catalogate con parametri come nihonshudo (livello di dolcezza) e amino san-do (untuosità)
Un algoritmo che abbina i profili aromatici (fruttati, floreali, minerali) ai piatti della cucina globale
Un sistema blockchain che traccia ogni bottiglia dal risaio al bicchiere, garantendo autenticità
L’app, scaricata da 142.000 utenti in 67 paesi, non è un semplice database: è un ponte culturale. "Volevo che un sommelier a Barcellona capisse che il Yamagata Masamune va servito a 12°C con ostriche, non come un semplice alcolico".
Mentre costruiva un impero digitale, Nakata adottò uno stile di vita ascetico:
Nessuno smartphone personale: usa un Nokia 3310 per chiamate essenziali
Nessuna casa fissa: vive tra hotel e ryokan tradizionali, con una valigia di libri e kimono
Nessun social network: "La connessione vera nasce guardandosi negli occhi, non attraverso schermi"
Nel 2021, in collaborazione con Giorgio Damiani, lanciò una collezione di gioielli ispirati ai mon (stemmi di famiglia giapponesi). I proventi furono devoluti a sostegno degli artigiani colpiti dal terremoto di Kumamoto.
Oggi, Nakata non è solo un imprenditore: è un pedagogo della tradizione. Nel 2024, ha avviato SAKE SCHOOL, un programma che abbinia giovani agricoltori a mastri birrai. L’obiettivo? Contrastare l’invecchiamento dei produttori (l’età media è 68 anni) e salvare 213 varietà di riso autoctono a rischio estinzione.
"In Giappone, il sakè si beve durante i matrimoni, i funerali, le preghiere. È il sangue della nostra terra. Se perdiamo questo, perdiamo la memoria".
Tra i suoi progetti c’è Kōjin, un sakè fermentato con lieviti recuperati da templi millenari. Un esperimento che unisce microbiologia e spiritualità, già premiato alla International Wine Challenge 2024.
Il 9 marzo 2025, Nakata torna allo Stadio Renato Curi – dove nel 1998 esordì in Serie A – per presentare un sakè invecchiato in botti di rovere umbro. "L’Italia mi ha insegnato la passione. Ora restituisco qualcosa che unisce i nostri popoli".
Tra gli ospiti, Luciano Gaucci – l’uomo che lo portò in Italia – brinda con un daiginjo servito a 10°C. Nakata sorride: la sua partita più importante non si gioca più su un rettangolo verde, ma nel cuore di una tradizione che sopravvive al tempo.