Vecchie glorie
12 Maggio 2025
Dario Hubner
In un calcio sempre più levigato, strategico, digitale, ogni tanto serve fermarsi e ricordare i tempi in cui a parlare erano il campo e l’istinto. E se c’è un nome che sa riportarci lì, tra fango e poesia, è quello di Dario Hübner.
Classe 1967, friulano di nascita ma giramondo per vocazione, Hübner è stato — e per molti lo è ancora — l’incarnazione del calcio di provincia che non ha bisogno di copertine patinate per essere grande. Un centravanti potente, concreto, diretto. Uno che, più che nelle sale stampa, si sentiva a casa sui campi di terra e nei piccoli spogliatoi.
La sua carriera è una favola raccontata al contrario: ha esordito in Serie A a 30 anni suonati, dopo aver segnato in tutti i campionati inferiori, tappa dopo tappa, senza mai saltare una stagione. Una storia di tenacia pura. Di quelle che oggi sembrano anacronistiche, eppure fanno bene al cuore.
Il suo momento più alto? La stagione 2001-2002, quando, a 35 anni, conquistò la classifica marcatori della Serie A con 24 reti, condividendo il primato con David Trezeguet. Lo fece con la maglia del Piacenza, senza aver mai messo piede in un grande club, senza procuratori superstar né sponsor da milioni.
Hübner non era un attaccante spettacolare. Era essenziale, feroce, letale. Colpiva di testa, di destro, di sinistro. Si muoveva come un bisonte — non a caso lo chiamavano Tatanka — e aveva un senso del gol naturale. A modo suo, era un artista: ma un artista dell’efficacia.
Fuori dal campo era altrettanto genuino. Non amava i riflettori, preferiva la trattoria al ristorante gourmet, il dialetto alla conferenza stampa. Aveva abitudini di altri tempi, forse poco allineate ai canoni dell’atleta moderno, ma non ha mai cercato di nasconderle. Oggi è giusto sottolineare che il calcio ha preso un’altra direzione — più attenta alla salute e al benessere — ma raccontare Hübner vuol dire anche raccontare un’epoca diversa, in cui le regole erano altre e i modelli meno patinati.
E forse è proprio per questo che la gente lo ha amato così tanto.
Quando ha smesso, non è sparito. Allena nei dilettanti, va a vedere partite dei ragazzi, dispensa consigli veri. Quelli che non trovi nei manuali, ma solo in chi ha vissuto il calcio con la schiena piegata e la maglia sudata.
Nato il 28 aprile 1967, a Muggia (TS)
⚽ Capocannoniere della Serie A 2001-2002 con 24 gol
Ha esordito in A a 30 anni con il Brescia
Il soprannome “Tatanka” veniva dalla sua potenza fisica
Oggi allena e racconta il calcio come lo conosce: con sincerità
Oggi, in un calcio che spesso dimentica la sua anima popolare, Dario Hübner resta un simbolo di autenticità. Il campione che ha fatto innamorare le province, il centravanti che ha messo d’accordo tutti: tifosi, avversari, allenatori.
La sua storia ci ricorda che non è mai troppo tardi per arrivare in alto. E che si può essere campioni anche senza copertine.