Calcio Giovanile
20 Maggio 2025
Calcio giovanile
Negli stadi di tutta Europa è sempre più comune vedere in campo giovanissimi talenti, spesso di 16 o 17 anni, già protagonisti tra i professionisti. In Spagna, Germania, Olanda e Francia, i giovani vengono lanciati con naturalezza. In Italia, invece, la situazione è diversa: la Serie A resta tra i campionati meno “giovani” d’Europa. Vediamo perché, integrando dati e confronti che aiutano a comprendere meglio il fenomeno.
Età media e impiego dei giovani: i numeri del gap
La Serie A ha un’età media tra le più alte dei principali campionati europei: negli ultimi dieci anni si attesta intorno ai 28 anni, mentre la Bundesliga tedesca è la più giovane con circa 25 anni e 2 mesi.
Solo poche squadre italiane, come Parma e Bologna, si avvicinano alle età medie più basse d’Europa. La maggior parte delle big italiane resta su valori elevati, confermando la difficoltà di inserire giovani in prima squadra.
Motivi culturali e strutturali: la differenza dei sistemi
In Italia domina una “cultura del risultato”: si punta su giocatori esperti per ottenere risultati immediati, mentre all’estero si accetta il rischio di lanciare giovani talenti.
La mancanza di un sistema diffuso di seconde squadre professionistiche ha storicamente penalizzato i giovani italiani. In Spagna, Germania e Olanda, le squadre “B” o “II” giocano nei campionati professionistici, offrendo ai giovani un’esperienza reale contro adulti. In Italia, solo Juventus Next Gen, Atalanta U23 e Milan Futuro hanno adottato questo modello, ancora poco diffuso.
Investimenti nei vivai: quanto si spende in Italia e all’estero
I club italiani investono meno nei settori giovanili rispetto ai grandi club europei. Secondo i dati UEFA, la media italiana è di circa 4,6 milioni di euro a club, inferiore a Inghilterra, Germania e Francia, ma superiore a Spagna e Olanda.
In Serie A, la spesa totale annua per i vivai è stimata tra 110 e 120 milioni di euro, ma la resa in termini di minuti giocati dai giovani resta tra le più basse d’Europa.
La distribuzione degli investimenti è molto disomogenea: Inter, Juventus e Atalanta arrivano a investire fino a 20 milioni di euro l’anno, mentre molte altre società si fermano su livelli molto bassi.
Mercato e giovani stranieri: la strategia delle plusvalenze
In Italia si preferisce spesso acquistare giovani stranieri, anche per motivi di plusvalenze future, piuttosto che promuovere i propri talenti. Negli ultimi dieci anni, i club italiani hanno tesserato quasi 1.000 calciatori stranieri under 21, mentre i giovani italiani trasferiti all’estero sono meno di un decimo.
Barriere economiche e sociali: il costo per le famiglie
Il costo delle scuole calcio in Italia (tra 300 e 1.200 euro l’anno) rappresenta un ostacolo per molte famiglie, a differenza di quanto avviene in altri paesi dove il sistema è più sostenuto da enti pubblici o fondazioni. Questo limita la base di reclutamento e rischia di escludere talenti potenziali per ragioni economiche.
Esempi virtuosi: chi investe davvero nei giovani
Atalanta, Empoli, Sassuolo e Inter sono tra i pochi club italiani che investono e credono nei giovani. Inter, Juventus e Atalanta, in particolare, investono cifre importanti nei settori giovanili (fino a 20 milioni di euro l’anno) e portano stabilmente prodotti del vivaio in prima squadra.
La Serie A rimane tra i campionati meno “giovani” d’Europa per una combinazione di fattori: pressione sul risultato, investimenti insufficienti e limiti organizzativi. Le eccezioni virtuose dimostrano che cambiare è possibile, ma il gap con i principali campionati europei resta significativo. Il talento italiano non manca: serve un sistema che abbia il coraggio e la visione di valorizzarlo davvero, investendo di più nei vivai, abbattendo le barriere economiche e adottando modelli organizzativi già vincenti all’estero.