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Calcio Giovanile

Perché all'estero i giovani giocano di più?

 Analisi aggiornata con dati e confronti europei

Perché all’estero i giovani giocano subito, e in Italia no?

Calcio giovanile

Negli stadi di tutta Europa è sempre più comune vedere in campo giovanissimi talenti, spesso di 16 o 17 anni, già protagonisti tra i professionisti. In Spagna, Germania, Olanda e Francia, i giovani vengono lanciati con naturalezza. In Italia, invece, la situazione è diversa: la Serie A resta tra i campionati meno “giovani” d’Europa. Vediamo perché, integrando dati e confronti che aiutano a comprendere meglio il fenomeno.


Età media e impiego dei giovani: i numeri del gap

  • La Serie A ha un’età media tra le più alte dei principali campionati europei: negli ultimi dieci anni si attesta intorno ai 28 anni, mentre la Bundesliga tedesca è la più giovane con circa 25 anni e 2 mesi.

  • Solo poche squadre italiane, come Parma e Bologna, si avvicinano alle età medie più basse d’Europa. La maggior parte delle big italiane resta su valori elevati, confermando la difficoltà di inserire giovani in prima squadra.


Motivi culturali e strutturali: la differenza dei sistemi

  • In Italia domina una “cultura del risultato”: si punta su giocatori esperti per ottenere risultati immediati, mentre all’estero si accetta il rischio di lanciare giovani talenti.

  • La mancanza di un sistema diffuso di seconde squadre professionistiche ha storicamente penalizzato i giovani italiani. In Spagna, Germania e Olanda, le squadre “B” o “II” giocano nei campionati professionistici, offrendo ai giovani un’esperienza reale contro adulti. In Italia, solo Juventus Next Gen, Atalanta U23 e Milan Futuro hanno adottato questo modello, ancora poco diffuso.


Investimenti nei vivai: quanto si spende in Italia e all’estero

  • I club italiani investono meno nei settori giovanili rispetto ai grandi club europei. Secondo i dati UEFA, la media italiana è di circa 4,6 milioni di euro a club, inferiore a Inghilterra, Germania e Francia, ma superiore a Spagna e Olanda.

  • In Serie A, la spesa totale annua per i vivai è stimata tra 110 e 120 milioni di euro, ma la resa in termini di minuti giocati dai giovani resta tra le più basse d’Europa.

  • La distribuzione degli investimenti è molto disomogenea: Inter, Juventus e Atalanta arrivano a investire fino a 20 milioni di euro l’anno, mentre molte altre società si fermano su livelli molto bassi.


Mercato e giovani stranieri: la strategia delle plusvalenze

  • In Italia si preferisce spesso acquistare giovani stranieri, anche per motivi di plusvalenze future, piuttosto che promuovere i propri talenti. Negli ultimi dieci anni, i club italiani hanno tesserato quasi 1.000 calciatori stranieri under 21, mentre i giovani italiani trasferiti all’estero sono meno di un decimo.


Barriere economiche e sociali: il costo per le famiglie

  • Il costo delle scuole calcio in Italia (tra 300 e 1.200 euro l’anno) rappresenta un ostacolo per molte famiglie, a differenza di quanto avviene in altri paesi dove il sistema è più sostenuto da enti pubblici o fondazioni. Questo limita la base di reclutamento e rischia di escludere talenti potenziali per ragioni economiche.


Esempi virtuosi: chi investe davvero nei giovani

  • Atalanta, Empoli, Sassuolo e Inter sono tra i pochi club italiani che investono e credono nei giovani. Inter, Juventus e Atalanta, in particolare, investono cifre importanti nei settori giovanili (fino a 20 milioni di euro l’anno) e portano stabilmente prodotti del vivaio in prima squadra.

La Serie A rimane tra i campionati meno “giovani” d’Europa per una combinazione di fattori: pressione sul risultato, investimenti insufficienti e limiti organizzativi. Le eccezioni virtuose dimostrano che cambiare è possibile, ma il gap con i principali campionati europei resta significativo. Il talento italiano non manca: serve un sistema che abbia il coraggio e la visione di valorizzarlo davvero, investendo di più nei vivai, abbattendo le barriere economiche e adottando modelli organizzativi già vincenti all’estero.

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