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Il calcio delle frasi fatte, ecco quelle che evitiamo e perché

La nostra piccola sfida: abbandonare i luoghi comuni

il calcio delle frasi fatte non fa per noi

Frasi fatte, cliché e luoghi comuni: ecco il campionato che Sprint e Sport ha deciso di perdere. Volentieri.

C'è una competizione a cui non vogliamo nemmeno partecipare. Non ci alleniamo, non ci presentiamo in campo, e se ci invitano alla premiazione rispondiamo con una pernacchia elegante. È il campionato dei luoghi comuni. Delle frasi che vanno bene sempre, che sembrano profonde e invece sono vuote come uno stadio senza tifosi.

Quelle espressioni che trovi ovunque, dai comunicati stampa agli spogliatoi, dette più per abitudine che per convinzione. Frasi che suonano bene ma non dicono niente. Un linguaggio che rassicura, che non disturba, che non rischia. Ma che non racconta più nulla. Noi, nel nostro piccolo, con gentile fermezza, ci chiamiamo fuori. Perché il nostro mestiere è cercare parole vere, fresche, vive. Non copiare il compitino. Non scrivere come si è sempre fatto. Non far finta di dire, ma dire davvero.

Anche a costo di sembrare scomodi, anche a rischio di disturbare. Anzi: se serve, disturbiamo volentieri. Il nostro dizionario delle frasi da panchina (nel senso che le lasciamo sedute)

“Mister”

Chiamare l’allenatore “mister” è un errore storico trasformato in tradizione culturale. In Italia nasce negli anni '20 e '30 del Novecento, quando molte squadre di calcio italiane (soprattutto le più importanti) assumevano tecnici britannici. Un esempio celebre è William Garbutt, inglese, allenatore del Genoa, considerato uno dei padri fondatori del calcio italiano moderno. I giocatori italiani, per rispetto, lo chiamavano "Mister Garbutt", imitando l’uso inglese di anteporre "Mr." al cognome. Ma non capendo esattamente il significato, iniziarono a usare "Mister" come sinonimo di allenatore, creando un calco linguistico sbagliato. È un falso anglicismo: in inglese, "mister" non significa allenatore, se vogliamo usare l’inglese bisognerebbe dire coach o manager; meglio usare l’italiano: allenatore o tecnico oppure, per la Scuola calcio, istruttore.

“Crescita dei ragazzi”

Dire che si lavora per la crescita dei giovani è una retorica spesso disattesa. Molti club dicono la cosa giusta, ma le azioni reali sono quasi sempre rivolte al guadagno immediato, al risultato, e utilizzano i giovani come merce più che come risorsa da sviluppare.

“La vittoria del gruppo”

Nel calcio la vittoria è merito del gruppo" è diventato un cliché, una frase fatta buona per le interviste post-partita e i discorsi motivazionali da spogliatoio. Ma nella maggior parte dei casi è una banalità. Il “nostro” Guido Mattei, vecchio Maestro di calcio, sostiene che per vincere ci vogliono calciatori forti. In altre parole: «La squadra è forte quando i giocatori forti decidono di esserlo insieme». Così invece Pep Guardiola.

“Incolpevole sui gol”   

Sostenere che "il portiere è incolpevole sui gol" è una delle frasi più abusate e, spesso, più banali del gergo calcistico. Perché? Perché è una semplificazione che assolve automaticamente un ruolo che, per sua natura, è sempre coinvolto. Il portiere non è mai davvero “incolpevole”, anche quando non può intervenire direttamente sul tiro, è coinvolto nel processo difensivo: Era posizionato correttamente? Ha comunicato con la difesa? Ha letto l’azione con anticipo? Dire che è "incolpevole" è un modo pigro per dire: "non poteva fare il miracolo". Ma il calcio non è solo miracoli: è posizione, timing, lettura, scelta.

“Rumors”

I rumors non sono notizie. Un rumor (voce, indiscrezione, soffiata) non è verificato, non è confermato, non è responsabile.    Nel giornalismo sportivo serio, un’informazione è tale solo se ha almeno due fonti attendibili e riscontri oggettivi. Pubblicare o rilanciare rumors significa fare intrattenimento, non informazione.

“Goal”

A noi basta il caro vecchio gol. Più diretto, più vero. E si urla meglio.

“L'obiettivo è portare i ragazzi in prima squadra”

È la formula istituzionale ripetuta da ogni club ed è anche una delle affermazioni più clamorosamente disattese del calcio italiano. Dirigenti e tecnici preferiscono affidarsi a giocatori già rodati invece di rischiare con i propri ragazzi. La cultura dell’immediato risultato pesa più della costruzione di patrimonio tecnico interno. Ma non solo tra i Dilettanti anche nella Massima Serie i dati dicono che: minutaggio U21 al 2-3%, prodotti del vivaio sotto il 6% dei minuti, giovani dispersi tra prestiti e categorie minori.

“Non solo come calciatori ma anche come uomini”

Una frase che suona bene ma dice poco. È una dichiarazione che non impegna nessuno, che fa sembrare il club attento all’aspetto umano, ma senza dimostrare come. È un modo elegante per dire: “Non formiamo solo atleti, formiamo persone”, ma nella realtà pochi club fanno davvero formazione umana. Quanti club hanno figure professionali dedicate alla formazione psicologica, culturale, relazionale dei ragazzi? Formare l’uomo richiede tempo, risorse e volontà, difficile trovare tutto questo in società, dilettantistiche e professionistiche, che nel migliore dei casi faticano a trovare la propria dimensione, che per sbarcare il lunario devono attivare mille alchimie.

“Progetto ambizioso”

Una frase che ogni estate riempie conferenze stampa, post Instagram, articoli, interviste. Ma cosa significa davvero? Niente. O meglio: è il modo elegante per non dire nulla di concreto. Ambizioso rispetto a cosa? Ambizioso perché si è presa una maglia con lo sponsor stirato e una pagina Facebook ferma al 2019? Ambizioso perché si è cambiato allenatore per la terza volta in due anni e si è chiamato "progetto"? Nessuno inizia una stagione dichiarando: “Siamo qui per vivacchiare”

“Fulmine a ciel sereno”

Serve a giustificare l’impreparazione. Quando un direttore sportivo si sveglia con l’esonero sulla scrivania, o un giornalista non ha fiutato una crisi in arrivo, dire "fulmine a ciel sereno" è un alibi elegante per dire “non me ne ero accorto”. La realtà? Non l’hai visto, ma altri sì.

“Ai nostri microfoni”

Siamo giornalisti, non presentatori da festival. Basta dire: lo abbiamo intervistato.

“Costruzione dal basso”

E qui riprendiamo in prestito le parole di Guido Mattei: le case si costruiscono dal basso, il calcio è un’altra cosa.

“Ci aspettano X finali”

Alla fiera della banalità non poteva mancare una frase ripetuta a pappagallo da allenatori, capitani, dirigenti, usata per dare enfasi, ma che in realtà non vuol dire nulla di concreto.

“Si alza il sipario”

Non siamo a teatro, siamo in un campo a volte pieno di pozzanghere. L’unica cosa che si alza nel calcio dilettantistico, spesso, è la nebbia alle 9:30 del mattino. Il sipario non si alza. Si entra in campo. Punto.

“Buona la prima”

È una frase da set cinematografico, non da campo sportivo. “Buona la prima” nasce sul set, tra regista e operatore, quando una scena viene bene al primo ciak. La “prima” è un inizio, non un giudizio definitivo. È una frase copia-incolla, usata da chi non ha nulla da dire.

“Fare la barba al palo”

Un ragazzo di 16 anni che legge: "barba al palo”, pensa a TikTok, a un barbiere, a un trend. Non certo a un tiro che sfiora il montante. È una frase che non comunica più nulla. Solo nostalgia. Non calcio vero.

Perché tutto questo? Perché ogni volta che scriviamo, abbiamo una responsabilità: dire qualcosa. Non solo riempire uno spazio. Non compiacere. Non replicare frasi fatte. Scrivere davvero vuol dire scegliere ogni parola. Cercare un tono. Dare un senso. Fare un passo più in là.

In un tempo dove la comunicazione è diventata un esercizio di equilibri, noi preferiamo l'autenticità. Dove tutto sembra pensato per non dare fastidio, noi scegliamo, se serve, di accendere una luce in mezzo al campo.

Non perché ci crediamo migliori. Ma perché vogliamo fare bene il nostro mestiere. Raccontare il calcio vero, quello che succede davvero. E usare parole che abbiano il coraggio di significare qualcosa.

Tocca a voi. Se vi capita di leggere una frase che suona bene ma non dice niente, segnalatecela. Mettiamo in panchina anche lei.

E magari un giorno ci scriveremo un libro: "Le frasi che non ci mancheranno". Con una bella prefazione: senza parole inutili.

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Commenti all'articolo

  • gianluca giannatempo

    21 Luglio 2025 - 08:42

    Prendo per buono l'articolo. Qualche anno fa,però, siamo stati coinvolti come società in un "pasticcio" mediatico causato dall'aver dato risalto ad un fatto totalmente inventato da una persona in tribuna desiderosa di "vendetta"... Mi auguro che le cose siano cambiate!

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