Storie di calcio
18 Agosto 2025
Ryan Mason, oggi alla guida del West Bromwich Albion
C’è un minuto, nel calcio, che non si scorda più. Stamford Bridge, 22 gennaio 2017: Hull City contro Chelsea, scontro aereo con Gary Cahill. Silenzio. Sirene. Sala operatoria. Quando Ryan Mason riapre gli occhi, la sua carriera è cambiata per sempre: frattura del cranio, «14 placche in titanio, 28 viti e 45 punti metallici». E quella frase che spiazza tutti: «Sono stato un ragazzo fortunato». Fortunato perché vivo, lucido, determinato a trovare una nuova strada dentro lo stesso mondo.
Quel mondo è il Tottenham, casa sua. Cresciuto nell’Academy degli Spurs, debutta in Premier nel 2014, si guadagna la chiamata in Nazionale e il 31 marzo 2015 a Torino mette il timbro sull’1-1 con l’Italia con l’assist per Andros Townsend. Poi il passaggio al Hull nel 2016, fino a quel pomeriggio. I consulti con i neurochirurghi arrivano a una sentenza dura ma chiara: a 26 anni, basta scarpini. Niente più contrasti, niente più colpi di testa. Sì, ma non addio al calcio.
Mason rientra subito a Londra per ricominciare da zero. Prima nel settore giovanile, poi nel ruolo di head of player development: insegna ai ragazzi come gestire il pallone e, ancora di più, come gestire se stessi. Nel 2021, dopo l’esonero di José Mourinho, gli affidano la panchina ad interim: a 29 anni diventa l’allenatore più giovane a guidare una squadra di Premier League. Tornerà a traghettare il Tottenham anche nel 2023, quindi entrerà nello staff di Ange Postecoglou, con cui nel 2025 gli Spurs alzano l’Europa League a Bilbao e tornano a sentirsi vincenti.
La seconda svolta arriva subito dopo: chiamata del West Bromwich Albion, contratto triennale, prima panchina da head coach. Non è un salto nel vuoto, è un progetto: idee semplici, esigenti, applicate bene. Blocco squadra corto, aggressività nelle transizioni, principi di possesso senza fronzoli. La lezione imparata in casa Spurs — dalla gestione del gruppo alla preparazione dei dettagli — diventa un’identità personale, senza imitazioni.
C’è però un aspetto che racconta Mason meglio delle lavagne tattiche: la sua voce quando si parla di sicurezza e salute. Dopo l’incidente, Ryan è diventato una delle figure più chiare sul tema delle concussioni e dei colpi di testa nei ragazzi. «Bisogna proteggere i bambini», ha ripetuto in più occasioni, spingendo per protocolli seri, competenze mediche a bordo campo e formazione degli allenatori di base. Perché il calcio non vale una vita rovinata; perché educare significa anche fermarsi in tempo.
Chi lo ha visto lavorare parla di leadership calma. Nessuna posa, niente slogan: chiarezza. A chi gli chiede se le «viti» siano un marchio, risponde coi fatti: studio, aggiornamento continuo, ossessione per i particolari (le uscite sul corto, le coperture preventive, i compiti dentro e fuori possesso). La partita che ha fermato il giocatore ha acceso l’allenatore. E oggi, al The Hawthorns, la sfida è quella più difficile: trasformare un vissuto eccezionale in normalità quotidiana, costruendo una squadra affidabile, intensa, ambiziosa.
La storia di Ryan Mason è una lezione praticissima: si può cadere forte, fermarsi, ripartire. Non c’è retorica, c’è lavoro. Non c’è autocommiserazione, c’è un piano. Le «28 viti» non sono un simbolo di sventura ma un promemoria: la testa va protetta, le idee pure. E il calcio, quando lo prendi sul serio, sa restituire strade nuove a chi ha il coraggio di cercarle.