C’è un’Italia del pallone che in Gianfranco Zigoni vede più di un talento d’altri tempi: vede un simbolo di anticonformismo. L’ala che accendeva gli stadi con un dribbling e, quando serviva, con un gesto teatrale: la pelliccia in panchina, il cappello da cowboy, l’uscita verso gli spogliatoi dopo un gol «da sette», come a dire: spettacolo finito. A 80 anni, «Zigo» parla ancora chiaro: «Oggi i giocatori sono robot, la tecnologia ci ha fregati». È una provocazione romantica, ma non solo: è il manifesto di un calcio in cui errore e rischio creativo erano parte del patto col pubblico.
Un irregolare che faceva ordine nel caos
Zigoni incarnava una figura rara: talento ribelle e, al tempo stesso, funzionale alla temperatura emotiva della partita. Non era l’uomo dei corridoi tracciati, era quello che spaccava il copione. Di lui restano immagini più che statistiche: il sinistro all’incrocio e la doccia anticipata «per trovare l’acqua calda», la panchina in pelliccia nelle domeniche di gelo, la risposta sprezzante ai diktat sui capelli. Non era solo folclore: era linguaggio, un modo di stare dentro (e contro) il gioco.
«Calcio dei robot» vs fantasia
La tesi di Zigo è semplice: l’iper-controllo ha compresso la creatività. Il calcio di oggi vive di dati, staff, piani gara e micro-compiti. È vero: il margine d’improvvisazione si è ridotto. Ma la fantasia non è scomparsa: si è spostata. Oggi si esprime nei tempi di ricezione, nella gestione delle pressioni, nelle superiorità costruite. La differenza è culturale: ai giorni di Zigo la libertà era tollerata (talvolta esaltata) anche quando sconfinava; oggi è negoziata dentro indicatori atletici e tattici. Resta il cuore del suo ragionamento: senza una quota di imprevedibilità, il calcio perde una parte della sua verità popolare.
Anticonformismo ieri, brand oggi
Ieri la ribellione aveva volto, gesti, frizioni. Oggi l’immagine del calciatore è brandizzata: social, sponsor, media training. Non significa che l’individuo non esista più: esiste, ma è incanalato. Il campione contemporaneo può essere anticonformista, purché la sua diversità non interferisca con la macchina della performance. In questo scarto si capisce perché Zigoni resti un case study: rappresenta l’ultima generazione in cui il carattere stava al centro, nel bene e nel male.
Verifiche rapide sugli episodi chiave
- Doccia dopo il gol (Verona-Vicenza) — Racconto più volte ripreso dallo stesso Zigoni: dribbling in serie, sinistro all’incrocio, rientro diretto negli spogliatoi. La sostanza del gesto è memoria condivisa; il contesto preciso di gara è riportato in modo non sempre univoco nelle rievocazioni.
- Pelliccia e cappello in panchina — Scena documentata da rievocazioni e archivio fotografico: atto di sfida e firma stilistica nelle domeniche di freddo.
- Allodi e i capelli — Aneddoto riferito dal protagonista: proposta di taglio «incentivata» e risposta provocatoria. Il punto chiave non è la cifra, ma il rifiuto del conformismo.
- Squalifiche e frizioni — La carriera restituisce un profilo spesso in contrasto con l’autorità sportiva; più episodi hanno avuto strascichi disciplinari e successive archiviazioni/proscioglimenti.
Zigoni resta un promemoria: non diventare un soldatino proprio nell’unica cosa che le macchine non sanno fare, pensare calcio fuori copione. La sua lezione non è nostalgia: è una richiesta tecnica ed emotiva al gioco di oggi. Lasciare uno spiraglio di rischio perché da lì entri la fantasia.