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Dal Bosforo al volante: la seconda vita di Hakan Şükür

Dalla gloria con Galatasaray e nazionale al mandato d’arresto del 2016, fino alla nuova routine negli Stati Uniti tra Uber e camp giovanili

Dal Bosforo al volante: la seconda vita di Hakan Şükür

Hakan Şükür

Un nome che bastava: hakan
C’era un’epoca in cui bastava dire “Hakan” per evocare un intero immaginario: gol di testa, abbracci giallorossi, Istanbul che cantava. Hakan Şükür è stato il volto internazionale del calcio turco degli anni Novanta e Duemila, il centravanti che ha trasformato il Galatasaray in una squadra europea rispettata e che con la Turchia è salito sul podio del Mondiale 2002. Quel 29 giugno a Daegu gli bastarono 10,8 secondi per entrare nella storia: il gol più veloce mai segnato in una Coppa del Mondo, record ancora riconosciuto dalla FIFA. Ma la sua biografia, a differenza di molte carriere da fuoriclasse, ha un contrappasso civile e politico: elezione in Parlamento nel 2011, rottura con l’AKP nel 2013, e dal 2016 una vita in esilio negli Stati Uniti dopo un mandato d’arresto spiccato dalla magistratura turca. È lì che, anni dopo, racconterà di fare l’autista per Uber e di vendere libri per mantenere la famiglia.

I numeri del re del gol
Per capire il peso sportivo di Şükür bisogna tornare ai numeri, che in questo caso raccontano bene il personaggio. Con la nazionale ha collezionato 112 presenze e 51 gol, primato di marcature tuttora inarrivato in Turchia. Il suo apice coincide con l’era d’oro del Galatasaray, con cui ha vinto titoli domestici a ripetizione e soprattutto la Coppa UEFA del 2000, la prima alzata da un club turco. Da lì le esperienze all’Inter, al Parma e al Blackburn: passaggi non sempre felici, ma parte della traiettoria di un attaccante d’area capace di segnare come pochi e di incidere con una presenza carismatica unica. Il marchio, però, resta quel lampo di Seoul–Daegu: palla rubata, controllo, sinistro secco dopo dieci passi. La FIFA ha fissato quel tempo — 10,8 secondi — in una teca che sembra fatta apposta per lui, “il Toro del Bosforo”.

Dal campo al parlamento (2011–2013)

La seconda vita di Şükür inizia quando smette di giocare e decide di scendere in politica. Nel giugno 2011 viene eletto deputato a Istanbul per il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), allora guidato da Recep Tayyip Erdoğan. È una scelta forte, che gli vale consenso e visibilità; ma è anche l’inizio di un percorso destinato a interrompersi bruscamente. A dicembre 2013, nel pieno della frattura tra l’AKP e il movimento di Fethullah Gülen, Şükür si dimette dal partito e passa al gruppo misto, prendendo le distanze dalla linea governativa. Due date, 2011 e 2013, diventano così gli spartiacque tra il campione che si fa parlamentare e l’ex onorevole che avverte di non riconoscersi più in quel progetto politico.

Lo strappo del 2016
Il 2016 è l’anno che segna uno strappo destinato a non rimarginarsi. Dopo il tentativo di golpe del 15 luglio, i procuratori turchi emettono un mandato di cattura nei confronti di Şükür con l’accusa di appartenenza all’organizzazione gülenista; contemporaneamente scattano perquisizioni e sequestri di beni e viene fermato il padre, Sermet Şükür. Mentre in patria si accendono le polemiche, all’estero le agenzie internazionali raccontano la fuga e i guai giudiziari del più famoso bomber della Turchia, che nel frattempo ha lasciato il Paese. Da allora l’ex attaccante vive negli Stati Uniti, ricercato in Turchia e lontano da Istanbul, dalle curve che lo hanno idolatrato e dal mondo politico che lo aveva accolto.

Palo alto: caffè, uber, sopravvivenza
È in California che il nome di Şükür riappare in cronaca, ma in un contesto che sorprende: Palo Alto, la Silicon Valley. Nel 2018 alcuni media locali segnalano che è comproprietario di un bar–bakery, il Tuts Cafe, dove capita di trovarlo al bancone. L’immagine è potente: il re dei bomber turchi che versa caffè tra studenti e startupper. Poi la scelta di farsi da parte anche da quella attività. Tra il 2019 e l’inizio del 2020 Şükür racconta a più testate di guidare per Uber e di vendere libri, spiegando che in Turchia gli sono stati confiscati conti e proprietà. La frase — “Adesso guido Uber e vendo libri” — fa il giro del mondo e lascia in sospeso una domanda: quanto c’è di simbolico, quanto di necessità? In ogni caso, la sua narrazione è quella di un esilio forzato, di una quotidianità rimessa in piedi con lavori normali, lontanissima dai riflettori di un tempo.

Il pallone come lingua madre
Nel frattempo, il pallone non scompare. Tra Palo Alto e l’area di San José, il suo nome compare come coach o ospite in academy e camp estivi, con programmi per ragazzi e ragazze dai 6 ai 18 anni. Locandine, pagine di organizzatori e post social documentano allenamenti, foto con i gruppi, iniziative tra California e altri Stati. Se il lavoro al volante è l’emblema della ripartenza, i camp restituiscono l’immagine di un ex centravanti che prova a rimettere in circolo ciò che sa: tempi di smarcamento, uso del corpo, letture d’area. È un ritorno alla radice, anche sentimentale: il calcio come lingua madre, insegnata a chi sogna.

Due narrazioni inconciliabili
Su tutto resta la frattura politica, con due narrazioni inconciliabili: quella delle autorità turche, che inquadra Şükür nel perimetro dell’organizzazione di Gülen e ne persegue i reati; e quella dell’ex calciatore, che si dice vittima di una persecuzione che gli ha portato via beni, attività e reputazione. Nel mezzo, la diaspora di centinaia di migliaia di turchi che dal 2016 hanno cercato altrove nuove possibilità. Nell’eco di questa storia, la figura di Şükür è diventata più che un ex eroe sportivo: un simbolo controverso di un Paese diviso, di una memoria collettiva che fatica a separare il goleador dal dissidente.

Oltre il luogo comune dell’«autista»
C’è chi si chiede se sia giusto raccontare soprattutto l’immagine dell’ex fuoriclasse “costretto a fare l’autista”. La verità, come spesso accade, sta nelle pieghe dei dettagli. Che Şükür abbia detto nel 2020 di guidare per Uber è un fatto documentato; che oggi la sua vita sia fatta solo di quello sarebbe una semplificazione. Di certo c’è una dimensione quasi pedagogica nel modo in cui ha provato a riposizionarsi, con quel record dei 10,8 secondi a fare da promemoria che ogni ripartenza è possibile, anche quando l’area piccola non è più un campo di calcio ma la mappa di una città della Bay Area. Per un Paese che ha amato il suo “Kral”, e per chi lo ha visto dal vivo alzare gli occhi al cielo dopo un gol, la sua parabola resta una pagina che merita di essere letta tutta — successi, strappi, cadute e tentativi di ricominciare — perché nel suo attraversamento si specchiano anche le contraddizioni del calcio moderno e della vita pubblica in Turchia.

Dal bosforo al volante, davvero
E così, dal Bosforo al volante, la seconda vita di Hakan Şükür racconta la storia di un uomo che ha reso semplice l’impossibile per anni, e che oggi persegue una normalità complessa, lontano da casa. Il suo nome resta dentro i numeri — 51 gol in 112 presenze, il lampo di Daegu — ma soprattutto dentro un racconto in cui il destino di un campione incrocia la geografia della politica. Forse non ci sarà un lieto fine da romanzo; ma intanto, in un campo di periferia della Silicon Valley, un gruppo di ragazzini ascolta il “Toro del Bosforo” spiegare come attaccare il primo palo. È un’immagine che vale più di ogni didascalia.

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