Storie di calcio
18 Settembre 2025
Víctor Valdés nel 2019, allenatore della Juvenil A del Barça
C’è una foto che vale una carriera intera. Una strada che scivola via verso il nulla, un cielo pulito, la didascalia essenziale: «Gracias por todo». Poi il buio: profili social chiusi, nessun comunicato, nessun giro d’onore. Così Víctor Valdés, l’ex numero uno del Barça, nel gennaio 2018 ha salutato il calcio di copertina. Più che un addio, una scelta di campo: spegnere la luce e smettere di essere trovato.
Quella immagine non nasce dal nulla. Tre anni prima, in un’intervista televisiva, aveva preannunciato la sua via d’uscita: «Quando si spegnerà la luce, spero che sia difficile trovarmi. Starò con i ragazzi, per insegnare loro cosa possono diventare». Non era una posa: era un programma. Fuggire dalla fama, tornare all’essenziale, restituire. «Non mi piace la fama», aggiungeva. E lo dimostrò coi fatti: un giorno la luce si è spenta davvero.
Se cerchiamo l’innesco, c’è una data che punge: 26 marzo 2014. Valdés para un calcio di punizione del Celta, ricade male, il ginocchio cede. Crociato rotto, stagione finita, Mondiale addio e — soprattutto — fine della sua vita da portiere del Barcellona. Non esiste trauma solo fisico, per chi sta in porta: è un taglio nella percezione di sé. Quel crack apre una crepa che negli anni allarga il suo significato.
La psicologia del portiere è un mestiere nel mestiere. Valdés l’ha raccontata con una sincerità che spiazza: «Non tornerei a fare il portiere… non mi ha compensato: troppi anni di sofferenza per ciò che è andato bene». Niente retorica dell’eroe solitario; piuttosto, la fatica invisibile di chi deve sbagliare in pubblico e continuare a vivere con quell’errore addosso. In quelle parole c’è la radice del suo scomparire: disinnescare il rumore, mettere distanza tra sé e l’aspettativa permanente che ti chiede di essere infallibile.
Eppure, il silenzio non è un esilio. È un modo diverso di stare nel calcio. Nel 2018 riparte dai ragazzi del Moratalaz; nel 2019 torna alla Masia col Juvenil A del Barça, parentesi breve e turbolenta; nel 2020 si misura coi grandi all’UA Horta, poi un altro stop. Una traiettoria intermittente che non smentisce l’idea iniziale: stare con i giovani, insegnare. Più aula che palco.
Primavera 2025, la notizia che non ti aspetti: Valdés ricompare in panchina, Real Ávila, quarta serie spagnola. Due partite per blindare i play-off, debutto con vittoria sul Compostela, stadio Adolfo Suárez pieno, aria buona di provincia. Il suo nome torna a far rumore, ma resta sottotraccia il senso dell’operazione: misurarsi senza sovraesposizione, lontano dalle luci grandi.
La corsa finisce presto: andata dei play-off perfetta (2-0), ritorno amaro (0-2) e qualificazione sfumata al criterio di parità. Il giorno dopo, la decisione: non proseguirà. Un mese scarsi, quattro partite, un saluto asciutto. Coerenza più che resa: provare, capire, scegliere. E tornare, se e quando avrà senso.
Che cosa racconta questa storia ai nostri lettori, ai portieri delle Under, ai ragazzi che sognano? Che il coraggio non è solo volare basso al 90’. È anche scegliere il proprio volume. Valdés non ha inseguito la nostalgia del Camp Nou, non ha trasformato l’addio in feuilleton. Ha fatto l’opposto: ha tagliato il rumore, ha fallito in piccolo, ha vinto in piccolo, ha salutato in piccolo. Ha difeso un diritto raro per chi ha vinto tutto: quello di diventare normale.
Se cerchiamo una mappa psicologica, eccola:
— Avversione alla fama: non come rifiuto del pubblico, ma come difesa dell’intimità dopo anni di sovraesposizione. Le sue frasi del 2015 non lasciano margini.
— Ricalibrare l’identità: dalla gloria del ruolo più giudicato al tempo lento dell’allenare. È un passaggio di funzione: dal parare al preparare.
— Gestione dell’errore: scegliere contesti dove l’errore insegna e non travolge. La provincia spagnola, in questo, è palestra perfetta.
Oggi di Valdés si sa il giusto: quello che decide di far trapelare. Nessun progetto pubblico ufficiale dopo Ávila, nessun reality del ritorno alla ribalta. È l’uomo che ha scelto il silenzio e, ogni tanto, apre una finestra. Quanto basta per ricordarci che nel calcio — e nella vita — saper scomparire è una forma di sapienza. E che educare è un modo diverso di vincere, lontano dalla curva che urla.
Note sulle fonti principali usate per i dati fattuali:
addio del 2018 con chiusura social: ESPN;
Dichiarazioni 2015 sul «quando si spegnerà la luce»: ESPN Deportes,
El Confidencial; infortunio 2014 e fine del Barça: The Guardian;
Panchine Moratalaz/Barça/Horta: El País, ESPN;
Arrivo e addio al Real Ávila nella primavera 2025: AS, El País.