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05 Ottobre 2025
Il 16 maggio 1976 il Torino conquistò il suo storico scudetto, il primo dopo la tragedia di Superga e a 27 anni dall’ultimo titolo. Dietro a quella vittoria c’era un uomo che cambiò per sempre il modo di interpretare il calcio: Gigi Radice. Non solo fu il motore di un’impresa sportiva, ma introdusse nel calcio italiano principi innovativi tratti da uno sport apparentemente distante come il basket, combinandoli con la lezione del calcio totale olandese e facendo del pressing a tutto campo una sua cifra tattica inimitabile.
All’epoca appena 41enne, Radice incarnò uno spirito combattivo che il Torino non vedeva da decenni. Secondo il figlio e collega Ruggero Radice, Gigi era un innovatore che studiava con attenzione metodologie nuove, prendendo ispirazioni da sport diversi per portare intensità e dinamismo ai suoi schemi. Fu uno dei primi a intuire che nel calcio non bastavano più solo i piedi buoni, ma serviva una squadra capace di difendere e attaccare in maniera corale, adottando un pressing feroce che ricordava le difese aggressive del basket.
L’idea di una squadra che non si limitasse a difendersi ma schiacciasse costantemente l’avversario recuperando palla velocemente fu la pietra angolare del suo metodo, traducendo in calcio il ritmo e la sincronizzazione tipici del gioco della palla a spicchi.
Radice introdusse un sistema di zona mista, dove i giocatori alternavano marcature a uomo e a zona in modo fluido. Questo permetteva di coprire efficacemente gli spazi e mantenere una pressione soffocante sull’avversario. Con una condizione atletica eccellente e un’organizzazione rigorosa, la sua squadra si muoveva come un organismo collettivo, senza mai dare tregua.
Il pressing a tutto campo con corsa, aggressività e rapidità di recupero palla rispecchiava appieno quello che si vedeva nei campi da basket, applicato però su 90 minuti e 11 giocatori. Fu questa intensità a fare la differenza nel torneo 1975-76, trasformando il Torino in una squadra temuta e rispettata.
La Serie A 1975-76, disputata dal 5 ottobre 1975 al 16 maggio 1976, vide il Torino trionfare al termine di una stagione di lotte serrate. La squadra schierava figure come il portiere Luciano Castellini, i difensori Patrizio Sala e Roberto Salvadori, l’estro di Claudio Sala e la coppia d’attacco formata dal capocannoniere Paolo Pulici (con 21 gol) e Francesco Graziani.
Questa sinergia tra atletismo, tecnica e tattica permise ai granata di recuperare punti sulla Juventus, vincendo partite decisive come il derby e quel sorpasso finale arrivato negli ultimi turni. Sotto la guida di Radice, la squadra non solo era solida ma anche capace di esprimere un gioco moderno e propositivo.
A distanza di quasi cinquant’anni, il lavoro tattico di Gigi Radice rimane una pietra miliare per il calcio italiano. L’uso sistematico del pressing, l’attenzione all’intensità e l’applicazione di dinamiche prese da altri sport hanno anticipato la moderna concezione del gioco di squadra, oggi indispensabile ad ogni livello.
La lezione del Sergente di Ferro insegna la multidisciplinarità nel calcio: lo studio e l’adattamento di schemi tecnici estranei al calcio (come quelli del basket) possono arricchire il gioco, facendolo evolvere in nuove direzioni di efficienza e spettacolo.