Storie di calcio
15 Novembre 2025
A Barcellona, nelle mattine che sanno di officina e gasolio, c’è stato un tempo in cui un uomo in divisa blu apriva le porte dell’autobus, salutava, faceva il giro degli specchi e ripartiva. Quel ragazzo venuto dalla Galizia si chiama Manolo González. Oggi conduce un’altra linea: va da un passato di turni e panchine periferiche alla guida dell’Espanyol in Primera División. Stessa postura, stesso sguardo attento agli incroci. Cambia il mezzo, non la rotta: portare gente a destinazione.
Nato nel 1979 a Folgoso do Caurel e cresciuto a Barcellona, Manolo ha smesso di giocare prestissimo per un infortunio serio al ginocchio. A 21 anni il campo finisce, ma non il calcio. Inizia dal basso, dal settore giovanile del Martinenc e poi del Sant Gabriel: ore di campo, appunti in tasca, qualche notte al volante per far quadrare i conti. Una gavetta che non si racconta con i selfie: si misura con i chilometri.
Gli anni a Badalona sono la prima svolta. Lì costruisce identità e metodo: blocco squadra corto, linee vicine, idee chiare sui principi — aggressione ordinata, scelte semplici in uscita, coraggio quando c’è l’onda. Il 2020 gli regala una fotografia che fa il giro dei giornali: il Badalona elimina il Getafe in Coppa del Re. Non è la favola del giorno: è la conferma che dietro c’è struttura.
Seguono Ebro e Peña Deportiva: altri chilometri, altri esercizi di sopravvivenza tattica. Nel luglio 2023 l’Espanyol gli affida la seconda squadra. A marzo 2024, con la prima in difficoltà, succede ciò che il calcio premia di rado: sale in cabina e prende il comando. Tre mesi dopo, nei playoff, l’Espanyol rientra in Primera. È un ritorno costruito con calma catalana e polso gallego: compattezza, letture pulite, scelta delle battaglie.
La stagione successiva, la prima intera nella massima serie, è un test di tenuta. Aprile 2025 diventa il suo manifesto: tre vittorie di fila, squadra che respira, e un riconoscimento ufficiale che vale più di un titolo su un giornale — «allenatore del mese». Non è una medaglia estetica: certifica che il lavoro, quando è continuo, lascia segni anche in un campionato feroce. A maggio, l’Espanyol si salva. Non per caso.
Biografia che diventa metodo. L’autobus ti insegna due cose: orari e persone. In campo si traducono in timing e gestione. González parla poco, osserva molto, anticipa i bivi: «servono idee semplici per momenti complicati».
Allenare è studiare. La sua salita non ha scorciatoie: giovanili, senior, categorie intermedie, un sistema di principi replicabile in contesti differenti. La costanza — più della creatività estemporanea — è la firma.
Spogliatoio e contesto. Non usa slogan, usa anticorpi: nelle settimane dure riduce la complessità, protegge i suoi riferimenti (portiere, due leader posizionali, un finalizzatore). L’Espanyol ha imparato a soffrire senza sbandare.
Partite come orari. Ogni gara ha finestre da non perdere. Nelle tre vittorie di aprile 2025, l’Espanyol è puntuale: pressione alta quando l’avversario è “freddo”, blocco medio-basso quando serve arrivare in fondo con energia nelle transizioni.
Niente aureole. La narrativa del «conducente diventato allenatore» rischia di fare folklore. La verità è meno romantica e più utile: un professionista che ha trasformato la propria storia in disciplina.
Studia il tuo contesto. Prima delle lavagne: risorse, limiti, calendario. L’aderenza alla realtà è un vantaggio competitivo.
Sistema > schema. Pochi principi allenati tutti i giorni battono il catalogo di soluzioni.
Gestisci la fatica. Il calendario non lo comandi: comandi l’intensità allenabile e l’uso dei cambi.
Cura i dettagli del “tempo”. Le partite si vincono nei cinque minuti giusti. Allenali: rimesse, dopo-gol, ripartenze a blocchi.
Racconta poco, mostra molto. Il gruppo percepisce coerenza e chiarezza più di qualsiasi discorso.
Lo immaginiamo ancora lì, mano sulla leva, specchio retrovisore allineato. Oggi il tragitto passa per Cornellà-El Prat, gambe di Puado che accendono la curva, guantoni di Joan García che tengono la linea viva, un intero stadio che si affida a un tecnico che viene da lontano ma non perde mai la direzione. È la storia di uno che ha guidato persone prima di guidare partite. E che, adesso, quando l’arbitro fischia, sa già qual è la prossima fermata.