Lutto nel calcio
17 Novembre 2025
Era una partita di beneficenza, una di quelle in cui la memoria prova a trasformarsi in futuro. A Lutsk, nel nord-ovest dell’Ucraina, il pallone correva leggero tra sorrisi e abbracci, sullo sfondo di un Paese che ha imparato a usare lo sport come terapia collettiva. Poi, all’improvviso, la scena si è fermata: Andriy Polunin, 54 anni — nato il 5 marzo 1971 — è crollato a terra. I compagni, l’ambulanza, il silenzio. Poco dopo è arrivata la conferma: arresto cardiaco, decesso in ospedale. Accade il 15 novembre 2025, durante un match tra veterani, e l’Ucraina del calcio perde un centrocampista che aveva fatto della sobrietà la sua firma e del servizio al gioco la sua missione. La notizia è stata resa pubblica dalla Nazionale Veterani e rilanciata da diversi club che ne hanno segnato la storia: Dnipro, Karpaty Lviv, Metalist 1925. Nel mezzo, un dettaglio non secondario: stavolta la beneficenza era per chi, in questi anni, sta difendendo il Paese. Questo spiega il perché di quel fischio d’inizio, e rende più duro da accettare l’ultimo fischio, senza recupero.
Nei primi lanci d’agenzia l’età è stata indicata in 55 anni. I dati anagrafici ufficiali chiudono la questione: 5 marzo 1971 – 15 novembre 2025 fa 54, non 55. Attenzione ai dettagli: sono quelli che Polunin ha inseguito per tutta la carriera.
Per incasellarlo basta una parola: equilibrio. Centrocampista centrale — capace all’occorrenza di alzare la posizione da trequartista — Polunin cresce nella scuola calcio di Dnipropetrovsk e debutta tra i professionisti nel 1989 con lo Shakhtar Pavlohrad. La consacrazione arriva con il Dnipro Dnipropetrovsk: 152 presenze e 23 reti in campionato tra 1990 e 1996, gli anni in cui il nuovo calcio ucraino prende forma dopo l’URSS. Poi il passaggio a CSKA Kyiv, a Karpaty Lviv, quindi il volo in Germania. Tornato a casa, chiuderà il cerchio tra Dnipro e Kryvbas fino all’addio del 2004.
Con la nazionale ucraina, 9 gettoni e 1 gol. Non un gol qualsiasi: il 19’ di Italia–Ucraina 3-1 a Bari, qualificazioni a Euro ’96. In una notte di grandi nomi — Ravanelli, Maldini, Del Piero — fu proprio Polunin a sbloccarla. Una zampata nel cuore del San Nicola, memoria che si è fatta citazione per chi ama i dettagli nascosti nelle partite che contano.
Il match di Lutsk non era un’amichevole qualunque. Negli ultimi anni la Nazionale Veterani dell’Ucraina e vari club hanno moltiplicato gli eventi a scopo benefico, raccolte fondi e partite con i veterani delle forze armate. Calcio come ponte sociale, occasione per unire memoria sportiva e solidarietà. È in questo contesto che Polunin ha indossato ancora i parastinchi. Secondo le cronache dei club e dei media locali, la tragedia si consuma subito dopo la fine del match dei veterani: collasso, malore, tentativi di rianimazione, il trasferimento in ospedale. La diagnosi più citata è infarto. L’annuncio ufficiale della scomparsa è stato rilanciato da Metalist 1925, club in cui Polunin lavorava come chief scout dal 1° gennaio 2025, e da Karpaty Lviv, che lo attendeva a breve per un’iniziativa già calendarizzata.
Non tutti lo ricordano, ma Polunin è stato anche un ex Bundesliga. Nel 1998 la chiamata del 1. FC Nürnberg: 16 presenze e 2 gol in Bundesliga. La stagione successiva il trasferimento al FC St. Pauli in 2. Bundesliga: 29 presenze e 4 reti. Il totale tedesco dice 45 gettoni nei due principali livelli del calcio professionistico tedesco. Completa il triennio teutonico il biennio al Rot-Weiss Essen, all’epoca fuori dall’élite. Per i database statistici è il ritratto di un centrocampista “box-to-box” capace di continuità più che di picchi, un profilo tradizionale da equilibratore che in Germania ha trovato campo e rispetto.
Il vero orizzonte tecnico di Polunin resta il Dnipro. A Dnipropetrovsk (oggi Dnipro) Andriy diventa simbolo di un club che negli anni ’90 prova, tra mille difficoltà, a restare agganciato al treno europeo. Conquista medaglie d’argento e di bronzo in campionato, partecipa alle coppe, attira le attenzioni dei selezionatori della nazionale. È qui che matura il calciatore che segnerà a Bari e che attraverserà frontiere tecniche e geopolitiche senza perdere il baricentro.
Appesa la maglia, Polunin non lascia il calcio: lo rilegge. Passa per il Kryvbas come osservatore, per il Naftovyk-Ukrnafta come direttore sportivo e persino presidente nel 2008, quindi entra nell’organigramma dell’Arsenal Kyiv. Negli anni recenti collabora come scout anche con Dnipro-1. Dal 2025 è capo degli osservatori del Metalist 1925. Chi lo ha incrociato in questi ruoli lo descrive come un professionista rigoroso, più interessato al lavoro silenzioso di costruzione che alle luci di una conferenza stampa. Un’altra forma — meno appariscente, ma necessaria — di servizio al gioco.
La prima ondata di cordoglio arriva da club e media ucraini: Metalist 1925 pubblica una nota di dolore e vicinanza alla famiglia, Karpaty Lviv ricorda che Polunin sarebbe dovuto arrivare a Leopoli la settimana successiva per un appuntamento con i tifosi e i veterani. Testate locali e nazionali rilanciano, dalla Volyn alla capitale. È un lutto che attraversa la mappa del calcio ucraino, perché Polunin l’ha attraversata per una vita: da Pavlohrad a Dnipro, da Kyiv a Lviv, fino a Lutsk, e molto oltre, passando per Norimberga, Amburgo, Essen.
Dal 2022 in poi, il calendario della Nazionale veterani e dei club storici si è riempito di partite dal valore sociale: raccolte fondi, sostegno ai veterani, iniziative con i reparti che rientrano dal fronte. Partite in cui la memoria non è nostalgia ma strumento per stare nel presente. Non è un caso che Polunin, negli ultimi anni, fosse presenza assidua: il calcio come legame con la comunità, come solidarietà organizzata. A Lutsk quel legame si è spezzato, lasciando però un segno che, per la comunità locale, diventa eredità e responsabilità.
Nelle cronache locali si parla di infarto come causa del decesso. Molte testate specificano il “malore fatale” dopo la gara, altre fonti scrivono di attacco cardiaco durante o subito dopo il match. In assenza di un bollettino clinico ufficiale, la formulazione più corretta è: decesso per cause cardiache improvvise legate allo sforzo agonistico. È un linguaggio prudente, ma necessario.
Ci sono calciatori che restano nei nostri album perché hanno sollevato trofei. E ce ne sono altri che restano per come hanno giocato quella che chiamiamo “partita lunga”: impegno, affidabilità, intelligenza tattica, disponibilità a ricominciare da dietro o a inserirsi davanti. Polunin appartiene alla seconda categoria. La sua eredità tecnica è fatta di linee di passaggio, di tempi riconosciuti prima degli altri, di letture in cui l’ego si mette al servizio del gioco.
Ma è anche un’eredità civile: l’idea che il calcio non scade al 90’. Se stai dentro il sistema — come dirigente, osservatore, istruttore — quell’esperienza tornerà a fruttare. È ciò che Polunin ha fatto dal 2007 in poi, cambiando scrivania e città ma non metodo. Chi lo ha conosciuto parla di un uomo capace di unire la praticità dell’ex centrocampista alla curiosità dell’osservatore: poco rumore, molte schede, partite viste nell’anonimato di tribune secondarie, chilometri percorsi per un’idea di calcio che non ha mai tempo.
La tappa tedesca vale più di una riga nelle statistiche. Quel calcio di fine anni ’90 chiedeva ai centrocampisti di macinare metri, verticalizzare con coraggio, reggere il duello fisico. Polunin ha imparato la lingua, si è integrato nello spogliatoio, ha indossato le maglie di Norimberga e St. Pauli: due città e due club molto diversi, la prima più classica, la seconda con una tifoseria identitaria e militante. Per entrambi è stato un giocatore utile, non un cartellone pubblicitario. E il fatto che, rientrato in patria, fosse richiesto da realtà con esigenze differenti (dal Dnipro al Kryvbas) spiega la sua versatilità.
Resta quella rete al San Nicola. Se cerchiamo una sintesi sentimentale di Polunin, è tutta lì: inserimento senza palla, coraggio nel calciare, fiducia nel movimento collettivo. L’Italia di Arrigo Sacchi vincerà 3-1, ma quel minuto 19 in cui un ucraino fa rumore in uno stadio italiano racconta bene il senso del viaggio sportivo di Andriy. Un lampo nel luogo meno prevedibile, una firma messa dove di solito firmano gli altri.
Ci sono storie che finiscono dove sono iniziate: su un campo. Andriy Polunin ha chiuso lì dove aveva deciso di restare, tra compagni, veterani, tifosi. In Germania conta 45 presenze tra Bundesliga e Zweite, in Ucraina lascia più di 300 partite tra élite e coppe, nella nazionale un gol che resiste nei tabellini. Ma il suo vero lascito non è un numero in grassetto: è l’idea che il calcio sia lavoro onesto, comunità, responsabilità. In un’epoca che spesso confonde spettacolo e valore, la sua è una lezione discreta, forse per questo necessaria.