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Diritti

Oggi è la giornata mondiale dell'infanzia e dell'adolescenza

Ogni bambino ha diritto al gioco: quando un pallone vale più di mille parole

Oggi è la giornata mondiale dell'infanzia e dell'adolescenza

Oggi è la Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Un nome lungo, quasi da legge dello Stato (perché infatti lo è), ma in fondo parla di una cosa semplicissima: ogni bambino ha diritto a essere bambino. Anche – e soprattutto – quando indossa una maglia, dei parastinchi e corre dietro a un pallone.

Alle 18.30 di un martedì qualunque, il campo di periferia sembra il centro del mondo.
I fari si accendono, il respiro diventa nuvole bianche nell’aria fredda, i bambini arrivano a ondate: chi trascina lo zaino più grande di lui, chi corre perché è in ritardo, chi si attacca alla rete per cercare con gli occhi mamma o papà.

Qui nessuno parla di Convenzioni internazionali o articoli di legge. Qui si parla di modulo, di classifica, di chi parte dall’inizio. Eppure, senza saperlo, questi ragazzi stanno facendo una cosa gigantesca: stanno esercitando il loro diritto al gioco.

La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia lo chiama così, «diritto al riposo e al gioco, alle attività ricreative e sportive adatte alla loro età». Tradotto in linguaggio da spogliatoio: il diritto di correre, ridere, sbagliare, riprovare, senza sentirsi piccoli adulti sotto esame.


Qui, dove il pallone è un diritto silenzioso

Per molti bambini e ragazzi dei nostri campionati, il calcio è un’abitudine talmente radicata da sembrare scontata:
allenamento due o tre volte a settimana, partita nel weekend, torneo di fine stagione, foto di squadra con tutti in fila e maglie ben tirate.

Ci lamentiamo del campo pesante, degli orari impossibili, del traffico per arrivare al centro sportivo, del meteo che sembra sempre contro di noi. Ma quasi mai ci fermiamo a pensare che, dietro a tutto questo, c’è un lusso che non si vede: poter giocare.

Poter arrivare al campo con qualcuno che ti accompagna.
Poter entrare in uno spogliatoio, avere una doccia, un pallone, una divisa.
Poter discutere animatamente di chi batte la punizione, e non di dove trovare da mangiare.

Sono dettagli minuscoli nella nostra routine. Eppure, se li guardi con la lente della Giornata dell’infanzia, raccontano un privilegio enorme.


Là, dove il gioco viene negato

Mentre qui ci arrabbiamo per un rigore non fischiato nell’Under, da qualche parte nel mondo la stessa età è un’altra cosa:
un palazzo crollato, una tenda in un campo profughi, una strada dove è meglio non fermarsi troppo, una fabbrica dove la sirena sostituisce la campanella.

Ci sono bambini che non hanno un campo, ma macerie.
Che non hanno una maglia con il numero stampato, ma una tuta da lavoro.
Che non litigano per il tempo di gioco, perché il tempo non è loro: è della guerra, della povertà, degli adulti che decidono al posto loro.

Gli organismi internazionali che si occupano di infanzia lo ripetono ogni anno: milioni di bambini nel mondo non hanno accesso al gioco, allo sport, a un ambiente sicuro dove crescere. Alcuni vivono in zone di conflitto, altri in condizioni di povertà estrema, altri ancora sono costretti a lavorare troppo presto.

Se il gioco è la lingua madre dell’infanzia, per molti di loro questa lingua è stata tagliata. E quando togli il gioco a un bambino, non gli rubi solo un passatempo: gli togli uno spazio in cui imparare a fidarsi, a condividere, a sbagliare senza paura.


Il pallone come messaggio universale

Qui entra in scena il calcio. Non quello dei contratti milionari e delle luci delle grandi arene, ma quello che conosciamo tutti: un pallone un po’ sgonfio, due felpe per fare i pali, venti minuti rubati alla giornata.

Non esiste «lingua straniera» che i bambini imparino così in fretta come il calcio.
Non servono traduttori, bastano gesti:

  • tu fai la porta,

  • io tiro,

  • chi segna sta in porta,

  • chi arriva ultimo mette a posto.

In cinque minuti hai una squadra mista di lingue, storie, provenienze.
In dieci minuti hai le prime risate.
In un quarto d’ora, il pensiero di tutto quello che c’è fuori dal campo – bombe, problemi, paura – fa un passo indietro.

Per questo, in tanti progetti umanitari, il primo gesto è spesso portare un pallone e tracciare due porte. Il calcio non risolve la guerra o la fame, ma può aprire una fessura: un luogo dove un bambino torna, almeno per un po’, a essere solo un bambino.

E se il pallone è un messaggio universale, chi lo racconta – come noi, come voi che leggete Sprint e Sport – ha una responsabilità in più: ricordarsi che, dietro ogni rete segnata in un campionato giovanile, c’è il privilegio di poter giocare in sicurezza.


Noi e «loro»: uno specchio scomodo

A volte basta mettere le frasi una sotto l’altra per capire la distanza:

  • Noi ci lamentiamo perché il campo è pesante.
    Loro il campo non ce l’hanno proprio.

  • Noi discutiamo per chi batte la punizione.
    Loro sognano una punizione che non sia quella della vita.

  • Noi viviamo la partita come fosse una finale mondiale in miniatura.
    Loro il mondiale lo vedono, quando va bene, su una tv in un centro di accoglienza affollato.

Non è un confronto per farci sentire in colpa.
È uno specchio per ricordarci che ogni volta che trasformiamo il calcio dei bambini in un tribunale, stiamo sprecando un privilegio.


Un patto con i bambini (qui e altrove)

La Giornata dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza serve a questo: fermarsi un attimo, fare silenzio, e chiederci che cosa stiamo facendo noi adulti con il potere che abbiamo tra le mani. Perché sì, rispetto a un bambino, abbiamo potere: di parola, di tempo, di scelta.

Proviamo allora a immaginare un piccolo patto, da firmare idealmente bordo campo.

1. Non rubare infanzia in nome del risultato
Se un bambino entra in campo e si sente in un esame di maturità, non è più gioco.
La competizione è sana, la paura di deludere no.

2. Ricordarci quanto siamo fortunati
Ogni allenamento che parte in orario, con un campo, un arbitro, una divisa, è già una vittoria che altrove non possono neanche immaginare.

3. Usare il calcio per mandare messaggi giusti
Contro il razzismo, contro l’esclusione, contro il bullismo. La squadra può diventare un piccolo mondo dove nessuno viene lasciato fuori, dove la diversità non è un problema ma un vantaggio.


E da domani?

Oggi i nostri ragazzi andranno a scuola, poi magari in campo. Faranno quello che fanno sempre: proveranno a segnare, si arrabbieranno per un cambio, discuteranno di un contatto in area, rideranno nello spogliatoio.

Forse molti di loro non sapranno neanche che è la Giornata dei diritti dell’infanzia.
Ma, se ci pensiamo bene, ogni fischio d’inizio nel calcio giovanile è una piccola celebrazione di questa giornata: un minuto in più in cui l’infanzia viene rispettata, non compressa.

Il compito degli adulti – allenatori, dirigenti, genitori, arbitri, cronisti, noi di Sprint e Sport – è uno solo: fare in modo che quel minuto non si trasformi in un peso, ma resti quello che dovrebbe essere da sempre.

Un gioco.
Il loro gioco.
Il loro diritto.

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