Calcio estero
22 Novembre 2025
All’ora di cena, in una sala stampa qualunque, Marcelo Bielsa ferma il tempo con una frase che taglia come un coltello: “Il calcio non è più dei poveri”. Fuori, allo stesso momento, una coppa con inciso “Campeón de Liga” viene consegnata in un ufficio di Puerto Madero: la AFA proclama il Rosario Central “campione dell’anno” per aver chiuso in testa la classifica annuale, nonostante quel titolo non esistesse nel regolamento. Due scene, un unico filo rosso: il calcio argentino è stretto tra la spinta alla massima commercializzazione e scelte istituzionali che alimentano diffidenza. In mezzo, il dibattito mai sopito sulle Sociedades Anónimas Deportivas (le SAD), rinvigorito dal presidente Javier Milei e dal dirigente Juan Sebastián Verón, promesse di investimenti da 150 milioni di dollari e, sullo sfondo, aule di tribunale che mettono paletti. È il ritratto di un movimento che corre, ma non sa se sta scappando o cercando di salvarsi.
Il 20 novembre 2025, il Comitato Esecutivo della Liga Profesional riunito sotto l’egida della AFA certifica una novità: il Rosario Central viene riconosciuto come “Campione di Liga 2025” per aver chiuso prima nella “Tabla Anual” con 66 punti (18 vittorie, 12 pareggi, 2 sconfitte). La coppa, consegnata al capitano Ángel Di María e a una delegazione guidata dal presidente Gonzalo Belloso e dal tecnico Ariel Holan, sancisce un primato sportivo indiscutibile — ma la forma fa rumore: quel titolo non figurava nelle basi del torneo. Il regolamento prevedeva Apertura, Clausura e Trofeo de Campeones; la quarta “stella” appare in corsa.
La mossa viene raccontata come un “riconoscimento al merito annuale” e, secondo quanto precisato, non assegna un posto extra in Copa Libertadores né altera altre competizioni. Resta però la domanda cruciale: cambiare il quadro a stagione in corso è governance o arbitrio? La percezione, per molti, è che il confine sia stato valicato. Non a caso, la decisione ha diviso commentatori, dirigenti e tifosi, con testate in Argentina, Cile e media internazionali che ne sottolineano l’inedito.
Mentre l’Argentina discute, Marcelo Bielsa — oggi c.t. dell’Uruguay — riporta il dibattito all’essenziale: chi è il calcio e per chi si gioca? In più di una conferenza, il tecnico ha criticato la deriva industriale del gioco: calendario ipertrofico, riposi compressi, pre-season cancellate, un prodotto che rischia di peggiorare proprio mentre incassa di più. Ma soprattutto, un allontanamento sociale: “Quello che i più poveri mantenevano orizzontalmente, non lo hanno più”. ◆ È un’accusa frontale alla distanza tra tifosi con meno risorse e poteri economici che plasmano il pallone. Le reazioni sono opposte: c’è chi applaude la lucidità, c’è chi bolla tutto come “demagogia”. Il fatto è che, detta da Bielsa, quella frase resta sul tavolo come un promemoria scomodo.
L’argomento non è astratto. Nel 2025 la prima edizione del nuovo Mundial de Clubes a 32 squadre si è giocata negli Stati Uniti dal 14 giugno al 13 luglio, un mese nel cuore della finestra estiva: 63 partite, 12 stadi, un format che replica quello dei Mondiali per Nazionali. È un’operazione gigantesca che fotografa alla perfezione la tensione tra espansione del business e tutela del gioco. Per molti allenatori — e Bielsa è tra questi — la moltiplicazione degli impegni riduce la qualità e alza il rischio di infortuni, mentre i prezzi e le barriere d’accesso crescono.
Il presidente Claudio “Chiqui” Tapia guida una AFA che, sul profilo delle Nazionali, ha vissuto un triennio irripetibile: Mondiale 2022, Finalissima 2022, Copa América 2021 e 2024. Risultati che hanno blindato il suo profilo pubblico. Ma in parallelo, la gestione del calcio domestico ha accumulato dossier controversi: dalla resistenza alle SAD alla decisione di battezzare il “campione annuale”, fino ai botta e risposta con figure internazionali come Javier Tebas (presidente de LaLiga), che ha criticato lo stato di salute del calcio argentino ricevendo una replica durissima da parte di Tapia. L’immagine: un’istituzione al tempo stesso assertiva e assediata.
Sul fronte SAD, la posizione di Tapia è chiara: lo statuto della AFA riconosce solo “associazioni civili senza fini di lucro”. Ne deriva che, anche con un quadro legale più flessibile, i club che mutassero natura non potrebbero essere affiliati. Il dirigente lo ha ribadito più volte, opponendosi a forzature — e incassando, sul terreno giudiziario, successi importanti: la Giustizia Federale ha sospeso gli articoli del DNU 70/2023 e della sua regolamentazione (Decreto 730/2024) che aprivano la strada alle SAD. È una tregua, non la fine della guerra: il governo ha impugnato e punta alla Corte Suprema.
Dall’altra parte della barricata c’è Javier Milei. Il Presidente ha legato la retorica della “modernizzazione” del calcio alla necessità di sbloccare l’arrivo di capitali privati. Anche sfruttando momenti simbolici — come la doppia eliminazione di Boca e River al Mundial de Clubes — Milei ha imputato alla “vecchia struttura” l’incapacità di competere, additando la AFA come ostacolo. Il suo progetto, però, si è impantanato nelle aule: i giudici hanno fermato gli effetti del DNU che autorizzava le SAD; l’Esecutivo ha fatto appello, deciso a tenere aperta la partita.
Nel mezzo, un’esperienza che potrebbe diventare paradigma: Estudiantes de La Plata. Il presidente Juan Sebastián Verón ha promosso un accordo con l’imprenditore statunitense Foster Gillett: un piano di 150 milioni di dollari in 30 anni per il solo comparto calcio, attraverso una società veicolo, senza trasformare il club in SAD. Verón parla apertamente di modello ibrido: tutelare l’identità sociale, ma aprire alla gestione privata del professionismo; se il progetto non funzionasse, il calcio tornerebbe sotto il perimetro associativo. La proposta richiede l’ok dell’assemblea dei soci e fa discutere: opportunità o cavallo di Troia? Intanto, è già un banco di prova nazionale.
La proclamazione “in corsa” del Rosario Central è diventata un caso di studio. Sul piano comunicativo, la AFA ha voluto valorizzare il concetto di “merito sportivo annuale”, una leva usata in altre leghe per premiare la continuità. Sul piano regolamentare, però, ha messo in crisi la certezza delle regole: se un trofeo non è contemplato in partenza, introdurlo a stagione in corso rischia di indebolire la fiducia nel sistema. Il fatto che la consegna sia avvenuta in sede amministrativa, e non in campo, ha alimentato la sensazione di un calcio “di scrivanie”. Non sono dettagli: la credibilità è la valuta più preziosa di un torneo, soprattutto in un contesto già acceso da altre controversie.
Le parole di Bielsa trovano eco nella geografia del pallone globale. L’allargamento del Mundial de Clubes a 32 partecipanti e 63 gare in 30 giorni, con finale il 13 luglio 2025 al MetLife Stadium, è il simbolo di un calcio che allunga la stagione fino a saturarla. I broadcaster pagano, gli sponsor spingono, le piattaforme globali moltiplicano l’offerta. Ma dentro gli stadi e davanti agli schermi rimangono le persone. E molte di quelle persone non riescono più a permettersi viaggi, biglietti, abbonamenti. Ecco il cuore dell’argomentazione: quando il calendario si dilata per fare spazio al denaro, cresce anche la distanza tra chi produce il gioco e chi lo vive.
Che il calcio argentino sia un giacimento tecnico e culturale non lo scopriamo oggi. Ma proprio per questo il suo futuro non può dipendere da colpi di mano o crociate. L’espansione globale trascina opportunità economiche reali, e ignorarle sarebbe miope. Allo stesso tempo, però, se i prezzi e la complessità del calendario escludono i tifosi con meno mezzi — quelli che storicamente hanno riempito le tribune e scritto canzoni — allora il gioco perde il suo volto. È il paradosso che Bielsa ha messo a nudo: più soldi non significa automaticamente miglior calcio o maggiore felicità per chi lo segue.
L’Argentina ha ancora la forza per disegnare un modello proprio: tenere fermo il pilastro dell’associazionismo, completarlo con meccanismi regolati di investimento che non snaturino i club, blindare regole e format prima di ogni stagione, e rimettere al centro l’accessibilità. La AFA può guidare questo percorso se sceglie la rotta della trasparenza e del metodo; il governo può essere alleato se rinuncia alle scorciatoie. I club devono fare la loro parte progettando sostenibilità vera — impianti, vivaio, dati e formazione — e dicendo “no” a scorciatoie finanziarie opache.
Intanto, la coppa del Rosario Central resta lì, a ricordare che il calcio premia chi gioca meglio e più a lungo. Ma le istituzioni devono garantire che i titoli siano il culmine di un patto chiaro con chi scende in campo e con chi sta sugli spalti. Perché — al netto di business, decreti e strategie — la domanda resta una, semplice e feroce: a chi appartiene il calcio? La risposta, se vogliamo che abbia ancora senso, deve includere anche chi oggi rischia di rimanere fuori dal cancello.
Se c’è una sintesi possibile, sta tutta nella distanza tra la coppa alzata in ufficio e la curva che canta. Ridurre quel divario è l’unica riforma che conti davvero.