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L'eredità culturale di Ornella Vanoni: perché continua a parlare alle nuove generazioni

Dalla “cantante della mala” alle playlist Gen Z: un’eredità che salta i decenni e riscrive le regole del pop italiano

L'eredità culturale di Ornella Vanoni: perché continua a parlare alle nuove generazioni

La notte in cui Milano si è fatta silenziosa – poco prima delle 23 di venerdì 21 novembre 2025 – in un appartamento, una voce che ha insegnato all’Italia a pronunciare la parola “desiderio” si è spenta per un arresto cardiocircolatorio. A 91 anni, Ornella Vanoni ha lasciato la sua città e un vuoto che non suona di passato. Perché se è vero che l’icona della nostra musica leggera se n’è andata, è altrettanto vero che l’eco delle sue canzoni – e del suo modo di stare al mondo – continua a vibrare dentro una generazione che oggi ascolta suoni globali, scorre video verticali e pretende autenticità. L’eredità di Vanoni non è un monumento: è una conversazione ancora aperta.

Secondo le ricostruzioni, la “Signora” è morta nella sua casa di Milano; i soccorritori del 118 non hanno potuto che constatare il decesso. La notizia, diffusa tra la tarda serata del 21 e la primissima ora del 22 novembre 2025, ha mosso le voci del Paese: dal conduttore Fabio Fazio (“Non ero pronto”) a Luciana Littizzetto (“Tesora mia adorata”), fino al messaggio del Ministro della Cultura Alessandro Giuli, che ha parlato di una delle artiste “più originali e raffinate”. Al cuore rimangono due dati: una carriera di quasi settant’anni e vendite stimate da oltre 50 a 55 milioni di dischi, a seconda delle fonti. La Gazzetta.it ricorda otto partecipazioni a Sanremo (seconda nel 1968 con “Casa bianca”), il Premio alla carriera della città di Sanremo (1999) e, soprattutto, un primato storico: nel 1981 fu la prima donna a ottenere il Premio Tenco.

Le radici del mito: teatro, mala, modernità

Prima dei riflettori del pop, ci fu il teatro. Il Piccolo Teatro di Milano di Giorgio Strehler accoglie una giovanissima Ornella a metà degli anni ’50: qui nasce l’idea delle “canzoni della mala”, un repertorio che mette in musica la Milano delle ombre con la collaborazione – tra gli altri – di Fiorenzo Carpi e Dario Fo. “Ma mì”, inciso nel 1959, resta una delle pietre angolari di quella stagione. Dal palco alla canzone, il passo è breve: l’incontro con Gino Paoli all’inizio dei ’60 porta a brani d’autore e a un’estetica che abbina sensualità sonora e precisione interpretativa. In seguito, Vanoni fonda la sua etichetta Vanilla, anticipando una cultura dell’autoproduzione oggi naturale per chi nasce su piattaforme digitali.

L’intuizione che l’avrebbe resa senza tempo arriva nel 1976: “La voglia, la pazzia, l’incoscienza, l’allegria”, album con Vinícius de Moraes e Toquinho, fonde bossa nova e lingua italiana, apre un dialogo col Brasile che anticipa di decenni l’odierna passione italiana per le contaminazioni latine e elettroniche. Quel disco entrerà, anni dopo, tra i 100 migliori album italiani secondo Rolling Stone.

Perché le nuove generazioni la ascoltano davvero

L’influenza di Ornella Vanoni sulle nuove generazioni è misurabile su più assi.

  1. L’asse dei suoni: nel 2024, a 90 anni, pubblica “Diverse” (BMG, uscita il 18 ottobre 2024), un progetto che “disco-illumina” brani del suo repertorio con la mano di producer contemporanei (da Protopapa & Dumar a Bruno Bellissimo, okgiorgio, Lorenzo Morresi e altri). In digitale e in edizioni fisiche speciali, “Diverse” debutta nella Top 15 FIMI album e al n.2 tra i supporti fisici: segno che il catalogo di una diva può ancora suonare nuovo ai ragazzi e prezioso ai collezionisti.
  2. L’asse delle collaborazioni: già nel 2021 Vanoni pubblica “Unica”, chiamando a raccolta penne e voci della scena ’00-’20Francesco Gabbani, Carmen Consoli, Virginia Raffaele, Giuliano Sangiorgi, Pacifico – e firmando un ritorno d’autore che evita il citazionismo. “Un sorriso dentro al pianto” (musica di Gabbani, testo con Pacifico e Vanoni) è una dichiarazione estetica: eleganza che non teme l’attualità.
  3. L’asse del pop generazionale: nel luglio 2021 è complice e regina di “Toy Boy” con Colapesce Dimartino, video di Luca Guadagnino. Un cameo che non è cameo: qui Ornella si mette in gioco in una bossa leggera che dialoga apertamente con il suo disco del 1976. Nel 2024, per i 90 anni, rilegge “Ti voglio” insieme a Elodie e Ditonellapiaga: due popstar di oggi che dichiarano, con gesto e suono, la loro filiazione artistica.

“Intervista” a chi la studia e a chi l’ascolta oggi: voci critiche e voci pop

Non si può trasformare il dolore in retorica: meglio affidarsi alle voci. Quelle dei critici, che hanno osservato l’ultimo tratto della sua corsa; e quelle dei giovani artisti, che l’hanno incontrata nel suono e nella vita.

  1. La critica pop ha letto “Diverse” come un gesto di modernizzazione consapevole. In una recensione, si riconosce all’“ex cantante della mala” la “straordinaria capacità di adattarsi ai nuovi suoni senza perdere autenticità”, pur ammettendo che l’operazione potesse “dividere” i puristi. Non un tributo, ma una tensione viva tra memoria e presente.
  2. Alla domanda: perché una novantenne riesce a parlarti come una coetanea? Un’analisi di taglio giornalistico ha colto il punto: “si può essere giovani a 90 anni quando ci sono idee e prospettive”. È il quadro con cui parte della critica ha accompagnato l’uscita di “Diverse”, sottolineando l’energia creativa dell’artista.
  3. La stampa musicale generalista ha marcato il segno dei 90 con un profilo che ritrae una Vanoni “calma rivoluzionaria”: carisma intatto, ironia viva, resilienza fisica (l’operazione al femore nel 2022) raccontate non come eccezioni, ma come componente organica del suo personaggio pubblico. Anche questa è eredità: insegnare che il tempo può essere un alleato narrativo.
  4. Dal lato pop, le parole delle nuove protagoniste sono più eloquenti di mille schemi. Annunciando “Ti voglio”, Ditonellapiaga spiegava di considerare “Io fuori” (1977) un disco che l’ha “segnata” come cantautrice; e confessava l’ammirazione per il racconto in prima persona di Vanoni, capace di sedurre il presente senza nostalgia. La collaborazione con Elodie ha amplificato l’effetto-specchio: due linguaggi, una sola grammatica del desiderio.
  5. Tra i più giovani cantautori maschili, il tributo è arrivato in ore di lutto: “Ciao amica mia”, ha scritto Marracash; “Era immensa in ogni sua manifestazione artistica e umana”, le parole di Annalisa pochi minuti dopo un suo concerto. Non sono solo omaggi: dicono che quel modo di interpretare – più che cantare – è diventato riferimento per chi oggi gioca tra rap, r’n’b e pop italiano.

Le opere-ponte: quando una canzone attraversa un’epoca

Ci sono brani che spiegano più di mille trattati il perché di un’eredità.

  1. L’appuntamento” (1970), versione italiana di “Sentado à beira do caminho” (Roberto & Erasmo Carlos), è il punto in cui l’intimismo di Vanoni abbraccia l’immaginario globale. Quando entra nella colonna sonora di “Ocean’s Twelve” (2004), diventa un classico anche per chi non conosce l’italiano. Nel 2025, le agenzie internazionali la citano come signature song: è la prova che la voce può essere più universale delle parole.
  2. La voglia, la pazzia, l’incoscienza, l’allegria” (1976) è l’album manifesto della contaminazione: samba, MPB, lirismo e teatralità italiana. Non è soltanto un capolavoro “di allora”: è la mappa che consente a Toy Boy di Colapesce Dimartino (estate 2021) di parlare a un pubblico nuovo evocando il clima delle Eolie, e a “Diverse” (2024) di giocare con la disco senza perdere profondità.
  3. Un sorriso dentro al pianto” (2021), scritto con Francesco Gabbani e Pacifico, mostra la cura del testo come strumento di verità. Non è solo una ballata: è una drammaturgia in tre minuti, la stessa che le ha permesso di attraversare otto Sanremo senza snaturarsi.

I numeri che contano (davvero)

Le cifre sono importanti, ma da sole non bastano. Il conteggio delle vendite oscilla, come spesso accade per i grandi cataloghi, tra oltre 50 milioni e 55 milioni di dischi. Le partecipazioni a Sanremo sono otto, l’ultima da ospite nel 2023; il Premio Tenco del 1981 – confermato dagli archivi del Club Tenco – la consacra come prima donna a riceverlo, e nel 2022 arriva anche il Premio Tenco Speciale. L’insieme racconta una carriera che è passata dai 45 giri alle edizioni limitate in vinile di “Diverse”, dalla tv in bianco e nero alle dirette radio in cui, lo scorso 30 ottobre 2024, spiegava: “Volevo fare qualcosa di nuovo e di diverso, così è nata l’idea di riprendere dei miei brani”.

Il carisma oltre la musica: una “opinione” che educa all’indipendenza

Gli ultimi anni l’hanno vista presenza fissa a “Che tempo che fa”, dove la sua autoironia e il suo gusto per la verità hanno costruito un rapporto diretto con un pubblico giovanissimo. Qui Vanoni non ha mai accettato di farsi “opinion leader”: ha solo portato se stessa, con la libertà di chi ha attraversato teatro, televisione, moda e canzone d’autore, raccontando amori (da Gino Paoli a una biografia sentimentale recue ê in “Vincente o perdente”, uscita il 6 maggio 2025). Nella morte, la tv e i social hanno restituito il cordoglio in tempo reale; nella vita, lei ha mostrato che si può essere pop senza essere conformi.

“Esempio” più che icona: cosa imparano oggi i giovani da Vanoni

  1. La centralità dell’interpretazione. In un’epoca che premia la scrittura e il beat, Vanoni ricorda che il corpo del brano è anche l’aria tra una parola e l’altra, il respiro, la pausa. È un’eredità tecnica che oggi affascina cantautori e rapper: basta sentire come Annalisa affronta la ballata pop o come Marracash usa la voce a volume basso per capire la lezione.
  2. La contaminazione come grammatica. Dal Brasile al disco elettronico, Ornella ha praticato la mescolanza non come moda ma come natura. Non stupisce che i producer contemporanei abbiano voluto ridisegnare i suoi classici: l’orecchio di Vanoni è sempre stato internazionale.
  3. L’autonomia d’impresa. La creazione di Vanilla negli anni ’60-’70 anticipa la cultura indie e la mentalità DIY che oggi è ossigeno per chi inizia su TikTok e YouTube.
  4. La gestione del tempo e del corpo. Pubblicare un album di inediti a 86 anni (“Unica”, 2021) e reinventare un repertorio a 90 (“Diverse”) impone un’idea del mestiere senza scadenza, che parla alle nuove generazioni terrorizzate dalla “data di rilascio”: l’arte è processo, non sprint.

Le parole degli altri: cordoglio e riconoscimenti

Alla notizia della morte, la reazione del mondo dello spettacolo è stata corale. Fabio Fazio ha scritto di non essere “pronto”; Luciana Littizzetto ha scelto la sua formula più affettuosa, “Tesora”; la conduttrice Francesca Fagnani ha ricordato come “L’appuntamento” sia la sigla di “Belve”; Loredana Bertè l’ha salutata come “un’artista immensa, senza fine”. Anche il Vicepremier Matteo Salvini ha definito la sua “una voce senza tempo”. Frammenti che compongono il ritratto di un’artigiana del sentire ascoltata trasversalmente.

Le collaborazioni storiche: la mappa di una scuola italiana

Dalla stagione dei cantautori al pop d’autore, il percorso di Vanoni è anche una rete. Ha cantato testi e canzoni di Gino Paoli, Paolo Conte, Lucio Dalla, Fabrizio De André; ha attraversato il jazz (da Gerry Mulligan ai mondi che l’hanno corteggiata) e ha unito generazioni lontane: Toquinho, Vinícius de Moraes da una parte, Colapesce Dimartino, Elodie, Ditonellapiaga dall’altra. È in questo continuo, consapevole passaggio di testimone che sta l’eredità più fertile: non un museo, ma una bottega che continua a produrre senso.

Un addio che somiglia a un inizio

Qualche anno fa, in tv, Ornella Vanoni aveva detto che, quando sarebbe arrivato il momento, avrebbe voluto un funerale semplice, la cremazione e le ceneri sparse in mare. La sua è stata sempre una regia di sobrietà e verità. Ha vissuto abbastanza a lungo da vedere le sue canzoni rientrare dalla finestra delle serie, dei film, delle playlist; e da poter incontrare chi, nato negli anni ’90 e 2000, oggi porta avanti un’idea di pop autoriale che le somiglia.

La notte del 21 novembre 2025 – mentre i social scorrevano e Milano tornava al suo rumore – lo abbiamo capito con certezza: l’eredità culturale di Ornella Vanoni non sta solo nei dischi, nei premi, nei numeri. Sta in un tono di voce. In quella ruga che diventa spartito. In una donna che, per raccontare il desiderio, ha usato la precisione di un’attrice e la libertà di un’interprete. Il resto lo faranno i giovani: lo stanno già facendo.

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