Mondo dello Spettacolo
23 Novembre 2025
La notte in cui Milano si è fatta silenziosa – poco prima delle 23 di venerdì 21 novembre 2025 – in un appartamento, una voce che ha insegnato all’Italia a pronunciare la parola “desiderio” si è spenta per un arresto cardiocircolatorio. A 91 anni, Ornella Vanoni ha lasciato la sua città e un vuoto che non suona di passato. Perché se è vero che l’icona della nostra musica leggera se n’è andata, è altrettanto vero che l’eco delle sue canzoni – e del suo modo di stare al mondo – continua a vibrare dentro una generazione che oggi ascolta suoni globali, scorre video verticali e pretende autenticità. L’eredità di Vanoni non è un monumento: è una conversazione ancora aperta.
Secondo le ricostruzioni, la “Signora” è morta nella sua casa di Milano; i soccorritori del 118 non hanno potuto che constatare il decesso. La notizia, diffusa tra la tarda serata del 21 e la primissima ora del 22 novembre 2025, ha mosso le voci del Paese: dal conduttore Fabio Fazio (“Non ero pronto”) a Luciana Littizzetto (“Tesora mia adorata”), fino al messaggio del Ministro della Cultura Alessandro Giuli, che ha parlato di una delle artiste “più originali e raffinate”. Al cuore rimangono due dati: una carriera di quasi settant’anni e vendite stimate da oltre 50 a 55 milioni di dischi, a seconda delle fonti. La Gazzetta.it ricorda otto partecipazioni a Sanremo (seconda nel 1968 con “Casa bianca”), il Premio alla carriera della città di Sanremo (1999) e, soprattutto, un primato storico: nel 1981 fu la prima donna a ottenere il Premio Tenco.
Prima dei riflettori del pop, ci fu il teatro. Il Piccolo Teatro di Milano di Giorgio Strehler accoglie una giovanissima Ornella a metà degli anni ’50: qui nasce l’idea delle “canzoni della mala”, un repertorio che mette in musica la Milano delle ombre con la collaborazione – tra gli altri – di Fiorenzo Carpi e Dario Fo. “Ma mì”, inciso nel 1959, resta una delle pietre angolari di quella stagione. Dal palco alla canzone, il passo è breve: l’incontro con Gino Paoli all’inizio dei ’60 porta a brani d’autore e a un’estetica che abbina sensualità sonora e precisione interpretativa. In seguito, Vanoni fonda la sua etichetta Vanilla, anticipando una cultura dell’autoproduzione oggi naturale per chi nasce su piattaforme digitali.
L’intuizione che l’avrebbe resa senza tempo arriva nel 1976: “La voglia, la pazzia, l’incoscienza, l’allegria”, album con Vinícius de Moraes e Toquinho, fonde bossa nova e lingua italiana, apre un dialogo col Brasile che anticipa di decenni l’odierna passione italiana per le contaminazioni latine e elettroniche. Quel disco entrerà, anni dopo, tra i 100 migliori album italiani secondo Rolling Stone.
L’influenza di Ornella Vanoni sulle nuove generazioni è misurabile su più assi.
Non si può trasformare il dolore in retorica: meglio affidarsi alle voci. Quelle dei critici, che hanno osservato l’ultimo tratto della sua corsa; e quelle dei giovani artisti, che l’hanno incontrata nel suono e nella vita.
Ci sono brani che spiegano più di mille trattati il perché di un’eredità.
Le cifre sono importanti, ma da sole non bastano. Il conteggio delle vendite oscilla, come spesso accade per i grandi cataloghi, tra oltre 50 milioni e 55 milioni di dischi. Le partecipazioni a Sanremo sono otto, l’ultima da ospite nel 2023; il Premio Tenco del 1981 – confermato dagli archivi del Club Tenco – la consacra come prima donna a riceverlo, e nel 2022 arriva anche il Premio Tenco Speciale. L’insieme racconta una carriera che è passata dai 45 giri alle edizioni limitate in vinile di “Diverse”, dalla tv in bianco e nero alle dirette radio in cui, lo scorso 30 ottobre 2024, spiegava: “Volevo fare qualcosa di nuovo e di diverso, così è nata l’idea di riprendere dei miei brani”.
Gli ultimi anni l’hanno vista presenza fissa a “Che tempo che fa”, dove la sua autoironia e il suo gusto per la verità hanno costruito un rapporto diretto con un pubblico giovanissimo. Qui Vanoni non ha mai accettato di farsi “opinion leader”: ha solo portato se stessa, con la libertà di chi ha attraversato teatro, televisione, moda e canzone d’autore, raccontando amori (da Gino Paoli a una biografia sentimentale recue ê in “Vincente o perdente”, uscita il 6 maggio 2025). Nella morte, la tv e i social hanno restituito il cordoglio in tempo reale; nella vita, lei ha mostrato che si può essere pop senza essere conformi.
Alla notizia della morte, la reazione del mondo dello spettacolo è stata corale. Fabio Fazio ha scritto di non essere “pronto”; Luciana Littizzetto ha scelto la sua formula più affettuosa, “Tesora”; la conduttrice Francesca Fagnani ha ricordato come “L’appuntamento” sia la sigla di “Belve”; Loredana Bertè l’ha salutata come “un’artista immensa, senza fine”. Anche il Vicepremier Matteo Salvini ha definito la sua “una voce senza tempo”. Frammenti che compongono il ritratto di un’artigiana del sentire ascoltata trasversalmente.
Dalla stagione dei cantautori al pop d’autore, il percorso di Vanoni è anche una rete. Ha cantato testi e canzoni di Gino Paoli, Paolo Conte, Lucio Dalla, Fabrizio De André; ha attraversato il jazz (da Gerry Mulligan ai mondi che l’hanno corteggiata) e ha unito generazioni lontane: Toquinho, Vinícius de Moraes da una parte, Colapesce Dimartino, Elodie, Ditonellapiaga dall’altra. È in questo continuo, consapevole passaggio di testimone che sta l’eredità più fertile: non un museo, ma una bottega che continua a produrre senso.
Qualche anno fa, in tv, Ornella Vanoni aveva detto che, quando sarebbe arrivato il momento, avrebbe voluto un funerale semplice, la cremazione e le ceneri sparse in mare. La sua è stata sempre una regia di sobrietà e verità. Ha vissuto abbastanza a lungo da vedere le sue canzoni rientrare dalla finestra delle serie, dei film, delle playlist; e da poter incontrare chi, nato negli anni ’90 e 2000, oggi porta avanti un’idea di pop autoriale che le somiglia.
La notte del 21 novembre 2025 – mentre i social scorrevano e Milano tornava al suo rumore – lo abbiamo capito con certezza: l’eredità culturale di Ornella Vanoni non sta solo nei dischi, nei premi, nei numeri. Sta in un tono di voce. In quella ruga che diventa spartito. In una donna che, per raccontare il desiderio, ha usato la precisione di un’attrice e la libertà di un’interprete. Il resto lo faranno i giovani: lo stanno già facendo.