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«Vaffanculen, tridenten, non romperen...»: il tedesco maccheronico di Di Canio durante il pre partita di Francoforte

Un gioco sul “tridente” che sembrava solo una gag, finché il resto non l’ha scritto il campo

«Vaffanculen, tridenten, non romperen...»: il tedesco di Di Canio durante il pre partita di Francoforte

Paolo Di Canio

Certe sere il calcio sembra scritto da uno sceneggiatore ironico. Prima il prepartita di Eintracht Francoforte–Atalanta su Sky, con Paolo Di Canio che si inventa un mini–corso di “tedesco calcistico” e un «Tridenten, vaffanculen» destinato a entrare nei titoli dei siti sportivi. Poi, qualche ora dopo, lo stesso tridente evocato per scherzo che si abbatte davvero sull’Eintracht: Lookman, Éderson, De Ketelaere, tre gol tra il 60’ e il 65’, 0-3 e notte perfetta per la prima Champions di Raffaele Palladino.

Il risultato è una di quelle storie in cui studio tv, linguaggio e campo si incastrano alla perfezione.

Il siparietto: Montolivo “bilingue” in difficoltà e la scivolata di Di Canio

Deutsche Bank Park, luci da grande notte europea. In studio Federica Masolin tiene insieme i pezzi, Fabio Capello osserva, Alessandro Costacurta e Paolo Di Canio si alternano tra lavagna e stoccate verbali. Il collegamento va su Riccardo Montolivo, bordocampista e figlio di madre tedesca: nell’immaginario televisivo, sinonimo di “garanzia linguistica”.

Costacurta gli serve la palla più semplice e più bastarda allo stesso tempo:
«Riccardo, tu che sei bilingue… come si dice “tridente” in tedesco?».

Silenzio. Montolivo sorride, ci pensa un istante e poi alza bandiera bianca:
«Non lo so… spero che mia mamma non stia guardando».

È il varco perfetto. Di Canio non se lo fa ripetere: entra in scena come fa in campo, senza troppi preamboli.
«Ma è facile! In tedesco basta mettere la “n” alla fine: Tridenten, vaffanculen, non romperen…».

Maccheronico, sopra le righe, volutamente assurdo. Ma la sequenza è perfetta: domanda, imbarazzo, pausa, battuta che sfonda il muro della compostezza. Masolin ride di gusto, Costacurta fa da spalla, Capello alza il sopracciglio con quell’aria da «questa non c’era sul copione».

La scena dura pochi secondi, ma basta a diventare il frammento più citato del prepartita: il «Tridenten, vaffanculen» finisce nei titoli online, nei lanci delle testate sportive, nei commenti di chi si prepara alla partita con il telecomando in mano.

Il tedesco del pallone, spiegato senza spocchia

La domanda di Costacurta, in realtà, aveva un senso tecnico oltre che comico. In italiano “tridente” è il modo più naturale per dire “attacco a tre”; in tedesco, la traduzione secca sarebbe «Dreizack», la forca a tre punte di Poseidone. Ma in campo quasi nessuno la usa così.

Nel gergo calcistico tedesco, quando ci sono tre giocatori offensivi, le parole chiave sono altre:

  • Dreier-Sturm – letteralmente: attacco a tre. Funzionale, asciutto, molto da cronaca.

  • Sturmtrio – il trio offensivo, formula perfetta per titoli e didascalie.

  • Magisches Dreieck – triangolo magico, quando la sintonia tra i tre diventa qualcosa di più di una semplice disposizione in campo.

Francoforte lo sa bene: il vecchio trio Rebić–Haller–Jović venne ribattezzato «Büffelherde», la “mandria di bufali”, una di quelle espressioni che spiegano meglio di mille analisi quanto il lessico del pallone in Germania ami la concretezza fisica e le immagini “pesanti”.

Dentro questo quadro, il “tedesco inventato” di Di Canio funziona perché è un cortocircuito: prende una domanda vera, la porti all’estremo maccheronico, la restituisci come tormentone. E intanto sotto sotto ricorda che, quella sera, il tridente dell’Atalanta non è un dettaglio ma il cuore del discorso.

Dal «Tridenten» allo 0-3: cinque minuti che cambiano tutto

La partita, almeno fino all’intervallo, sembra voler smentire chi si aspettava fuochi d’artificio immediati. L’Atalanta gioca, crea, sbatte sul metallo. Letteralmente.

C’è un rumore preciso che anticipa il crollo: un «clong» secco, metallico, che rimbalza sulle lamiere del Deutsche Bank Park. Al 35’ Ademola Lookman colpisce il palo con un destro a giro dal lato sinistro; pochi secondi dopo, sul prosieguo dell’azione, Gianluca Scamacca centra lo stesso palo dalla zona del dischetto. Due volte lo stesso suono, due volte la stessa coordinata di porta.

È un teaser più che un’occasione sprecata. La sensazione – per chi guarda – è che manchi solo l’ultima slide.

Dopo l’intervallo, la narrazione accelera. Dal 60’ al 65’ succede tutto.

60’ – Lookman si materializza dove il tedesco non arriva
Charles De Ketelaere riceve sulla destra e calibra un cross che non è un semplice traversone, ma un invito disegnato sul secondo palo. Dall’altra parte, quasi fuori inquadratura, spunta Lookman: coordinazione perfetta, interno piede, volée con il corpo che resta quasi di profilo. La palla bacia il palo lontano e finisce in rete. 0-1.

È la versione reale, e devastante, di quel “Tridenten” inventato in studio. L’esterno che attacca il lato cieco, il belga che scrive, il nigeriano che firma.

62’ – Il buco nel mezzo, Éderson lo trasforma in sentenza
Passano due minuti. L’Eintracht è ancora frastornato quando Lookman riprende il pallone tra le linee, sterza e vede un vuoto centrale che sembra disegnato apposta. Dentro quel corridoio si infila Éderson: controllo, diagonale rasoterra, 0-2. È il gol che, a livello emotivo, chiude il conto ancor prima che sul tabellone.

65’ – Il terzo “clong” diventa assist: De Ketelaere scrive il 3-0
Il terzo atto ha come protagonista ancora Scamacca. Cross da destra, stop di petto e destro violentissimo: pallone sotto la traversa, ennesimo “clong”. Ma stavolta il rumore non è un presagio, è un assist. La palla rimbalza in area, De Ketelaere è il primo a leggerla: piatto sicuro, 0-3. Francoforte va in apnea, l’Atalanta si prende una delle sue vittorie europee più nette degli ultimi anni.

Tre gol, cinque minuti, tre firme diverse. Il tridente, di cui si scherzava a colpi di finto tedesco nel prepartita, diventa la trama principale del film.

Palladino, la prima da cartolina: perché questa notte pesa

Sotto la superficie del racconto “di costume” c’è un dato brutale: l’Atalanta è arrivata a Francoforte in piena crisi di risultati in Serie A, senza vittorie da otto partite, ma con un ruolino europeo immacolato dopo la sconfitta d’esordio con il PSG.

A Francoforte, Palladino firma:

  • una prima in Champions da allenatore che sembra un manifesto: squadra compatta, verticale, con il coraggio di tenere in campo contemporaneamente De Ketelaere, Scamacca e Lookman;

  • una vittoria esterna netta, 3-0 in casa Eintracht, che sposta classifica e percezioni: 10 punti dopo cinque giornate della League Phase, zona alta della graduatoria e differenza reti che in un format a 36 squadre pesa tantissimo;

  • la conferma che il Dna europeo costruito negli anni di Gasperini non è stato cancellato, ma aggiornato: stessa ambizione offensiva, cornice tattica diversa.

Dall’altra parte, l’Eintracht si ritrova con 4 punti in cinque partite, un 0-3 interno pesante e la sensazione di aver perso il controllo emotivo del match proprio nel momento chiave, quando l’uscita per infortunio di Burkardt ha tolto un riferimento offensivo e aperto gli spazi che l’Atalanta ha immediatamente occupato.

Montolivo, la mamma di Kiel e il lato umano del gioco

Dentro la leggerezza della gag resta anche un dettaglio umano. Montolivo, da anni, racconta di sentirsi «al 90% italiano», ma perfettamente a suo agio con la lingua e la cultura tedesca grazie alla madre Antje, nata a Kiel. Proprio per questo la sua esitazione fa sorridere: il “bilingue” che si inceppa sulla parola più semplice, davanti a un paese intero.

È un promemoria gentile: non esiste nessuno che abbia sempre pronto il termine tecnico perfetto, specie in diretta, specie quando il vocabolario del calcio di un’altra lingua segue logiche tutte sue.

Il paradosso è che, alla fine, il tedesco stentato di Di Canio ha centrato la questione meglio di molti panel tattici: quella sera, al Deutsche Bank Park, il tema non era come si dice “tridente” in un’altra lingua, ma cosa può fare davvero un tridente quando decide di entrare in partita.

Perché «Tridenten, vaffanculen» resterà attaccato a questa notte

Non è solo una battuta riuscita. È il punto in cui si incrociano tre piani:

  • la tv – con i suoi ruoli: l’analista pungente, il bilingue chiamato a “tradurre”, il guastatore che rompe la liturgia del prepartita;

  • la lingua – con il confronto tra traduzioni letterali, espressioni di gergo, maccheronico creativo;

  • il campo – con tre gol in cinque minuti che trasformano un’idea tattica (il tridente) in un fatto compiuto.

Quando tra qualche anno si ripenserà a Eintracht–Atalanta 0-3, probabilmente la memoria collettiva unirà due fotogrammi: lo studio Sky che esplode sulla battuta di Di Canio e il tabellone del Deutsche Bank Park che, nel giro di cinque minuti, passa da 0-0 a 0-3.

In mezzo c’è tutto quello che rende il calcio un racconto irresistibile: il dettaglio di costume, la parola sbagliata al momento giusto, il tridente che entra in campo prima ancora del calcio d’inizio. E poi, puntuale, presenta il conto.

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