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02 Dicembre 2025
Jérémie Boga
La scena sembra uscita da un film di cui nessuno vorrebbe essere protagonista: sono le 23:00 di domenica, 30 novembre 2025, il pullman dell’OGC Nice imbocca il Boulevard Jean‑Luciano, davanti al centro di allenamento. Ad attenderlo, non un applauso di incoraggiamento, ma un muro: circa 400 tifosi che urlano, fischiano, battono i pugni sulle lamiere. Il bus si ferma. Due uomini salgono a bordo “per parlare”. Bastano pochi minuti perché la contestazione degeneri. Nella mischia, a farne le spese sono soprattutto Jérémie Boga e Terem Moffi: calci, pugni, sputi e, secondo vari resoconti, anche insulti razzisti. Un confine viene superato. E non è quello dell’area di rigore.
La scintilla è il ko per 3-1 sul campo del Lorient, arrivato poche ore prima. È la sesta sconfitta consecutiva tra coppa e campionato per i rossoneri della Costa Azzurra; la classifica si fa pesante, l’umore anche di più. Sui social circola un tam-tam: ritrovo al centro sportivo per “farsi sentire”. La presenza è massiccia: “circa 400”, scrivono i media locali, testimonianza di una frattura che non è nata stanotte ma che esplode qui, tra recinzioni e parcheggi, quando il bus rientra dalla Bretagna.
Secondo ricostruzioni convergenti, una “delegazione” di tifosi sale inizialmente sul pullman per manifestare la propria insoddisfazione. Poi, quando i giocatori scendono, la pressione si trasforma in rissa: nell’assembramento vengono colpiti Boga e Moffi, presi di mira più di altri. A rimetterci è anche il direttore sportivo Florian Maurice, spinto e strattonato mentre prova a ripararsi verso l’auto. L’episodio dura minuti ma lascia il segno: tra i presenti c’è chi parla di “mancanza di protezione adeguata” e di sicurezza insufficiente nella gestione dell’arrivo.
La serata avrà strascichi medici e legali. L’ivoriano Jérémie Boga riceve un certificato di incapacità temporanea al lavoro di almeno cinque giorni, mentre il nigeriano Terem Moffi viene posto in malattia per una settimana, fino a domenica successiva. Entrambi, il giorno dopo, si presentano in commissariato per sporgere denuncia contro ignoti. Il club, informano i media francesi, prende atto e garantisce sostegno. Sono passaggi fondamentali: dalla rabbia calcistica si è passati al reato.
In serata arriva la nota ufficiale dell’OGC Nice. La linea è chiara: si comprende la frustrazione legata al momento negativo, ma “i debordamenti (gli eccessi) constatati durante il raduno sono inaccettabili”, si legge. “Diversi membri del club sono stati presi di mira. Il Nizza offre loro il suo pieno sostegno e condanna questi atti con la massima fermezza”. È un messaggio che cerca di isolare la violenza e di riportare la contestazione nella cornice del diritto di critica, non del contatto fisico.
Nelle ore successive emergono possibili fattori scatenanti. Secondo resoconti di stampa, Boga sarebbe stato accusato da frange del tifo di aver agevolato l’ingresso di alcuni simpatizzanti del Marsiglia all’Allianz Riviera, episodio che i più radicali non gli avrebbero perdonato. Moffi, invece, sarebbe stato criticato per un video che lo ritrae mentre scambia battute con l’ex presidente del Lorient, Loïc Féry, a gara finita. Sono elementi che, nel clima teso di una serie negativa, diventano benzina sul fuoco. Va detto: si tratta di ricostruzioni giornalistiche, non di capi d’accusa formali.
Nel parapiglia, c’è chi prova a fare da scudo. Alcune fonti indicano l’intervento decisivo del portiere Yéhvann Diouf per aiutare un compagno a sottrarsi alla calca; su chi abbia protetto materialmente — se Moffi o Boga — le testimonianze differiscono. Ciò che non cambia è l’immagine: un calciatore costretto a rifugiarsi dietro a un altro calciatore per evitare schiaffi e sputi. È la fotografia di una linea superata.
Interessante, nella cronaca della notte, la distinzione operata da parte dei presenti: l’allenatore Franck Haise non è nel mirino — anzi, viene “acclamato” — mentre il ds Florian Maurice è contestato e fisicamente aggredito. Per la curva, insomma, il problema non è (solo) tattico. È una sanzione di tipo manageriale, nella testa di chi protesta: squadra sbilanciata, mercato fallito, gruppo senza identità. In questi casi, però, lo spartito è noto: quando la rabbia oltrepassa la soglia dell’intimidazione e si fa mano addosso, qualsiasi analisi sportiva si svuota di significato.
I numeri spiegano il nervosismo: sei sconfitte di fila in tutte le competizioni, tra Ligue 1 ed Europa League, con partite in cui il Nizza è sembrato perdere coesione e fiducia, oltre ai punti. Il ko di Lorient — rovesciato da 1-0 a 1-3 — racconta una squadra fragile: avanti per un autogol, rimontata prima dell’intervallo e travolta nella ripresa. In classifica, la scivolata è pesante; in Europa, il cammino è diventato impervio. Ma nulla, in un calcio che dev’essere agonismo e non giustizia sommaria, può giustificare ciò che è accaduto fuori dal campo.
La notte del 30/11/2025 apre un fronte che va oltre il risultato. Come è stato possibile che centinaia di persone bloccassero l’accesso al centro sportivo? Che due tifosi salissero sul pullman? Che il cordone di sicurezza non impedisse il contatto fisico? Alcuni membri della squadra, secondo chi era presente, hanno parlato di “shock” e di “paura”, domandandosi perché la protezione non sia stata più incisiva. Sono interrogativi che chiamano in causa non solo la società ma anche la gestione dell’ordine pubblico, perché una contestazione annunciata necessita di piani e contromisure adeguate.
Le denunce di Boga e Moffi rimettono la vicenda nel solco della legge. In casi simili, le autorità valutano ipotesi come lesioni, violenza in concorso, insulti a sfondo razzista e interruzione di pubblico servizio (per il blocco dell’accesso), oltre alle misure amministrative come divieti di accesso agli impianti sportivi. La giustizia francese, di norma, tratta con severità episodi che coinvolgono gruppi organizzati e recidivi. Il dato certo, al momento, è l’avvio di un percorso giudiziario: da qui in avanti, sarà un fascicolo a scandire tempi e responsabilità.
La scelta semantica dell’OGC Nice — “eccessi inaccettabili” — è un equilibrio difficile ma necessario. Condannare la violenza, ribadire il sostegno ai propri tesserati, ma anche non criminalizzare in blocco un pubblico che in gran parte resta sano. È un passaggio delicato: in una piazza storica e passionale, generalizzare alimenta solo il rancore. Il comunicato, in questo senso, segna una linea: la contestazione è legittima, la violenza no. E se a farne le spese sono professionisti riconoscibili e isolati, la frattura con la squadra rischia di diventare impossibile da ricomporre.
La domanda, adesso, è cosa resterà nello spogliatoio. Due titolari in malattia per 5-7 giorni non sono solo numeri: sono un monito sulla vulnerabilità di un gruppo. Per di più, il calendario non aspetta: in Ligue 1 si torna subito in campo e la necessità di punti si fa urgente. In parallelo, gli impegni europei — fin qui avari di soddisfazioni — obbligano a scelte. La priorità, però, sta altrove: ripristinare condizioni minime di sicurezza e fiducia intorno ai calciatori, perché un professionista che teme per la propria incolumità non può garantire rendimento.
C’è un aspetto che supera i confini di Nizza: ogni volta che la tifoseria oltrepassa il limite, il calcio perde la sua funzione sociale. La passione è combustibile della competizione, ma — come i fatti insegnano — può diventare detonatore quando incrocia frustrazione, disinformazione e percezione di impunità. Qui non siamo davanti a “tifo caldo”: siamo nel campo delle aggressioni. E a essere colpita, oltre a due calciatori, è l’idea stessa che lo stadio — e ciò che gli ruota attorno — sia un luogo dove il conflitto si esprime attraverso cori, striscioni, fischi, non con mani addosso.
La cronaca dirà se arriveranno identificazioni e provvedimenti rapidi per gli aggressori, e se il club adotterà misure interne — dalla revisione dei protocolli di rientro alla stretta sui rapporti con i gruppi organizzati. Intanto, ci sono due certezze: la condanna ufficiale del Nizza e le denunce di Boga e Moffi. Ripartire da qui, da un principio semplice e non negoziabile: la dignità di chi scende in campo viene prima di tutto. Il resto — tattiche, moduli, mercato — può aspettare.
Il calcio vive di identificazione. Ma quando l’identità si trasforma in possesso, il passo verso l’abuso è breve. A Nizza, la notte del 30 novembre 2025, quel passo è stato compiuto. Ora tocca alle istituzioni — sportive e civili — ristabilire gerarchie e confini. E tocca a tutti noi, che il calcio lo raccontiamo e lo viviamo, ricordare l’ovvio: “Basta” è un grido che ha senso solo se impedisce il peggio, non se lo scatena.