Cerca

Trendy News

Il potere dei direttori sportivi in Premier

Non più “semplici” talent scout: tra leggi, finanza e psicologia, i ds sono l’infrastruttura invisibile dei club inglesi. E la loro ascesa sta ridisegnando poteri, gerarchie e linguaggi del calcio.

Dietro il sipario: perché i direttori sportivi decidono la Premier

Txiki Begiristain

La scena iniziale è poco televisiva: un tavolo ovale, non una lavagnetta tattica in vista. In piedi, il direttore finanziario mostra un grafico sui margini operativi; accanto, il responsabile legale annota gli impatti delle nuove norme; dietro, lo psicologo della performance suggerisce protocolli per reintegrare un giocatore reduce da un infortunio. A prendere la parola per ultimo non è l’allenatore: è il direttore sportivo. È lui che tiene insieme tutto. In Premier League, oggi, il calcio si governa così: con una figura-ponte capace di tradurre numeri in scelte di campo, norme in strategia, persone in progetto. Lo racconta bene un approfondimento del Times, che descrive i ds contemporanei come “mancati dottori a Harvard”: manager trasversali, chameleons organizzativi. E anche il lessico è cambiato: non più manager onnipotenti, ma head coach e un’area sportiva diretta da figure come Paul Mitchell, Richard Hughes, Txiki Begiristain.

Un potere nuovo (e ormai visibile)

In Inghilterra la rivoluzione è stata lenta ma profonda. La stagione della “onniscienza” dell’allenatore è tramontata: Jürgen Klopp era ancora presentato come manager totale, il suo successore ad Anfield è un “capo allenatore”, con la cabina di regia affidata a una struttura che oggi ha in Michael Edwards (CEO of Football di FSG) e in Richard Hughes i due perni dell’intero ciclo decisionale. Non è un dettaglio semantico: significa che mercato, assunzioni nello staff, governance dei dati e pianificazione si decidono a monte, non dopo l’allenamento. La nomina di Hughes a Liverpool nel 2024 fotografa l’intenzione: continuità metodologica e una catena di comando integrata.

A Tottenham, la vastità del perimetro ha portato a un modello binario: Johan Lange e il rientrante Fabio Paratici coprono congiuntamente il ruolo di sporting director all’interno di una nuova architettura che separa funzioni e responsabilità, con un Chief Executive che garantisce allineamento strategico. È la formalizzazione di ciò che nei club più strutturati accade già da anni: ridondanza virtuosa sulle decisioni critiche, per non lasciare colli di bottiglia a un’unica persona.

La traiettoria di tre nomi chiave

  1. Il percorso di Txiki Begiristain è la mappa del potere moderno. In tredici anni a Manchester City ha costruito un dominio tecnico con scelte coerenti: profilo dell’allenatore, pipeline giocatori, sinergie con la proprietà e un modello di reclutamento aggressivo ma sostenibile. Il suo addio nell’estate 2025 ha chiuso un’era, con Hugo Viana designato erede. Non è solo cronaca di un cambio in organigramma: è la conferma che anche i ds hanno cicli, e che la successione va pianificata come accade per gli allenatori.
  2. Richard Hughes è il caso-studio di una Premier che premia competenza orizzontale: da Bournemouth a Liverpool, con Edwards a definire cornice e governance. Qui la delega è calibrata: Hughes guida l’operatività (scouting, negoziazione, staff), l’asse con il board decide le linee di medio-lungo termine. La narrazione è meno “eroica” del passato, ma più aderente a processi verificabili.
  3. Paul Mitchell, dopo esperienze in RB e Monaco, ha provato a ridisegnare la struttura di Newcastle: prima l’arrivo nel 2024, poi l’uscita a fine giugno 2025. In mezzo, risultati (la vittoria in Carabao Cup e l’accesso in Champions) e soprattutto un lavoro di riallineamento tra proprietà, area performance e vincoli regolamentari. Anche qui, la notizia non è l’addio: è la conferma che il ruolo vive di equilibri tra campo, spogliatoio e board, e che la continuità non sempre coincide con la permanenza della stessa persona.

Perché il ds è diventato indispensabile

  1. Perché la Premier è un’industria che cresce per ricavi e complessità. Nell’ultima edizione del report Deloitte Football Money League, i top club hanno toccato ricavi cumulati per oltre €11,2 miliardi, con Real Madrid oltre €1 miliardo e la triade inglese (Manchester City, Manchester United, Arsenal/Liverpool) nella top ten. Tradurre quel potenziale in scelte di campo, senza bruciare valore, è compito della direzione sportiva.
  2. Perché il quadro regolamentare è in trasformazione. La PSR (Profitability and Sustainability Rules), che limita a £105 milioni le perdite triennali, resta in vigore fino al termine del 2025/26; dal 2026/27 subentrerà un nuovo sistema con lo Squad Cost Ratio all’85% dei ricavi calcistici (con tolleranza pluriennale e levy) e test di Sustainability and Systemic Resilience su liquidità, capitale e working capital. Per un ds significa gestire in tempo reale un tetto mobile su salari, ammortamenti e commissioni, con monitoraggio in-season e sanzioni sportive. È management, non solo mercato.
  3. Perché il quadro UEFA impone convergenza. Le norme di Financial Sustainability fissano uno SCR al 70% e hanno già portato a multe per club inglesi impegnati in Europa. Il ds deve far quadrare Premier e UEFA, proiettando scenari di iscrizione e rischi sanzionatori con orizzonte triennale.
  4. Perché l’ecosistema degli agenti è più caro e più complesso. Tra febbraio 2024 e febbraio 2025 la Premier ha speso oltre £409 milioni in commissioni, con Chelsea a £60,4 milioni. Il tentativo di introdurre tetti e regole pro rata per le fee è stato stoppato nel Regno Unito da un FA Rule K: anche qui il ds deve saper negoziare in un mercato dove l’arbitraggio legale incide sui costi reali.

Compiti allargati: legge, finanza, marketing, psicologia

  1. Legge e compliance. Dalla gestione dei contratti “a catena” (calciatore, intermediari, sponsorizzazioni collegate) al rispetto di Home Grown Rule e liste UEFA, il ds è un regolatore interno. Sbagliare un dettaglio significa ridurre posti in lista o esporsi a contenziosi. In Premier, la regola è semplice e pesante: max 17 non-homegrown nelle liste da 25, con under-21 svincolati dal tetto numerico. In UEFA, le soglie e le definizioni cambiano. Saperle integrare è parte del mestiere.
  2. Finanza e controllo costi. Il ds dialoga con CFO e proprietari su wage bill, ammortamenti, plusvalenze e “costi rilevanti” agli occhi di PSR/SCR. Gli esempi? La capacità di Brighton di trasformare una scoperta da £4,5 milioni in una plusvalenza da £115 milioni (caso Moisés Caicedo) è una lezione di filiera: scouting, valorizzazione, timing di vendita.
  3. Marketing e narrativa. La costruzione del roster influenza direttamente biglietteria, sponsor e contenuti. Il ds è un narratore con vincoli: deve portare in dote identità e prospettiva commerciale senza tradire il profilo tecnico dell’allenatore. Nei club più evoluti, la scelta dei giocatori “pivot” tiene conto anche di attivazioni e audience nei mercati strategici.
  4. Psicologia e player care. Dalla prevenzione del burnout al supporto per famiglie e integrazione culturale, le società hanno strutturato reparti dedicati. Per il ds significa includere lo psicologo della performance e i responsabili del player care nella mappa delle decisioni: onboarding rapido, sostegni linguistici, protocolli per rientri dall’infortunio, cultura del gruppo. La Premier ha reso obbligatorio un responsabile full-time di player care nelle Academy, finanziando le strutture; la pratica ha dimostrato come l’onboarding abitativo e sociale riduca rischi di insuccesso e turnover.

Dati, modelli, persone: l’alchimia che funziona

C’è stata un’epoca in cui “Moneyball” era una bandiera. Oggi i club migliori hanno metabolizzato l’uso dei dati come strumento, non come ideologia. Brentford, pioniere di un approccio evidence-based, spiega che i modelli contano ma vanno integrati nella lettura qualitativa del profilo e del contesto; Liverpool ha costruito un vantaggio competitivo anche grazie a una direzione di ricerca capace di misurare ciò che prima sfuggiva (tracciamenti, azioni “off-ball”). Le decisioni efficaci nascono dall’incrocio tra numeri, occhi e cultura interna. Il ds che funziona sa orchestrare questa triade.

Un lavoro di equilibrio permanente

  1. Tra proprietà e panchina. L’uscita di Paul Mitchell da Newcastle o quella di Tim Steidten da West Ham ricordano che il ds vive su una linea sottile: il perimetro dell’autonomia va negoziato e manutenzionato ogni giorno. Arrivare a giugno con Champions centrata o con un piano di dismissioni coerente con PSR può non bastare se l’asse con l’allenatore o la governance si incrina.
  2. Tra corto e medio periodo. Il nuovo SCR imporrà scelte di portafoglio: spingere su salari e commissioni significa comprimere altre aree, e le multe UEFA per superamento delle soglie transitorie lo dimostrano. La sfida è evitare la sindrome del “giocatore che risolve tutto” a luglio e scoprire a maggio che la struttura costi è insostenibile.
  3. Tra mercato e reputazione. Nella Premier le fee degli agenti sono un costo strutturale: chi guida l’area sportiva deve saper “leggere” un ecosistema dove i tetti alle commissioni sono stati frenati in sede arbitrale e l’inflazione dei prezzi è alimentata da competizione interna ed europea. £409 milioni in dodici mesi: per farli pesare meno sul conto economico servono tecniche di negoziazione, pipeline di alternative e – quando possibile – internalizzazione di servizi (dati, performance, legal).

Tre casi che spiegano la Premier che arriva

  1. Manchester City post-Begiristain. Il passaggio a Hugo Viana apre una fase in cui la gestione delle pendenze legali (le 115 contestazioni della Premier: vicenda ancora sub iudice) e il mantenimento di un’identità tecnica dovranno coesistere con un tetto costi più stringente in UEFA. Tradotto: la “macchina perfetta” deve diventare anche “macchina conforme”, senza perdere rendimento.
  2. Liverpool, la governance come vantaggio. La coppia Edwards–Hughes disegna una catena decisionale chiara, con l’head coach messo nelle condizioni di allenare. Che funzioni nei cicli alti e in quelli di transizione dipenderà dalla disciplina nel rispettare ruoli e processi: l’antidoto agli errori costosi non è la genialità episodica, ma la coerenza nel tempo.
  3. Tottenham, il modello duale. Due sporting director per coprire funzioni diverse, un CEO che garantisce allineamento e un head coach scelto per aderire a quel modello. È un approccio “corporate” al calcio: può sembrare freddo, ma aiuta a reggere la complessità del calendario e dei mercati multipli (Premier, UEFA, coppe) senza personalizzare tutto su una sola figura.

Strumenti del mestiere (oggi indispensabili)

  1. Roadmap regolamentare integrata. Fogli di calcolo? Sì, ma soprattutto scenari: quale impatto ha un rinnovo pluriennale sulla curva dell’SCR tra 2026 e 2029? Quante slot homegrown restano libere se due U21 “escono” dall’esenzione anagrafica a gennaio? Domande da ds, non da ragioniere.
  2. Mappa agenti e canali. Con il cap alle commissioni sospeso nel Regno Unito, la differenza la fanno processi e alternative credibili. Ridurre dipendenze da singoli intermediari è un investimento di medio periodo.
  3. Catena performance–medico–psiche. Il ritorno in campo non è solo un “minutaggio” progressivo: è ricalibrazione percettiva e motivazionale. I club che hanno strutturato reparti di psicologia integrati nello staff stanno riducendo la variabilità post-infortunio e migliorando la retention dei giovani. Il ds non seleziona solo calciatori: seleziona servizi e contesti.

La lezione che resta

La Premier League non ha riscoperto l’acqua calda: ha reso sistemica una conoscenza che altrove era affidata all’intuizione del singolo. In Italia lo sappiamo: il ds è una figura “totale” da decenni. La differenza inglese è nella formalizzazione, nella governance e nel coraggio di mettere per iscritto chi decide cosa. È qui che la categoria ha fatto lo step: ha smesso di vivere di eccezioni ed è diventata parte dell’architettura del club.

Il Times suggerisce un’immagine felice: il ds come un laureato a Harvard mancato. Forse è più giusto dire così: un traduttore simultaneo tra reparti che parlano lingue diverse. Ecco perché, nella Premier 2025-26, ci sono match che si vincono di lunedì mattina, nella sala riunioni, prima ancora che la palla rotoli il sabato.

Box – Numeri e norme da fissare in memoria

  1. Ricavi cumulati top-20 Money League 2023/24: €11,2 miliardi; Manchester City secondo club per fatturato; Liverpool e Arsenal nella top ten.
  2. Commissioni agenti Premier (02/2024–02/2025): £409 milioni; Chelsea leader con £60,4 milioni.
  3. Regole finanziarie Premier: PSR fino al 2025/26; nuova cornice con SCR all’85% + SSR dal 2026/27. In UEFA: SCR al 70% a regime.
  4. Regole liste: max 17 non-homegrown su 25 in Premier; definizioni e soglie diverse in UEFA.
  5. Caso-scuola plusvalenza “di filiera”: Moisés Caicedo da circa £4,5 milioni a £115 milioni.

Postilla metodologica

Un’ultima idea, che vale più di una chiusura ad effetto: la centralità del ds non è un dogma, è una necessità organizzativa. Le grandi società sportive sono diventate aziende complesse che competono in mercati regolati e volatili. Per reggere l’urto servono strutture robuste: processi chiari, responsabilità definite, culture condivise. In Premier, oggi, questo ha un volto preciso: quello del direttore sportivo.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Sprint e Sport

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter