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Perché tante panchine saltano? Le cause dietro l'ondata di esoneri.

Serie C in apnea, pressioni al massimo: numeri, casi e retroscena di un fenomeno che si ripete a ogni turno

Perché tante panchine saltano? Le cause dietro l'ondata di esoneri.

C’è un’immagine che racconta più di molte parole: sono passate solo due giornate di campionato, è il 4 settembre 2025, e al De Cristofaro di Giugliano un allenatore saluta lo spogliatoio per l’ultima volta. Si chiama Gianluca Colavitto e la sua è la panchina più veloce a saltare quest’anno tra i professionisti: via in 48 ore di campionato, sostituito da Mirko Cudini. La notizia è rimbalzata ovunque perché il tempo è record, ma anche perché fotografa un clima: in Serie C le panchine sono un filo teso, e a ogni scossone si spezza qualcuna. Un monitoraggio di inizio stagione di TuttoC.com ha contato già 18 cambi complessivi in 16 club quando ancora non erano passati tre mesi di calendario. Un club su quattro, più o meno. Ogni turno, quasi, “ne salta una”.

L’angolo dei fatti: la mappa che cambia di settimana in settimana

  1. A Giugliano, dicevamo, l’addio lampo di Colavitto arriva dopo due turni. In panchina subentra Cudini, ma dura poco: il 16 ottobre 2025 la società annuncia l’esonero anche del nuovo tecnico; l’indizio sul sostituto diventa presto ufficialità, con Ezio Capuano che firma entro fine mese. Tre allenatori in meno di 60 giorni: un mini–romanzo tecnico già scritto a ottobre. Le motivazioni? Un mix di risultati magri, divergenze interne e la classica, pesantissima, pressione del risultato immediato. La sequenza è stata documentata con date e comunicati, senza zone d’ombra.
  2. A Perugia, il ribaltone è perfino più serrato: Vincenzo Cangelosi parte a inizio campionato e viene congedato il 20 settembre 2025; al suo posto arriva Piero Braglia il 21 settembre, ma la striscia negativa culminata nello 0-3 di Pineto porta alle dimissioni e all’arrivo, il 22 ottobre 2025, di Giovanni Tedesco. In pratica, tre allenatori in un mese scarso. Dati di contesto: il Perugia è penultimo con 3 punti (tre pareggi) quando cambia ancora. Sullo sfondo, una strategia societaria che riporta in organigramma figure identitarie — Riccardo Gaucci e Walter Novellino — come consiglieri del presidente.
  3. Il primato di rapidità rimane quello del Giugliano: l’esonero di Colavitto dopo due giornate non ha eguali a inizio stagione, confermato dai resoconti del giorno. Non è solo una scelta “di panico”: incidono divergenze con la dirigenza, un tema ricorrente quando i progetti si definiscono in corsa e la rotta non è condivisa fino in fondo.

Questi tre fotogrammi (Giugliano ×3, Perugia ×3 e l’esonero più rapido) restituiscono bene la trama. Ma il “valzer” non è confinato a due piazze. Le rassegne “tutte le panchine” aggiornate a metà ottobre e poi a metà novembre fotografano un elenco in continua riscrittura: Sorrento cambia tecnico il 18 novembre 2025 (via Mirko Conte), il Benevento saluta Gaetano Auteri l’11 novembre, l’Arzignano archivia Giuseppe Bianchini il 4 novembre. Tutto in un mese che, stagione dopo stagione, diventa il vero spartiacque.

Perché saltano così tante panchine?

1) I risultati (subito) o niente: la trappola dell’orizzonte corto

Nel calcio professionistico italiano il risultato resta il primo e spesso l’unico misuratore del lavoro. Il punto è che la finestra temporale entro cui viene giudicato un allenatore si è accorciata: poche settimane, a volte pochi giorni. È una dinamica autoalimentata: budget stretti, campionati livellati, playoff e playout che moltiplicano gli obiettivi e, soprattutto, una percezione — non sempre suffragata dai dati — che il cambio in panchina dia una scossa immediata. Alcune analisi mostrano che in molte stagioni la media punti migliora nell’immediato dopo l’esonero, alimentando l’idea che “cambiare conviene”. Il problema è che l’effetto spesso si esaurisce: senza una struttura che protegga i processi, il ritorno alla media è dietro l’angolo.

2) Pressioni societarie e comunicazione interna

La storia del Giugliano è esemplare: azzeramento lampo per divergenze tra allenatore e dirigenza, poi una seconda svolta a ottobre. Quando i confini decisionali non sono chiari — chi guida l’area tecnica? chi detta la linea sul mercato? — l’allenatore diventa il fusibile. È una forma di semplificazione: cambiare la persona più esposta e “sostituibile” sembra risolvere il problema. Ma se la causa è strutturale (organizzazione, scouting, modello di gioco assegnato a profili non coerenti), l’esonero è solo un rinvio della crisi. A Perugia, ai ribaltamenti in panchina si affianca il rientro di figure forti alla voce “consulenti” per ridefinire la rotta. Chi decide cosa? Il confine, oggi, è il tema.

3) Aspettative non realistiche

Un club retrocesso o appena rialzato dai guai chiede spesso subito il ritorno al vertice. A parole si invoca il progetto, nei fatti si inseguono strisce di risultati immediate. È qui che la narrazione tradisce le intenzioni. Il Perugia della scorsa stagione ha chiuso in zona playoff; ripartire con una rosa rivista e un girone più competitivo, pretendendo lo stesso passo a settembre, è un compito complesso. Se il “piano” prevedeva fisiologici alti e bassi, la pazienza andava messa in conto. Al contrario, il termometro della classifica ha dettato legge.

4) Economie fragili, costi di break-up e calcolo del rischio

Non secondario l’aspetto economico. In Serie C, dove i diritti tv non coprono tutto e gli stadi pieni non sono garantiti, i club fanno i conti con contratti brevi, clausole di uscita e staff leggeri. Esonerare può sembrare meno oneroso che scommettere su un mercato di gennaio o su una revisione dell’area scouting. Al tempo stesso, l’effetto collaterale è un percorso tecnico a singhiozzo: l’allenatore subentrante eredita una rosa pensata per un altro, e a sua volta pensa a gennaio in ottica diversa, spostando mediamente 3–5 profili chiave. In pochi mesi, l’idea iniziale è evaporata.

5) La Serie C come ecosistema ad alta volatilità

La categoria è spietata: gironi lunghi, campi e contesti molto differenti, trasferte impegnative e un livello medio cresciuto. Il margine tra la squadra che viaggia al quinto posto e quella che ha bisogno di punti salvezza è spesso ridottissimo. Di qui la tentazione di toccare la variabile più “rapida”: la panchina.

Casi emblematici 2025/26: cosa ci raccontano

  1. Giugliano, cronologia di un corto circuito: il 4 settembre 2025 la separazione da Colavitto arriva “per divergenze” più che per risultati (una vittoria in Coppa, poi 1 pari e 1 ko in campionato). L’effetto scossa di Cudini si spegne presto: 1 vittoria, 2 pareggi e 4 sconfitte con 6 gol segnati e 13 subiti bastano per un altro cambio il 16 ottobre. Subentra Capuano: curriculum lunghissimo tra Serie C e piazze calde, pactum di breve periodo e promessa di identità. Tre allenatori in due mesi: alla fine, la causa sembra un mosaico di fattori — la pressione della classifica, l’equilibrio interno, la coerenza tra idee e uomini.
  2. Perugia, il caso da manuale: Cangelosi (fino al 20 settembre), Braglia (dal 21 settembre al 22 ottobre), poi Tedesco al timone da 22 ottobre 2025. Nel mezzo, una squadra che fatica a segnare, che incassa un passivo pesante a Pineto e che s’inceppa emotivamente. La società non si limita al cambio in panchina: inserisce Riccardo Gaucci e Walter Novellino come consulenti, dichiarando una svolta di struttura oltre che tecnica. È l’immagine di una gestione che ri-centralizza il comando per provare a blindare il gruppo.
  3. Sorrento, l’esonero “di novembre”: il 18 novembre 2025 salta Mirko Conte dopo 14 partite e 13 punti. La cornice pesa: stadio in lavori, trasferte casalinghe e un contesto complicato. Ancora una volta, l’allenatore diventa il punto più facile da cambiare. Ma la vicenda dimostra che la logistica e l’assetto extra-campo incidono tanto quanto la lavagna tattica.
  4. Benevento e Arzignano: due date ravvicinate mostrano quanto la tendenza sia diffusa su più gironi. 11 novembre 2025: via Gaetano Auteri a Benevento; 4 novembre 2025: l’Arzignano congeda Giuseppe Bianchini. Il mese della verità, appunto.

I numeri che aiutano a capire

  1. Il monitoraggio di TuttoC.com di inizio autunno riassume così: entro i primi tre mesi di stagione si sono registrati 18 cambi in 16 club di Serie C, con casi eclatanti come Giugliano e Perugia già al terzo allenatore. Non è un unicum nella storia recente, ma è un ritmo che colpisce.
  2. Gli aggiornamenti “tutte le panchine” a metà ottobre e poi al 18 novembre 2025 confermano una lista in continuo aggiornamento (da Giugliano a Sorrento, da Benevento ad Arzignano), fotografando un campionato dove la soglia di tolleranza è scesa e il calendario detta scelte immediate.
  3. Il “caso più rapido” resta quello di Colavitto: fuori dopo due giornate. È un dato simbolico: la pazienza di valutare il lavoro su un ciclo minimo (6–8 partite) è spesso venuta meno.

Cosa funziona davvero quando si cambia?

  1. La scossa esiste e a volte incide: un tecnico nuovo può semplificare il piano gara, ridare gerarchie e fiducia, “accendere” 2–3 giocatori chiave. In Serie C, dove l’equilibrio è massimo, bastano un paio di dettagli per cambiare la rotta.
  2. Ma l’efficacia dipende da quattro variabili:
  3. la coerenza tra il nuovo allenatore e la rosa (profili, età, caratteristiche);
  4. la chiarezza dei ruoli interni (chi decide su mercato e tempi della ricostruzione);
  5. il tempo minimo concesso (almeno un ciclo completo di partite prima di giudicare);
  6. la comunicazione verso lo spogliatoio (obiettivi realistici, protezione pubblica del gruppo).

Quando questi elementi mancano, il cambio diventa cosmesi: migliora l’impatto mediatico, ma non risolve.

Il cortocircuito delle aspettative

Il paradosso è qui: si invoca il progetto e, insieme, si pretende che il progetto acceleri subito. La storia recente della categoria dice che le squadre promosse direttamente hanno quasi sempre tenuto lo stesso allenatore per l’intera stagione. Non è una formula magica, ma è indizio forte: per sedimentare un’idea di gioco servono mesi, non settimane. L’urgenza di classifica è un fatto, ma trasformarla in panico non aiuta. E i club che riescono a schermarsi dalle oscillazioni del calendario, pagando il prezzo di qualche settimana scomoda, di solito ne raccolgono i frutti.

E adesso?

Il calendario porterà altre decisioni. Ma le piazze che hanno cambiato presto sono chiamate a un passo in più: non basta sostituire il timoniere, occorre raddrizzare la rotta con strumenti che non siano il solo annuncio. Il Giugliano di Capuano dovrà trovare presto un’identità corta e pragmatica per risalire la classifica; il Perugia di Tedesco ha bisogno di stabilità oltre che di risultati, perché una squadra che si percepisce sotto esame perenne fatica a esprimersi.

La lezione — impopolare, ma necessaria — è che il cambio in panchina dovrebbe essere l’ultima mossa di un processo razionale: prima diagnosi, poi cura; prima il perché, poi il chi. Finché l’ordine rimarrà invertito, continueremo a raccontare esoneri lampo, panchine a tre firme in 90 giorni, e un campionato dove il “qui e ora” divora il “domani”. E a ogni turno, davvero, sarà sempre più facile che “ne salti una”.

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