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Quanto amore! Trump e Infantino la strana coppia della Coppa

La notte di Washington che doveva celebrare la Coppa del Mondo è diventata un test di potere tra politica e pallone, con un premio alla pace creato ad hoc e un Fifa‑presidente sotto accusa. E la stampa internazionale non ha risparmiato giudizi taglienti.

Quanto amore! Trump e Infantino la strana coppia  della Coppa

Trump e Infantino

Una platea elegante, il Kennedy Center tirato a lucido, luci teatrali, orchestra e un copione che prometteva suspence sportiva. Poi, il momento che immobilizza la sala: Donald Trump sale sul palco, riceve da Gianni Infantino un inedito “FIFA Peace Prize”, si appunta al petto una medaglia scintillante, e per lunghi minuti parla di guerre finite, di record di biglietti venduti e di un Mondiale 2026 “mai visto”. Nel frattempo, il calcio aspetta. È l’istante in cui la cerimonia del sorteggio della Coppa del Mondo smette di essere puro rito sportivo e diventa, agli occhi della stampa globale, una “show‑politico” centrato sul presidente americano. Con un corollario: il comportamento del numero uno del calcio mondiale, descritto da più parti come ossequioso oltre il consentito.

L’evento: doveva essere la “festa dei gironi”, è stata la “notte del premio”

  1. Scenario: Washington, D.C., Kennedy Center for the Performing Arts, venerdì 5 dicembre 2025. La FIFA ha scelto il cuore culturale della capitale per un atto televisivo planetario, tra performance musicali e ospiti da red carpet. Lo show ha mescolato artisti come Andrea Bocelli, Lauryn Hill e Robbie Williams e cameo sportivi a stelle e strisce, caricando il piatto prima del piatto forte: le urne che definiscono i gironi della Coppa del Mondo a 48 squadre. L’evento è stato confermato negli USA già da fine estate, con un ruolo attivo di Trump nell’annuncio della sede al Kennedy Center. Tra i dettagli organizzativi, va ricordato che la FIFA ha utilizzato spazi del complesso senza versare il tradizionale canone di affitto, assumendo però i costi di produzione: un punto che ha innescato discussioni interne al centro culturale sulla rinuncia a programmazioni e introiti nelle stesse date. Fonti locali hanno quantificato i listini standard del Kennedy Center in decine di migliaia di dollari a serata per singole sale, a testimonianza dell’eccezionalità dell’accordo.
  2. Numeri chiave: la FIFA e Trump hanno celebrato oltre 1 milione di biglietti già venduti a tifosi da oltre 200 Paesi; un risultato che Infantino ha presentato come “record” per un torneo che, per la prima volta, coinvolgerà 48 nazionali, 16 città e 104 partite tra Stati Uniti, Canada e Messico.

Il “premio alla pace” a Trump: la miccia che accende le reazioni

Il premio è il punto di svolta narrativo della serata. La FIFA aveva annunciato a novembre 2025 la creazione di un nuovo riconoscimento annuale per “azioni eccezionali a favore della pace”, da conferire proprio durante il sorteggio. La domanda, allora, era: a chi? La risposta è arrivata sul palco. Infantino ha consegnato a Trump un trofeo, una medaglia e un certificato, definendo il riconoscimento “il tuo premio, il tuo premio per la pace”. Nelle motivazioni sciorinate in video e discorsi si citavano interventi o presunte mediazioni in Congo‑Rwanda, India‑Pakistan, Gaza, Ucraina e altri dossier; rivendicazioni che parte della stampa internazionale ha definito enfatiche, controverse o non verificabili nella portata dichiarata. Trump, dal canto suo, lo ha definito “una delle più grandi onorificenze” della sua vita, legandolo all’idea che “gli Stati Uniti oggi sono il **Paese più “hot” del mondo””.

Non è tutto: il ponte narrativo tra premio e sorteggio non ha convinto molti osservatori. Il rischio percepito? Legittimare la politicizzazione dell’evento calcistico più seguito del pianeta, con Infantino in scena come regista e spalla. Alcune testate hanno rimarcato come la procedura di selezione del premio resti opaca, rinviata a una futura regolamentazione affidata a un comitato di “responsabilità sociale” di nuova costituzione, con figure controverse citate in ruoli di indirizzo.

“Trump‑Show”: come l’hanno raccontata i media internazionali

Se l’obiettivo era stupire, missione compiuta. Ma per la stampa mondiale, lo stupore ha lasciato presto spazio a giudizi duri. Rassegna ragionata:

  1. La britannica The Guardian ha coperto in diretta l’assegnazione del premio, sottolineando la tensione tra il claim “Football Unites the World” e la scelta di celebrare Trump per meriti di pacificazione che, in diversi teatri, restano oggetto di contestazione. Il tono: ironico‑critico sulla “parodia oltre la parodia” di un premio alla pace cucito sul protagonista del giorno.
  2. Dagli Stati Uniti, il Washington Post ha raccontato lo show come un miscuglio di spettacolo e politica, con il sorteggio finito “in secondo piano” nella prima ora. Il giornale ha notato come il premio sembri anche la risposta simbolica alla mancata assegnazione del Nobel a Trump poche settimane prima, e ha documentato la centralità scenica del presidente lungo l’intero canovaccio della serata.
  3. L’agenzia Reuters, in chiave più fact‑based, ha evidenziato gli aspetti commerciali e organizzativi esaltati da Trump e Infantino: le cifre del ticketing, l’estensione a 48 squadre, la logistica su 16 sedi. Ma anche il fatto che la relazione personale tra i due sia stata, negli ultimi mesi, più volte esibita in contesti protocollari e mediatici.
  4. Dalla Germania, testate come Bild e Welt hanno insistito sul frame della “Trump‑Show” e sulla deriva servile attribuita a Infantino: cronache e commenti parlano di una “zdanza politica” che ha oscurato il calcio, con prime pagine e titoli che riportano Rassegne della “weltpresse” indignata. Il lessico ricorrente: “umiliante”, “speichelleckerei” (piaggeria), “nuovo punto più basso”.
  5. Dall’Independent britannico, il focus è entrato dentro la macchina scenica FIFA, tra battute malriuscite, tempi morti e clip agiografiche: un racconto di “shambolic and shameful”, caotico e imbarazzante, dove la politica cannibalizza la celebrazione del gioco.
  6. Sui social, giornalisti e analisti di sport‑politica hanno bollato l’operazione come “momento più buio dello sport mondiale”, con accuse alla FIFA di avere “inventato un premio per premiare Trump”. L’eco virale ha amplificato la percezione di una distanza crescente tra governance del calcio e sensibilità del pubblico globale.

Il ruolo di Infantino: regista, cerimoniere, parafulmine

Se il protagonista visibile è Trump, il protagonista processuale è Gianni Infantino. La sua prossimità al presidente americano nei mesi precedenti è documentata: comparsate pubbliche, consegna della Coppa del Mondo nello Studio Ovale (“it’s for winners only”), endorsement ripetuti sul valore “unificante” del calcio in un mondo “diviso”, fino a definire Trump un “amico”. Nel giorno del sorteggio, Infantino rimarca la narrativa della pace e della unità; ma è proprio questa cornice a diventare boomerang, nel momento in cui la platea mediatica la interpreta come strumentale e personalistica.

Non hanno aiutato, raccontano i corrispondenti, alcune uscite estemporanee del presidente FIFA a microfono aperto — siparietti, inviti al pubblico, “momenti mai visti” — che in diretta hanno spiazzato persino i commentatori televisivi. Il tutto mentre la conduzione tentava di tenere il ritmo tra le esibizioni e il conto alla rovescia delle urne.

Il calcio, a un certo punto

Quando le palline finalmente girano, il calcio torna a respirare. Per gli Stati Uniti, ad esempio, un girone “accessibile” con Australia, Paraguay e una europea da definire, che ha riacceso l’ottimismo casalingo e l’attenzione su giugno 2026, esordio a Città del Messico. Altre nazionali tracciano percorsi delicati: c’è chi parla di “girone di ferro”, chi di “trappole da evitare”. Ma questo segmentino tecnico — pure succoso — è rimasto, ovunque, sotto traccia rispetto al contesto politico.

Anche in Inghilterra, con il c.t. Thomas Tuchel a fare da antitesi allo show: toni bassi, pragmatismo, “contiamo ciò che possiamo controllare”. Un modo, forse, per rimettere la palla al centro mentre attorno i riflettori inseguono altro.

Politica e pallone: una frizione che si rinnova

  1. La centralità istituzionale del Kennedy Center non è un semplice sfondo. Per settimane, Washington ha discusso della scelta, dei costi, dei tempi di allestimento a ridosso dei Kennedy Center Honors. In parallelo, Trump ha intrecciato il tema con la sua narrativa law‑and‑order sulla capitale federale e con la promessa di un Paese “sicuro” per il Mondiale: un mix che salda sicurezza, immagine nazionale, mega‑evento.
  2. La FIFA, dal canto suo, ha moltiplicato la propria presenza negli Stati Uniti, anche in chiave business, mentre la macchina del Mondiale a 48 è un cantiere che richiede logistica, visti, trasporti e un’inedita geografia di spostamenti per squadre e tifosi. Le autorità americane hanno sbandierato procedure d’ingresso più snelle per i titolari di biglietti, pur con filtri “più rigorosi” per specifici Paesi. È un equilibrio difficile, di cui la serata del sorteggio è stata, a suo modo, uno spot.
  3. In controluce, la disputa simbolica: l’assegnazione di un premio alla pace nel bel mezzo del rito calcistico. Per molti commentatori, è il segno di una governance che piega il linguaggio dell’etica e della responsabilità sociale alle esigenze del marketing politico. Per la FIFA, è l’estensione coerente della campagna “Football Unites the World”. La distanza tra le due letture spiega la valanga di editoriali del giorno dopo.

Le critiche a Infantino: “nuovo punto più basso”

Il refrain che rimbalza nelle rassegne stampa tedesche e britanniche parla chiaro: il comportamento di Infantino durante tutta la sequenza premiale è stato letto come “umiliante”, “piaggeria”, “nuovo punto più basso” del suo mandato. Non si tratta di una singola frase, ma di una somma di gesti: la consegna enfatica, le formule riverenti, la scelta del timing a ridosso delle urne, il taglio celebrativo dei contributi video. Il risultato, per chi scrive da Londra o Berlino, è un presidente che scompare come garante dell’interesse del calcio e riappare come spalla del leader politico di casa.

L’ombra lunga sul gioco: quanto ha pesato sul racconto sportivo?

Molto. Le headline internazionali hanno coniato, quasi all’unisono, l’etichetta di “Trump‑Show”: personaggio e premio hanno spostato l’attenzione dal calcio al palcoscenico politico. In televisione, non tutto è filato liscio: in Germania, per esempio, c’è stata perfino una interruzione inattesa del servizio pubblico durante il blocco presidenziale, che ha irritato i telespettatori e alimentato la sensazione di uno show fuori asse.

Eppure, nelle pieghe, lo sport ha provato a resistere: si è parlato di equilibri tattici, di calendari e trasferte, di come distribuire le 104 gare su un continente. Ma la mattina dopo, a scorrere le prime pagine, è chiaro che la narrazione principale è un’altra.

Cosa resta: tre domande per la FIFA (e per il calcio)

  1. La politicizzazione degli eventi di punta è inevitabile? In parte sì: il calcio mondiale è da decenni una piattaforma geopolitica. Ma c’è un discrimine tra protocollo e centralità narrativa: quando il messaggio istituzionale surclassa la competizione, il prodotto sportivo si impoverisce. Il sorteggio di Washington è un caso‑scuola.
  2. Un premio alla pace in questa forma aiuta o danneggia la credibilità della FIFA? Dipende dalla trasparenza. Finché restano opachi criteri, procedure e governance del riconoscimento, il sospetto di strumentalità prevale sulla promessa di valori.
  3. Dove si colloca la voce dei tifosi? La reazione social, spesso sferzante, è un termometro. Il rischio è l’assuefazione: che l’audience mondiale impari a considerare la retorica una componente inevitabile del prodotto calcio. A quel punto, però, anche l’emozione del sorteggio perde autenticità.

Epilogo (provvisorio): il pallone chiede di tornare protagonista

Da qui a giugno 2026 il calcio avrà il tempo di riprendersi la scena: ci sono convocazioni, amichevoli, logistica, speranze. Ma l’istantanea di Washington resterà: una fotografia in cui Trump e Infantino occupano i primi piani, mentre le urne — simbolo dell’equità sportiva — appaiono come comparse di lusso. Perché il sorteggio non è un atto qualsiasi: è il prologo del torneo, la promessa al mondo che il gioco si reggerà su regole uguali per tutti. Quando quel prologo diventa palco politico, la promessa si offusca.

Il paradosso è tutto qui: l’industria del calcio, mai così grande e globale, fatica a proteggere i momenti in cui dovrebbe mostrarsi semplice. Ed è proprio in quelle occasioni che il pubblico chiede soltanto una cosa: vedere il calcio.

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