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09 Dicembre 2025
Un cambio al minuto 89 in una fredda sera di Stamford Bridge può sembrare poca cosa. Eppure quel lampo — il debutto in FA Cup del giovane Luca Percassi nel 1999-2000, dentro al posto di Dan Petrescu in un Chelsea–Nottingham Forest 2-0 — è il fotogramma da cui parte una storia manageriale. Prima ancora c’era stato Highbury, 11 novembre 1998, League Cup: Arsenal-Chelsea 0-5, 13 minuti finali per il diciottenne difensore lombardo al posto di Bjarne Goldbaek. Due comparsate? Sulla carta sì. Nella sostanza, due immersioni in un laboratorio di professionalità, multiculturalità e ossessione per il dettaglio che hanno lasciato tracce profonde nel dirigente che oggi guida l’Atalanta. Non è nostalgia, ma ingegneria del mestiere: ciò che Percassi ha visto, sentito e toccato nella Londra di Gianluca Vialli è diventato, anni dopo, metodo e visione nella Bergamo che ha messo in bacheca l’Europa League.
Nell’estate del 1998, il ragazzo delle giovanili dell’Atalanta vola a Londra dentro la trattativa che porta Samuele Dalla Bona ai Blues. A Cobham e negli stadi della vecchia Premier, Percassi incrocia campioni e personalità — Gianfranco Zola, Roberto Di Matteo, Pierluigi Casiraghi, un John Terry agli esordi — sotto la regia di Gianluca Vialli, player-manager dalla leadership magnetica. In quei due anni, mentre al Chelsea si alzano la Supercoppa UEFA del 1998 e la FA Cup del 2000, il difensore italiano gioca poco, ma osserva tutto: la gerarchia delle responsabilità, la disciplina quotidiana, l’idea che ogni reparto sia una catena di montaggio competitiva dove ognuno ripete procedure finché diventano istinto. Non è retorica: è il lessico dell’alta prestazione, quello che fa la differenza quando un club diventa sistema.
Quel contesto ha anche una grammatica internazionale: una squadra dal forte accento italiano si miscela con la spina dorsale inglese e con profili stranieri abituati a vincere. Per un diciottenne che esce dal vivaio, è un’università accelerata: lingua, mentalità, ritmi. Sarà questa la matrice che ritroveremo, a distanza di anni, nella costruzione di un’Atalanta capace di integrare talenti di provenienze diverse, valorizzarli e rivenderli, senza perdere identità.
Più volte Percassi ha riconosciuto un “grazie immenso” a Vialli: non un semplice tecnico, ma un mentore. Dalla sua gestione, il giovane difensore apprende un principio basilare: decidere “con” la squadra, non “per” la squadra. La meritocrazia come forma quotidiana di giustizia interna — allenarsi forte, comunicare chiaro, premiare chi migliora — e la cura dei dettagli invisibili: le sedute con standard replicabili, l’attenzione alla nutrizione dell’epoca, la didattica tattica per comparti. Sono concetti chiave che torneranno con forza a Zingonia quando Percassi siederà dall’altra parte del tavolo.
La parentesi da calciatore si chiude presto: dopo le esperienze con Monza, Alzano e Spezia, Luca Percassi saluta il professionismo intorno ai 24 anni e imbocca la strada dell’imprenditoria, seguendo l’orma paterna di Antonio Percassi. Il vero cambio di passo è nel 2010: la famiglia torna al timone dell’Atalanta, e Luca assume il ruolo di amministratore delegato. È qui che l’eredità inglese diventa piattaforma operativa: processi, standard, controllo delle interfacce fra area sportiva e area aziendale, un’idea di club come organizzazione ad apprendimento continuo.
Nel febbraio 2022, l’Atalanta accelera la propria internazionalizzazione con l’ingresso del gruppo di investitori guidato da Stephen Pagliuca (co-owner dei Boston Celtics), che acquisisce il 55% della holding familiare che controlla il club. La famiglia Percassi mantiene il 45% e resta primo azionista singolo; Antonio continua da presidente, Luca da CEO. L’architettura è quella di una partnership paritetica: governance condivisa, apertura a reti di relazioni e know-how oltre l’Europa, spinta su commerciale, tecnologia e talent network. È lo stesso ponte culturale attraversato anni prima da Percassi ragazzo: linguaggi, metodi e standard compatibili con il mondo anglosassone, ora al servizio di un club italiano. Non è un caso che Luca venga eletto vicepresidente della Lega Serie A nel 2022 (e poi confermato nel 2025): credibilità negoziale, postura istituzionale, capacità di mediazione sono skill che maturano anche nelle aule di Stamford Bridge.
L’altra eredità inglese è la percezione dello stadio come asset strategico. Il Gewiss Stadium diventa cantiere permanente: dalla Curva Nord (2019) alla Tribuna Rinascimento (2020), fino alla Curva Sud “Morosini” con i lavori avviati nel giugno 2023 e il target di una capienza intorno ai 25.000 posti. Visione, pianificazione e dialogo con la città: la prospettiva non si esaurisce nell’estetica, ma riguarda ricavi ricorrenti, matchday experience e consolidamento del brand. È una politica industriale che in Premier è norma e in Serie A spesso eccezione, e che a Bergamo diventa un pezzo della competitività di lungo periodo.
Il 22 maggio 2024, all’Aviva Stadium di Dublino, l’Atalanta travolge il Bayer Leverkusen con un 3-0 che entra nella storia del club: tripletta di Lookman, secondo trofeo maggiore in 117 anni nerazzurri, fine dell’imbattibilità tedesca a 51 partite. È il punto più alto di un percorso in cui la società — e quindi la cabina di regia di Luca Percassi — ha tenuto insieme tre variabili rare: continuità tecnica, sostenibilità economica, crescita infrastrutturale. Non c’è gloria senza procedura: dietro una notte perfetta ci sono anni di processi codificati, investimenti pesati, scelte coerenti.
Il mestiere di un CEO calcistico è anche gestione del tempo: quello delle crisi (sportive o mediatiche), quello delle transizioni tecniche, quello delle trattative. Nell’autunno 2025, dopo l’addio di Gian Piero Gasperini e la parentesi Ivan Jurić, la scelta di virare su Raffaele Palladino è un atto che chiede coraggio ma anche coerenza di progetto. Nella narrazione di Percassi, la parola ricorrente è atteggiamento: una categoria che somma intensità, responsabilità e postura competitiva. È lo stesso vocabolario imparato in Premier, dove i club sono aziende che comunicano poco e decidono molto, e dove la trasparenza sta nella prestazione, non nelle dichiarazioni.
Tutto torna a quel minuto sotto la Matthew Harding Stand. Mentre la lavagnetta segnava 89’, Percassi non poteva immaginare che, oltre a infilare gli scarpini sull’erba blu, stava mettendo in tasca un taccuino di procedure e abitudini. Una volta chiuse le valigie, tornato a Bergamo, quel taccuino è diventato l’agenda con cui ha fatto crescere l’Atalanta: prima stabilizzando il club in Serie A, poi costruendo una reputazione europea, quindi cucendo alle pareti del Gewiss Stadium la stoffa di un’organizzazione matura.
Non c’è romanzo qui: c’è la traiettoria di un professionista che ha imparato nel luogo in cui il calcio da organizzazione si studia da decenni. Da Stamford Bridge a Bergamo, la rotta di Luca Percassi è il promemoria che il talento si accende in campo, ma la competitività si coltiva ogni giorno, nello spazio austero degli uffici, nella grammatica dei numeri e nella cultura del lavoro.
Il resto è presente: una Dea che continua a crescere, con addosso l’abitudine a competere che Percassi ha assorbito quando, ragazzo, si allenava accanto a Terry e ascoltava i consigli di Vialli. Allora entrava per un minuto. Oggi, in Atalanta, quel minuto non è ancora finito.