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Dal Parma dei miracoli ai filari dei Colli Euganei: trofei, un paio di «no» al Real Madrid e una vita guidata più dalla coerenza che dai riflettori

«Il contadino che allenava l’Europa»: tra vigne, coppe e scelte controcorrente

Dal Parma dei miracoli ai filari dei Colli Euganei: trofei, un paio di «no» al Real Madrid e una vita guidata più dalla coerenza che dai riflettori

Nevio Scala

LOZZO ATESTINO, DOVE LA FELICITÀ PROFUMA DI TERRA

A Lozzo Atestino, ai piedi dei Colli Euganei, d’inverno la vigna sembra un fotogramma in bianco e nero..L’aria punge, la terra è dura, i filari disegnano righe sottili contro il cielo.

Lì in mezzo c’è un contadino di 78 anni.

32 anni fa calpestava l’erba di Wembley guidando undici calciatori alla vittoria nella finale contro l’Anversa e portando a casa una storica Coppa delle Coppe.

Il suo nome è Nevio Scala e oggi controlla grappoli, germogli, zolle.

«La felicità è qui», ha detto più volte, parlando di pioggia, vento, sole.

Qui nel lavorare la terra segue la stessa filosofia che lo ha accompagnato in panchina: il lavoro quotidiano e l’idea che il risultato arriva solo se il contesto è sano.

IL PARMA DEI MIRACOLI: PROVINCIA E COPPE 

Ma per comprendere meglio Scala dobbiamo tornare per un attimo agli anni ‘90.

Sulla panchina del Parma si siede un allenatore che non fa proclami e non promette rivoluzioni, ha in mente quello che lo ha sempre guidato: il lavoro e l’applicazione di principi semplici e sani. E con quel suo fare “contadino” semplice e caldo in pochi anni regala alla piazza parmense 4 splendidi gioielli:

  • Coppa Italia,
  • Coppa delle Coppe
  • Supercoppa europea
  • Coppa Uefa

E così, quella che era una provinciale diventa per tutti, in Italia e in Europa, l’incubo di club blasonati. Lo chiamano il Parma dei miracoli, ma per Nevio è semplicemente il frutto di qualcosa costruito sull'idea di comunità più che su un agglomerato di stelle e solisti.

È come lavorare nei campi, si semina, si cura, si programma e si raccolgono i frutti di un lavoro costante.

I DUE RIFIUTI ALLA PANCHINA DEL REAL MADRID 

C’è un dettaglio, nella carriera di Nevio Scala, che da solo basterebbe a spiegare il suo modo di vedere il mondo: per due volte dice no a una panchina europea, non quella di una squadra qualsiasi: quella del Real Madrid, che negli anni '90 detta legge nel calcio mondiale. 

E Scala non si limita a rifiutare una volta, bensì dice no per due volte. 

La prima volta succede mentre il Parma sta esplodendo, in pieno ciclo di coppe: dalla Spagna arrivano segnali concreti, la panchina delle merengues è più di una suggestione, ma Scala sceglie di restare dov’è. 

«Parma era la mia creatura», dirà qualche anno dopo.

La seconda chiamata, a fine decennio, ha lo stesso esito.

La squadra è la stessa, il Real Madrid. Anche la risposta di Scala non cambia.

In un’epoca in cui chiunque avrebbe usato il Real come scorciatoia verso l’Olimpo, Scala sceglie di restare “allenatore di provincia”.

Quei due no al club più potente del mondo raccontano un tecnico che non si è mai fatto guidare solo dall’ego o dalla carriera, ma da una bussola personale piuttosto chiara: se non può costruire un rapporto vero con la città e con il gruppo, quella panchina non gli interessa. 

IL METODO SCALA: GRUPPO, EMPATIA, POCHE URLA

Il Parma di Nevio gioca con una difesa a tre che si allarga, quinti che spingono, centrocampo pieno di corsa e intelligenza, davanti gente come Zola, Asprilla, Brolin che può accendere la partita in mezzo secondo. Ma tutto passa da un principio base: non ci sono stelle o solisti, c’è il gruppo.

PARMA, LA RIPARTENZA E L’ADDIO CHE FA MALE (MA È COERENTE)

Nel 2015, dopo il crac societario, Scala accetta di tornare non in panchina ma in presidenza del nuovo Parma Calcio 1913.

Si riparte dai campi di Serie D, dagli spogliatoi piccoli, dalle trasferte che sanno più di Lega Nazionale Dilettanti che di Champions.

Scala fa quello che sa fare: costruisce contesto, chiama con sé uomini di fiducia (Apolloni in panchina, Minotti in area tecnica), rimette in moto una città. La promozione arriva subito, il club si rialza.

Poi, nel novembre 2016, lo strappo. Non con la piazza, ma con la nuova proprietà: l’esonero di Apolloni non gli va giù. Scala saluta.

È una scelta scomoda, ma è perfettamente in linea con il personaggio: se un progetto non è più condiviso, se il gruppo viene messo in secondo piano rispetto alla fretta del risultato, lui preferisce farsi da parte.

Sul tabellino resta un’uscita di scena.

Sul piano umano, resta una lezione: puoi rinunciare a un ruolo importante e uscire lo stesso a testa alta.

DALLA PANCHINA ALLA VIGNA: STESSA GRAMMATICA, CAMPO DIVERSO

Oggi il palcoscenico principale di Scala non è più Wembley, ma i filari di Garganega ai piedi del Monte Lozzo. La sua azienda agricola è biologica, lavora con interven­ti minimi, lascia che sia il tempo a decidere.

Parlando di calcio moderno, Scala è spesso tagliente: troppa ipocrisia, soprattutto quando c’entrano i giovani.

Si parla di progetti, di crescita, di percorsi, e poi si brucia un ragazzo alla prima partita sbagliata. È un appunto che arriva da uno che i vivai li ha frequentati davvero, da Zingonia a Parma.

Nevio Scala continua a fare quello che ha sempre fatto: mettere le mani dove nascono le cose.

Prima sull’erba del Tardini e sui campi d’Europa, adesso nella terra tra i filari.

In mezzo, coppe, scelte difficili, qualche addio doloroso e una coerenza che, nel calcio di oggi, fa quasi più notizia dei trofei.

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