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«Quattro volte Simone»: la notte in cui l’allenatore di oggi fu il bomber più letale d’Europa

14 marzo 2000: quattro gol in Lazio–Marsiglia di Champions. La partita che mette l'attuale allenatore dell'Al-Hilal in una categoria quasi intoccabile, e che oggi, ammirati dalle sue tattiche in panchina, in pochi ricordano

ROMA, L’ANNO DI GRAZIA 2000

Siamo abituati a vederlo oggi, sbracciarsi in area tecnica, la voce roca, la giacca che vola via nei momenti di tensione, l'ossessione per i dettagli tattici. Simone Inzaghi, per il calcio contemporaneo, è "Il Demone" di Piacenza, l'allenatore di coppe, lo stratega del 3-5-2.

Ma c’è stato un tempo, prima della lavagna tattica, in cui Simone non spiegava il calcio: lo eseguiva. E lo faceva con una cattiveria agonistica che spesso dimentichiamo. Per ritrovare quella versione dobbiamo riavvolgere il nastro fino alla sera del 14 marzo 2000. Stadio Olimpico. La Lazio di Sven-Göran Eriksson è una corazzata: Veron, Nedved, Conceição, Nesta. Davanti ci sono mostri sacri come Boksic, Salas, Mancini.

E poi c’è lui. Maglia numero 21, che addosso gli sta sempre un po’ larga. Non ha l’eleganza di Mancini, non ha la potenza di Boksic. Simone Inzaghi è un attaccante d’istinto puro. Vive sul filo del fuorigioco, "sente" la porta come si sente un cambio di temperatura sulla pelle.

Quella sera, contro l’Olympique Marsiglia, Simone decide di uscire dall'ombra e prendersi tutto.

L'ISTINTO DEL PREDATORE: NON BELLO, MA CLINICO

La partita inizia e si capisce subito che c’è un’elettricità diversa nell'aria. Il Marsiglia è frastornato, la Lazio è una macchina. Ma non è una sinfonia d’orchestra, è un assolo di batteria. E le bacchette le ha in mano Inzaghi. Al 17’ arriva il primo. Controllo e tiro. Secco. Al 37’ il raddoppio. È il classico gol "alla Inzaghi": opportunismo, capacità di essere nel posto giusto un secondo prima del difensore. Passano sessanta secondi. 38’. Tris. La difesa francese non ha nemmeno il tempo di rimettere la palla al centro che Simone ha già colpito ancora. L’Olimpico è una bolgia, ma lui non è sazio. Nel secondo tempo, al 71’, cala il poker.

Quattro gol in una sola partita di Champions League.

In quel momento, il tabellone luminoso dell’Olimpico non segna solo un punteggio. Segna la storia.
Prima di quella sera, in quella competizione (nel format moderno), un’impresa simile l’aveva fatta solo un certo Marco van Basten. 
Da una parte il Cigno di Utrecht, l’eleganza fatta persona. Dall'altra Simone Inzaghi, il ragazzo di Piacenza che sgomitava in area. Quella notte, si sono seduti allo stesso tavolo.

IL RIGORE SBAGLIATO: L'UMANITÀ DEL RECORD

C’è un dettaglio, in quella notte trionfale, che rende la storia ancora più affascinante e terribilmente "vera".

Simone, in quella partita, sbaglia anche un calcio di rigore. Il portiere del Marsiglia, Porato, glielo para. Potevano essere cinque. Poteva essere un record assoluto, solitario, inarrivabile. Invece resta il poker. E quell'errore dal dischetto ci racconta perfettamente chi era Simone giocatore: una fame insaziabile che a volte lo portava a strafare, un mix di lucidità e frenesia.
Non era un robot. Era un attaccante che viveva di momenti, di fiammate, di istinto.

UN RECORD CHE È UNA FIRMA

Oggi, quando parliamo di Inzaghi, analizziamo le sue uscite dal basso, i braccetti di difesa che salgono, la gestione dello spogliatoio. È diventato un tecnico d'élite.

Ma quel record del 14 marzo 2000 resta lì, scolpito negli almanacchi UEFA, a ricordarci una verità fondamentale, utile soprattutto ai ragazzi che leggono Sprint e Sport: non serve essere il più veloce, il più tecnico o il più bello da vedere per entrare nella storia.

Serve l'intelligenza. Serve capire il gioco prima degli altri. Simone Inzaghi, quella sera, ha dimostrato che si può essere letali anche senza essere fenomeni da copertina patinata. Ha preso un record, lo ha messo in tasca e poi, anni dopo, si è seduto in panchina. E forse, quando oggi chiede ai suoi attaccanti di "sentire la porta", non sta parlando per teoria. Sta ripensando a quella notte all'Olimpico, quando per quattro volte il mondo si fermò ai suoi piedi. Celebre oggi come architetto, quasi dimenticato come bomber di ieri.

Ma i numeri non mentono mai: quella notte, Simone Inzaghi è stato il re d'Europa.

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