L’ATTESA DI UN RAGAZZO DAVANTI AL TELEFONO
C’è un telefono fisso che squilla in una stanza della provincia bergamasca. È la primavera del 1994. Dall’altra parte del filo c’è il destino, vestito con la tuta della Nazionale. Pierluigi Orlandini, per tutti Gigi, non doveva essere lì. Non era nella lista dei convocati di Cesare Maldini per l’Europeo. Ma il calcio, come la vita, è questione di sliding doors: Sandro Cois si fa male. Si libera un posto.
«Vieni subito».
Gigi fa la borsa e parte. Non sa ancora che sta andando a cambiare per sempre le regole del gioco.
MONTPELLIER, IL MINUTO 97 E QUEL GOL D’ORO
20 aprile 1994. Stadio La Mosson, Montpellier. Finale Italia-Portogallo. Dall’altra parte non ci sono giocatori normali: ci sono Luis Figo, Rui Costa, João Pinto. È la generazione d’oro lusitana. L’Italia è un blocco di granito: Toldo in porta, Cannavaro e Panucci a ringhiare. La partita è bloccata. Maldini si gira verso la panchina all’84’. Esce Pippo Inzaghi, entra Orlandini. Si va ai supplementari. Ma non sono supplementari normali. La UEFA sta sperimentando una regola crudele ed elettrizzante: il "Golden Goal". Chi segna vince. Subito.
Minuto 97 (o giù di lì, i cronometri dell'epoca ballano). Orlandini riceve palla sulla trequarti destra. È la sua mattonella, ma è lontana. Non pensa. Carica il sinistro. La palla parte secca, violenta, e finisce all'incrocio opposto. Il Portogallo delle stelle si ferma. L’Italia esplode. È finita. Gigi Orlandini diventa il primo uomo nella storia a decidere una finale europea con un Golden Goal.
In quel sinistro c'è tutto: l'incoscienza dei vent'anni, la tecnica pura e quella lezione che oggi ripete ai suoi ragazzi: «Se hai lo spazio, calcia. Non chiedere permesso».
LA VITA DOPO IL MIRACOLO: TRA PARMA, INTER E MILAN
Un gol così può schiacciarti o lanciarti. Orlandini sceglie di usarlo come trampolino per una carriera di alto livello, fatta di picchi altissimi e cadute umane. Veste la maglia dell'Inter (due anni, il primo ottimo con Bianchi, il secondo chiuso dall'arrivo dei mostri sacri). Passa al Verona e poi approda al Parma.
Attenzione: quel Parma (1997-1999) non era una squadra di calcio, era un'enciclopedia.
Buffon, Thuram, Cannavaro, Veron, Crespo, Chiesa.
Gigi non è la stella, ma c’è. Si allena con loro, vive quella mentalità vincente. Nel 1999 alza la Coppa UEFA e la Coppa Italia.
Impara che essere parte di un gruppo vincente significa accettare le gerarchie e alzare il livello dell’allenamento, anche se la domenica vai in tribuna.
Passa anche dal Milan, dal Venezia, dal Brescia di Baggio. Chiude con quasi 200 presenze tra i pro. Non è diventato Totti, no. Ma è stato un professionista vero in un’epoca in cui la Serie A era il campionato più difficile del mondo.
OGGI: IN TRINCEA AL VILLA VALLE
E adesso? Adesso Gigi Orlandini è tornato dove tutto è iniziato: sul campo, in provincia. Niente scrivanie di mogano o ruoli di facciata. È il Responsabile Tecnico dell’Agonistica del Villa Valle, solida realtà di Serie D bergamasca.
Lo vedi arrivare al campo con la stessa faccia di trent'anni fa. Lavora sulla tecnica individuale. Corregge la postura del corpo. Spiega come si orienta il primo controllo. Ha portato la metodologia imparata all'AC Monza e l'ha adattata al calcio dilettantistico.
Ai ragazzi del 2008 o del 2009 non racconta del gol a Figo per vantarsi. Lo racconta per spiegare un concetto fondamentale:
«Quel giorno io ero una riserva. Sono entrato e ho deciso la finale. Non importa se giochi 90 minuti o 5. Importa se sei pronto quando la palla arriva».
LA LEZIONE DI GIGI
La storia di Orlandini è perfetta perché è l’antidoto alla cultura dell'alibi. Poteva lamentarsi di non essere titolare fisso all'Inter.
Poteva lamentarsi della concorrenza a Parma. Invece ha lavorato.
Quel sinistro di Montpellier non è stato un caso. È stato il frutto di anni passati a calciare contro un muro in oratorio.
Oggi, tra i filari della Val Brembana e i campi sintetici della Lombardia, Orlandini sta crescendo la prossima generazione.
Magari nessuno di loro segnerà un Golden Goal in finale. Ma tutti sapranno come si stoppa un pallone e come si sta al mondo.
E scusate se è poco.