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«Partire sotto zero e restare vivi»: la Reggina del segno meno e la salvezza che vale come un titolo

Un campionato cominciato con una zavorra scritta in classifica, una città che stringe i denti e una squadra costretta a trasformare ogni domenica in una rincorsa. Il finale, però, non lo indovini dal primo giorno

«Partire sotto zero e restare vivi»: la Reggina del segno meno e la salvezza che vale come un titolo

Il campionato comincia sotto lo zero
C’è un modo crudele di entrare in stagione: non con un calendario difficile, non con un infortunio, ma con un numero davanti al nome. Reggina, e accanto un segno meno che sembra un giudizio morale. La classifica non ti aspetta: ti guarda dall’alto, e tu parti dal basso con l’obbligo di risalire senza fare rumore, perché ogni pareggio “normale” diventa insufficiente e ogni sconfitta pesa doppio.

-15, poi -11, e la matematica che ti mastica vivo
All’inizio la penalizzazione è una condanna lunga quanto una stagione: quindici punti. Eppure, mentre la narrazione nazionale resta appiccicata allo scandalo, a Reggio Calabria la storia cambia registro: non è più una questione di tribunali, è una questione di nervi. A dicembre arriva lo “sconto” di quattro punti: non è un regalo, è un cambio di scenario. Da quel momento la Reggina non smette di rincorrere, ma smette di farlo in apnea.

Walter Mazzarri e il calcio come lavoro sporco, non come romanzo
In panchina c’è un allenatore che non promette miracoli: pretende ordine. Il suo capolavoro non è un’invenzione tattica da copertina, è una cosa più rara e più scomoda: rendere una squadra governabile mentre tutto intorno prova a farla esplodere. La Reggina diventa una creatura “dura”, più mentale che elegante. Il punto non è vincere bene. Il punto è non sfilacciarsi mai.

Lo spogliatoio: la fede senza liturgia
Quando parti sotto di undici (e prima ancora sotto di quindici) non puoi permetterti il lusso delle giornate storte “emotive”. Devi costruire una disciplina che non si veda: abitudini, compattezza, una specie di patto non scritto. Ogni partita diventa una micro-scalata: non cercare l’eroe, cercare continuità. E se l’ansia arriva, non devi scacciarla: devi usarla.

Il Granillo: la città come amplificatore
A Reggio Calabria lo stadio non è un posto dove si va: è un organismo che reagisce. Quando la squadra prova a rialzarsi, il Granillo non chiede bellezza. Chiede verità. Chiede che nessuno molli di un centimetro, perché la gente in tribuna conosce benissimo quella sensazione: partire svantaggiati e dover recuperare senza chiedere permesso.

Il dettaglio che ribalta tutto: 51 sul campo
Qui sta la dimensione “assurda” dell’impresa: la Reggina fa abbastanza punti da vivere tranquilla sul campo. Cinquantuno, in trentotto giornate. La penalizzazione li trasforma in quaranta, ma l’idea resta la stessa: non è una squadra che si salva “per sbaglio”, è una squadra che produce rendimento vero mentre porta una zavorra legata alla caviglia.

L’ultima scena: 27 maggio 2007, il 2–0 al Milan
Poi arriva la giornata in cui le stagioni trovano un finale degno. Reggina–Milan, 27 maggio 2007: non è un match qualunque, è l’esame finale. Finisce 2–0, con i gol di Nicola Amoruso e Daniele Amerini. E in quella partita c’è tutto: l’orgoglio, la tensione, la città che spinge, e la sensazione netta che la salvezza sia stata conquistata, non ottenuta.

Perché quella salvezza vale come uno scudetto
Nel calcio i titoli sono pochi e le storie vere sono ancora più rare. La Reggina 2006-07 è una storia vera perché non ha bisogno di abbellimenti: parte sotto, risale, regge, e alla fine resta in piedi. È una salvezza che non chiede di essere celebrata come un trofeo, ma che ha lo stesso peso specifico: quello delle imprese che si fanno quando il tabellone, dall’inizio, ti dice che non dovresti farcela.

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