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17 Dicembre 2025
Franco Scoglio esultante per il suo Genoa
L’entrata in scena: il porto non perdona
Genova non ti accoglie: ti misura. Se arrivi con la voce grossa ti ride dietro, se arrivi con la poesia ti guarda storto. Franco Scoglio arriva con un’altra arma, più scomoda: l’ordine. E con una frase che sembra la caricatura di un docente, ma in realtà è un modo per mettere le mani al collo del caos: «Il mio calcio è fatto così: 47% tecnica, 30% condizione fisica, 23% psicologia».
In quel momento capisci che non sta parlando di numeri. Sta parlando di paura. E di come si governa.
Il “Professore”: più maestro che personaggio
Il soprannome gli resta appiccicato perché spiega, divide, pretende. Ma non è un vezzo: è una difesa. Nel calcio di allora il sentimento era un coltello; o lo impugni tu, o lo impugna lui. Scoglio preferisce insegnare una disciplina perché sa che l’istinto, da solo, dura una partita. La tenuta, invece, dura un campionato.
Il punto: in Serie B non vinci, sopravvivi
Il capolavoro di Scoglio con il Genoa non è una cavalcata “pulita”. È una risalita fatta di spigoli, gomiti, rientri tardivi, campi dove la palla rimbalza come vuole lei. È qui che la sua lavagna diventa utile: perché quando tutto è sporco, l’unica eleganza possibile è non perdere la testa.
E infatti il marchio della stagione è uno: pochi gol concessi, la sensazione che segnare al Genoa fosse come entrare in un porto con la tempesta.
Empoli: un pareggio che pesa come una vittoria
C’è un giorno in cui la promozione non arriva con un trionfo, ma con un risultato che sembra modesto solo a chi non ha capito il contesto: 1–1 a Empoli, fine maggio. Un pareggio, sì. Ma in certe annate il pareggio è un pezzo di metallo: lo stringi e capisci che vale.
È il tipo di partita che non ricordi per le azioni. La ricordi per come ti tiene lo stomaco.
Il metodo: togliere teatro, aggiungere responsabilità
Scoglio non ha mai avuto bisogno di raccontarsi “buono”. Si raccontava vero. La sua idea non era far innamorare: era far reggere. E per far reggere una squadra devi dare compiti chiari, anche quando i tifosi chiedono altro.
Lui la pensa come un uomo di mare: se c’è vento non discuti col vento. Ti metti bene. E vai.
La frase che chiude la leggenda: «Morirò parlando del Genoa»
Poi ci sono le frasi che, in un mondo normale, dovrebbero restare solo frasi. Ma il calcio non è un mondo normale. Scoglio dice: «Morirò parlando del Genoa».
È un’uscita che sembra esagerata, come se volesse vincere il concorso della passione. E invece, anni dopo, quella frase diventa un destino: muore davvero mentre parla del Genoa in una trasmissione a Genova.
Qui il romanticismo non è dolce. È crudo. È l’idea che certe appartenenze non finiscono: ti finiscono.
Chiusura: cosa resta oggi di quel calcio
Oggi si misura tutto: metri, sprint, mappe di calore. Scoglio misurava un’altra cosa: la capacità di reggere il peso della maglia quando la partita diventa cattiva.
Il suo calcio era sudore, calci addosso, qualche pugno invisibile, e una disciplina che sembrava antica già allora.
Forse è per questo che, quando lo nomini, qualcuno sorride come si sorride a un ricordo ruvido: perché quel calcio non “serviva” a essere belli. Serviva a essere veri. E quella verità, ogni tanto, manca come l’aria.