Non correva, pensava. Storia dell’uomo che ha insegnato a Maradona che il calcio non è velocità, ma inganno, e che per essere un Dio, devi prima aver avuto un Maestro
Ricardo Enrique Bochini, il dieci che Diego guardava in silenzio
Bochini in azione e Il baciamano di Diego armando Maradona a "El Bocha" il Maestro
Città del Messico, 25 giugno 1986 Stadio Azteca. Semifinale del Mondiale. L’Argentina sta battendo il Belgio 2-0, due gol di Maradona che sembrano usciti da un fumetto. Mancano pochi minuti alla fine. Carlos Bilardo, il ct ossessivo che non ride mai, decide di fare un cambio. Fuori Jorge Burruchaga, dentro il numero 3. Ricardo Bochini entra in campo. Ha 32 anni, è stempiato, sembra un impiegato del catasto finito lì per caso. Ma appena mette piede sull’erba, succede l'impossibile. Maradona, che in quel momento è il padrone assoluto dell'universo, gli va incontro. Non gli dà il cinque, non gli dice "copri la fascia". Lo guarda negli occhi e gli dice una frase che la letteratura sportiva ha tramandato intatta: «Maestro, la stavo aspettando» In quei cinque minuti finali, Diego cerca Bochini come un bambino cerca il padre. Vuole scambiare la palla con lui. Vuole che il mondo veda che il Re ha un Maestro.
Il Woody Allen del calcio Ricardo Enrique Bochini, detto "El Bocha", è l'antitesi dell'atleta moderno. Basso, gracile, con una postura quasi curva e un'andatura ciondolante. Se lo vedevi camminare per Avellaneda, non gli davi due lire. Ma se gli davi un pallone, ti spiegava la fisica quantistica. Ha giocato tutta la vita, dal 1972 al 1991, con una sola maglia: quella dell'Independiente. Per i "Diablos Rojos" è più di una bandiera, è una divinità domestica. Ha vinto 4 Coppe Libertadores e 2 Intercontinentali. Non aveva bisogno di andare in Europa per sentirsi grande. L'Europa andava a guardare lui, ma senza capirlo fino in fondo.
L'invenzione del "Pase Bochinesco" Bochini non segnava molto, faceva segnare. In Argentina esiste un termine tecnico che si trova nei dizionari del calcio:pase bochinesco. Non è un assist qualunque. È un passaggio rasoterra, verticale, che taglia fuori l'intera linea difensiva avversaria e lascia il compagno solo davanti al portiere. Bochini vedeva corridoi dove gli altri vedevano muri. Il punto di svolta della sua carriera è stato trasformare l'assist in una forma d'arte superiore al gol. Lui godeva nel vedere l'altro segnare grazie a una sua intuizione geometrica.
Tre fotogrammi di un genio immobile
L'incubo della Juventus:Roma, 28 novembre 1973. Finale di Coppa Intercontinentale. La Juve di Zoff e Altafini contro l'Independiente. La partita è bloccata. A dieci minuti dalla fine, Bochini prende palla, chiede un triangolo impossibile a Bertoni e, davanti a Zoff, fa uno "scavetto" morbido. Gol. L'Independiente è campione del mondo. Bochini ha 19 anni e ha appena abbattuto i giganti italiani con la dolcezza.
La lista di Diego:Aprile 2020. Pochi mesi prima di morire, Maradona pubblica su Instagram la lista dei suoi idoli, quelli che lo hanno fatto innamorare del pallone. Non c'è Pelé, non c'è Di Stéfano in cima. C'è Ricardo Bochini. Diego scriveva: «Guardavo lui e capivo come si doveva giocare».
La Pausa:È l'immagine ricorrente di vent'anni di carriera. Tutti corrono a duecento all'ora, il calcio diventa sempre più fisico. Bochini riceve palla e si ferma. Congela il tempo. I difensori frenano, disorientati. In quel secondo di immobilità, lui ha già deciso dove andrà la palla tra tre secondi. È il potere della "Pausa": rallentare il mondo per poterlo dominare.
Correre è da codardi C'è una frase attribuita a lui che spiega tutto:«Correre è da chi non sa giocare». Il metodo Bochini era puramente cerebrale. Mentre il calcio si trasformava in atletismo, lui rivendicava il primato del pensiero. Non saltava l'uomo con la potenza, lo saltava perché sapeva prima dove l'uomo avrebbe messo il piede. Era un giocatore di scacchi prestato a un campo di fango.
Il bacio alla mano Esiste una foto che chiude ogni discussione. Diego è vestito elegante, giacca scura, orecchino di diamante, capelli curati. Bochini ha una polo rossa, semplice, quasi anonima. Sono a un evento pubblico. Maradona tiene il braccio di Bochini e gli bacia la mano. Lo fa con gli occhi chiusi, con una devozione sacra. In quello scatto c'è tutto. C'è il Dio del calcio (Maradona) che riconosce di essere stato creato da un uomo (Bochini). C'è la sottomissione del talento assoluto verso l'intelligenza pura. Diego non si è mai inchinato ai potenti, ai presidenti della FIFA o ai politici. Ma davanti al "Bocha", davanti a quell'uomo che gli aveva insegnato la pausa e l'inganno, Diego sapeva di essere solo un alunno grato.
Cinque minuti per l'eternità Bochini ha giocato un solo scampolo di partita in un Mondiale. Quei famosi cinque minuti contro il Belgio nel 1986. Per le statistiche è quasi nulla. Per la storia è tutto. Perché in quei minuti, l'Argentina ha visto giocare insieme l'allievo diventato Dio (Maradona) e il maestro rimasto umano (Bochini). Quando hanno alzato la Coppa, Bochini si sentiva quasi un intruso. Ma Diego lo andò a cercare per fare il giro di campo insieme. Perché sapeva che senza quel numero 10 lento e geniale dell'Independiente, forse lui non avrebbe mai imparato a pensare il calcio in quel modo.
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