«Amici sportivi in ascolto, qui è Niccolò Carosio che vi parla...»
C’era un tempo in cui il calcio non si vedeva. Si ascoltava. E per ascoltarlo serviva un atto di fede.
Immaginate l’Italia del dopoguerra. Cucine che sanno di minestra e povertà, finestre aperte sui cortili, e al centro della stanza, come un totem sacro, la radio. Le valvole si scaldano, il fruscio statico riempie l’aria, e poi arriva lui. Una voce nasale, elegante, rassicurante come quella di uno zio che ha viaggiato il mondo.
«Amici sportivi in ascolto, qui è Nicolò Carosio che vi parla...»
Non era un saluto. Era un incantesimo. In quel preciso istante, la cucina spariva. Il tavolo di formica diventava la tribuna di San Siro, il corridoio si trasformava nell’area di rigore. Carosio non descriveva la partita: la costruiva mattone su mattone nella testa della gente.
Dovevi fidarti di lui. Se diceva che era gol, era gol. Se diceva che Meazza aveva scartato tre uomini, tu li vedevi cadere uno dopo l’altro, anche se eri seduto su una sedia impagliata a Caltanissetta.
Il rabdomante delle parole
Nicolò Carosio non era un giornalista, era un regista dell'immaginario. Nato a Palermo, figlio di un funzionario di dogana, aveva capito prima di tutti che la radio non trasmette fatti, trasmette emozioni.
Il suo metodo era un equilibrio perfetto tra cronaca e romanzo. Inventava parole che non esistevano perché la realtà non gli bastava: il "quasi gol", per esempio, è una sua invenzione. Un modo per dare dignità al "palo", al tiro che esce di un soffio, all’urlo strozzato in gola.
Era un uomo di un'altra epoca, che andava in postazione con la giacca e la cravatta anche se nessuno poteva vederlo, perché il rispetto per chi ascolta passava anche dall'eleganza invisibile.
1° gennaio 1933: il Big Bang
La data sembra finta, messa lì da uno sceneggiatore pigro. Capodanno del 1933. Bologna. Italia-Germania. È la prima radiocronaca integrale della storia della Nazionale.
Quel giorno succede il miracolo: l'Italia scopre la simultaneità. Fino a quel momento, la partita era un evento locale. Da quel momento, un gol segnato a Bologna viene esultato nello stesso secondo a Napoli e a Torino. Carosio unisce il Paese molto più della politica. È il primo vero social network: un milione di persone collegate allo stesso server vocale, che respirano allo stesso ritmo.
Il destino e la Cresima: il 4 maggio 1949
La vita di Carosio è segnata da due date. Una è una tragedia scampata per un dettaglio prosaico.
Maggio 1949. Il Grande Torino deve volare a Lisbona per l’amichevole con il Benfica. Carosio è la voce ufficiale del Torino, è uno di famiglia. Dovrebbe salire su quell’aereo, il G-212.
Ma c’è un intoppo. Suo figlio deve fare la Cresima. Una cosa piccola, domestica, quasi banale rispetto alla gloria degli Invincibili. Nicolò chiede un permesso, resta a casa. L’aereo parte.
Al ritorno, lo schianto di Superga.
Carosio si salva perché doveva andare in chiesa. Il destino, a volte, ha un senso dell’umorismo nero e crudele. Da quel giorno, la sua voce avrà sempre un velo di malinconia, quella di chi sa che essere vivi è spesso solo una questione di coincidenze.
Messico 1970: il silenzio imposto
L’altra data è una ferita che non si è mai rimarginata. Mondiali in Messico. L’Italia si prepara alla semifinale contro la Germania Ovest, quella che diventerà la "Partita del Secolo". Carosio è lì, pronto a raccontarla.
Ma succede il pasticcio. Durante la partita precedente contro Israele, un guardalinee etiope annulla un gol regolare all'Italia. Si diffonde la voce che Carosio, in diretta, lo abbia insultato con un epiteto razzista ("quel negraccio").
Non è vero. Le registrazioni successive lo scagioneranno: Carosio non lo ha mai detto. Ma la politica si muove, l'ambasciata protesta, la Rai trema. Carosio viene silurato. Sostituito da Nando Martellini.
È la beffa suprema. Il più grande cantore del calcio italiano viene zittito proprio un attimo prima che il calcio italiano scriva la sua pagina più bella (l'Italia-Germania 4-3). Carosio torna a casa umiliato, vittima di una fake news ante litteram. Il narratore esce di scena prima dell'ultimo atto.
Quando arrivò la TV: la voce che accese la luce
Quando la televisione entrò nelle case, molti dissero: "Adesso Carosio è finito. Non serve più immaginare".
Sbagliavano. Carosio capì che il suo ruolo doveva cambiare. Non doveva più dire cosa succedeva, ma perché. Divenne la guida turistica dentro lo schermo. Se la radio era il teatro della mente, la TV era il salotto buono, e lui era il padrone di casa che ti spiegava i dettagli che l'occhio distratto non coglieva.
Ma la magia vera rimase quella della radio. Quella capacità di trasformare un "tiro di Meazza" in un'epopea omerica.
Cosa resta di quel saluto
Oggi abbiamo il 4K, venti telecamere, i dati statistici in sovrimpressione. Vediamo tutto, ma forse sentiamo meno.
Di Nicolò Carosio resta quella formula magica: «Amici italiani in ascolto...».
Resta l'idea romantica e perduta che il calcio non fosse solo un gioco da guardare, ma una storia da ascoltare. Un tempo in cui bastava chiudere gli occhi, affidarsi a una voce gracchiante, e sentire l'odore dell'erba bagnata anche stando seduti in cucina, mentre fuori pioveva e il mondo sembrava un posto un po' più vasto e misterioso di oggi.