Segnò sul confine esatto della fine, non oltre. Il dandy italo-argentino che diede il cognome all’ultimo respiro, in un tempo in cui il "recupero" non esisteva
La Zona Cesarini nasce prima della Zona Cesarini: il 90° minuto di Renato che inventò l’eternità
Torino, 13 dicembre 1931, la nebbia e il fango C’è stato un tempo in cui il calcio non aveva la coda. Non c’erano le lavagne luminose con scritto "+5", non c’era il VAR che allungava le partite fino a notte fonda. C’era il novantesimo. E il novantesimo era un muro di cemento: ci sbattevi contro e la partita finiva. Torino, stadio Filadelfia. Fa freddo, quel freddo umido piemontese che ti entra nelle ossa. L’Italia di Vittorio Pozzo gioca contro l’Ungheria. Non è una partita qualunque: gli ungheresi sono maestri, palleggiano, incantano. Il tabellone dice 2-2. La gente sugli spalti si sta già alzando, si stringe nei cappotti, accetta il pareggio come un verdetto onesto. L’arbitro sta portando il fischietto alla bocca. In quel preciso istante, mentre il sipario sta calando, un uomo decide di non essere d’accordo. Renato Cesarini riceve palla, finta, tira. Gol. Il cronometro segna il 90° spaccato. Non un secondo in più, non un secondo in meno. In quel momento non nasce solo una vittoria (3-2). Nasce un concetto filosofico. Nasce l’idea che il destino si possa fregare un attimo prima che chiuda la porta.
Il Tanguero con la brillantina Renato Cesarini non era il tipo che ti aspetti risolva una partita con la disciplina. Era l'opposto. Nato a Senigallia ma cresciuto a Buenos Aires, era unporteñonell'anima. Amava il tango, la brillantina, i locali notturni e lo champagne. Alla Juventus, se lo volevano trovare la sera, non dovevano cercarlo a letto presto, ma nei dancing. Aveva la faccia da schiaffi di chi vive la vita come un passo di danza. In campo era geniale e irritante, tecnico e svogliato. Ma aveva quella dote che hanno solo i predestinati: il senso del tempo. Sapeva che per entrare nella leggenda non serve correre per novanta minuti, basta farsi trovare pronti nell'unico secondo che conta davvero.
Una parola rubata alle carte La domenica successiva, il giornalista Eugenio Danese cerca un modo per descrivere quel gol assurdo, arrivato quando ormai i linotipisti avevano già chiuso i pezzi. Danese è un uomo di cultura, gioca a Bridge. Nel Bridge, la "zona" è una fase delicata e pericolosa della partita. Così, unisce le due cose. Quelli non sono gli ultimi minuti. Quella è la "Zona Cesarini". L'espressione è talmente potente che scappa via dalle pagine sportive. Entra nei bar, negli uffici, nelle scuole. Arrivare "in zona Cesarini" diventa il modo italiano per dire "appena in tempo", "sul filo di lana", "salvato dalla campanella". Un calciatore bizzarro e incostante diventa, per paradosso, sinonimo di puntualità estrema.
La sequenza perfetta:Quel 13 dicembre la partita è un’altalena. Italia avanti, Ungheria sorpassa, Italia pareggia. Il 2-2 sembra scolpito nella pietra. Il gol di Cesarini non è solo tecnico, è psicologico. È il gol che dice: "Non è finita finché non lo dico io".
Il 90° non è il 95°:Qui sta il segreto che oggi non capiamo più. Il gol di Cesarini arriva al 90° esatto. Oggi, un gol al 90° è un gol "normale", perché sappiamo che ci saranno 5, 7, 10 minuti di recupero. All'epoca no. Segnare al 90° significava segnare mentre il boia stava già abbassando la scure. Era un atto di ribellione contro la fine.
Il Dandy che rideva:Si racconta che Cesarini, mentre gli altri si dannavano l'anima per schemi e tattiche, giocasse con un sorriso sornione. Quel gol all'Ungheria è la sua firma: non un gol di potenza o di fatica, ma un gol di astuzia. Un colpo di teatro recitato mentre il pubblico stava già uscendo dalla sala.
Perché oggi non la chiamiamo più così Ammettiamolo: la "Zona Cesarini" sta morendo. I telecronisti moderni dicono "nel recupero", "nell'extra-time", "nel garbage time". I ragazzi non sanno chi sia quel Renato con la riga in mezzo ai capelli. Ma c'è di più. Il calcio moderno ha dilatato il tempo. Le partite durano 100 minuti. Quel senso diurgenzaassoluta, quella ghigliottina del 90° minuto, non esiste più. Abbiamo perso la poesia del limite invalicabile. Oggi hai sempre una seconda possibilità, un minuto in più, una revisione al monitor. Cesarini no. Lui aveva un solo colpo in canna, e doveva spararlo prima che il tempo morisse.
L'orologio rotto Se passate per i vecchi archivi o guardate le foto color seppia, vedrete Cesarini con quella faccia da chi la sa lunga. Non ha vinto quanto Pelé o Maradona, ma ha fatto qualcosa di più difficile: ha dato il suo nome a un pezzetto di tempo. E ogni volta che nella vita riusciamo a prendere un treno al volo mentre le porte si chiudono, o a consegnare un lavoro un secondo prima della scadenza, stiamo tutti, inconsapevolmente, giocando ancora in quella nebbiosa domenica di Torino del 1931. Siamo tutti ospiti nel tempo di Renato.
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