Parigi, 18 dicembre 1956 È una sera d'inverno a Parigi. Nella redazione diFrance Footballhanno avuto un'idea: premiare il miglior calciatore d'Europa. Hanno chiamato i giornalisti, hanno raccolto i voti. Sulla carta, il favorito è Alfredo Di Stéfano, la "Saeta Rubia", il motore onnipotente del Real Madrid che sta dominando il continente. Oppure Raymond Kopa, il genio francese. Invece, quando aprono le buste, esce un nome che sa di pioggia inglese e di tè delle cinque. Stanley Matthews. Ha 41 anni. Gioca nel Blackpool, una squadra che ha la maglia color mandarino e lo stadio vicino al mare. Vince per tre voti su Di Stéfano (47 a 44). Non è un premio alla carriera, anche se sembra. È la certificazione di un miracolo. Il primo Pallone d'Oro della storia non va al più forte o al più vincente. Va all'uomo che ha sconfitto il tempo.
Il Mago del Dribbling Stanley Matthews non era un atleta, era un'ossessione vivente. Nato a Stoke-on-Trent nel 1915, figlio di un barbiere che era stato pugile, impara presto che il corpo è un tempio. Mentre i suoi colleghi fumano negli spogliatoi e bevono birra scura nei pub, lui è vegetariano (negli anni '30!), beve succhi di carota, fa digiuni settimanali. Si allena correndo sulla spiaggia di Blackpool con scarpe piombate per sentire le gambe più leggere in partita. In campo è un'ala destra classica. Il suo soprannome èThe Wizard of Dribble. La sua giocata è sempre la stessa, da trent'anni: finta di corpo a sinistra, tocco d'esterno a destra, scatto bruciante. I difensori sanno che lo farà. Ma quando lo fa, loro sono già per terra.
La finale che porta il suo nome C'è una partita che definisce la sua leggenda. 2 maggio 1953. Finale di FA Cup a Wembley. Blackpool contro Bolton. È la finale più famosa della storia inglese. Stan Mortensen, centravanti del Blackpool, segna tre gol. Una tripletta in finale. Dovrebbe essere la "Finale di Mortensen". Invece, quella partita è passata alla storia comeThe Matthews Final. Perché? Perché il Blackpool perdeva 3-1. E perché Matthews, a 38 anni, decide di prendere la partita per il collo. Sulla fascia destra fa impazzire la difesa del Bolton. I suoi cross sono baci sulla fronte dei compagni. Al 92', dopo aver propiziato la rimonta, mette il pallone della vittoria per Perry. Finisce 4-3. Mortensen ha fatto i gol, ma Matthews ha fatto la magia. Alla fine, lo portano in trionfo sulle spalle. Anche gli avversari applaudono.
Tre fotogrammi di un gentleman d'acciaio
L'uomo che non si sporcava:C'è una statistica che oggi sembra fantascienza. In 33 anni di carriera professionistica (dal 1932 al 1965), Stanley Matthews non è mai stato ammonito. Mai espulso. Non perché fosse morbido. I terzini dell'epoca erano fabbri che picchiavano per far male. Ma lui non reagiva. Si rialzava, si puliva i pantaloncini, e alla azione successiva li saltava di nuovo. La sua vendetta era il dribbling.
Il Sir con gli scarpini:1° gennaio 1965. La Regina Elisabetta lo nominaKnight Bachelor. Diventa "Sir". La cosa straordinaria è che è ancora un giocatore in attività. È l'unico calciatore ad essere stato nominato cavaliere mentre ancora calcava i campi della prima divisione. Un nobile vero, in mezzo al fango.
L'addio a 50 anni:Gioca la sua ultima partita ufficiale nella massima serie inglese il 6 febbraio 1965. Ha 50 anni e 5 giorni. Gioca nello Stoke City, dove aveva iniziato. Chiude un cerchio perfetto. Quando esce dal campo, il calcio sa che non vedrà mai più nulla del genere.
La leggerezza come arma Il segreto di Matthews non era la potenza. Era l'equilibrio. In un'epoca di palloni di cuoio che pesavano come macigni quando pioveva, lui danzava. Il suo metodo era la cura maniacale del dettaglio. Si faceva fare scarpe su misura, leggerissime, che curava come gioielli. Arrivava al campo prima di tutti. Non urlava mai. Ha insegnato al mondo che si può vincere senza fare rumore. Che l'eleganza è una forma di resistenza.
Il primo e l'ultimo Stanley Matthews è morto nel 2000, a 85 anni. Le sue ceneri sono sepolte sotto il cerchio di centrocampo del Britannia Stadium di Stoke. Resta un paradosso vivente: è stato il primo Pallone d'Oro, ma rappresenta un calcio che non esiste più. Un calcio dove un'ala destra poteva diventare il Re d'Europa giocando nel Blackpool, mangiando verdure e trattando il pallone con la delicatezza di chi sta accarezzando un gatto, non prendendo a calci un nemico. Quando guardiamo Messi o Ronaldo vincere il loro ennesimo trofeo, ricordiamoci che la strada l'ha aperta lui. Un signore di 41 anni che correva sulla fascia e che, semplicemente, si rifiutava di invecchiare.
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