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25 Dicembre 2025
Tra il profumo di tacchini in forno e il rumore dei pacchi strappati, un tempo in Inghilterra si sentiva anche un altro suono: il fruscio dei cappotti sulle gradinate, seguito dal boato delle reti che si gonfiavano. La mattina di Natale era, per generazioni di tifosi, un appuntamento con la propria squadra del cuore: un derby a due passi da casa, la sciarpa infilata sul cappotto, una stretta di mano al vicino di seggiolino prima del calcio d’inizio. Oggi quel rito è scomparso quasi del tutto, al punto che l’ultima gara di Football League giocata il 25 dicembre risale a Blackpool-Blackburn Rovers 4-2 del 1965, a Bloomfield Road. La sua scomparsa non è il frutto di una sola causa, ma l’effetto di una trasformazione sociale: televisione, nuove abitudini familiari, trasporti e lavoro festivo hanno riscritto il calendario emotivo del calcio inglese. Eppure, in alcune pieghe del Regno Unito, quel Natale pallonaro ha lasciato scintille che ancora brillano.
Il calcio natalizio nasce nella Gran Bretagna vittoriana. Dalla stagione 1889-90 in avanti, la Football League comincia a riempire il 25 dicembre di partite, spesso “accoppiate” al Boxing Day del 26 dicembre: si giocava contro il vicino di casa il giorno di Natale e si restituiva la visita il giorno dopo. Il perché è semplice e insieme rivelatore: il Natale era una delle poche giornate libere per la classe operaia; i club organizzavano derby di prossimità per ridurre viaggi lunghi, e gli stadi diventavano il grande salotto pubblico dell’inverno britannico. Con le doppie sfide 25-26, non mancavano i punteggi “al contrario” nel giro di 24 ore, quasi a testimoniare quanto contassero contesto, campo gelato e… la cena di famiglia.
Il 25 dicembre 1965 è una data scolpita nella memoria del calcio inglese: Blackpool batte Blackburn Rovers 4-2 davanti a 20.851 spettatori. Segnano, tra gli altri, Neil Turner, Bobby Waddell, Ray Charnley e un giovanissimo Alan Ball; per i Rovers, a referto George Jones e Mike England. È l’ultimo incontro della Football League giocato il giorno di Natale: da lì in poi, quella pagina si chiude. Nella nebbia salmastra della costa del Lancashire, si spense una tradizione cominciata nella Regina Vittoria e arrivata fino ai Sixties.
La fine del calcio a Natale non fu un editto improvviso ma un lento logoramento. Tre fattori, più di altri, piegarono la bilancia.
A questi elementi si aggiunsero effetti collaterali: l’avvento dei floodlights consentiva sempre più gare serali in settimana, diluendo la necessità di “stipare” incontri nelle feste; inoltre, gli stessi calciatori e gli staff iniziarono a rivendicare il Natale come tempo di famiglia.
Se in Inghilterra l’ultima gara natalizia “di lega” è del 1965, in Scozia il tramonto arrivò più tardi: il 25 dicembre 1976 si giocarono ancora St Mirren-Clydebank 2-2 e Alloa-Cowdenbeath 2-1. Fu l’ultima eco di un’abitudine che al nord aveva resistito un po’ di più, complice una tradizione locale ostinata e calendari meno influenzati dalla TV nazionale. Da allora, la SPFL ha reversato tutto sul Boxing Day.
Una scheggia di quel passato sopravvive in Irlanda del Nord con la Steel & Sons Cup, competizione intermedia della County Antrim & District FA la cui finale si disputa tradizionalmente il 25 dicembre, allo stadio Seaview di Belfast, con calcio d’inizio la mattina. Negli ultimi anni hanno festeggiato, tra le altre, Newington (2021), Comber Rec (2023) e Derriaghy CC (2024). È un calcio “di comunità” che restituisce alla città lo spirito delle antiche mattinate natalizie: un cappello di lana, un caffè bollente, la stretta di mano tra vicini di quartiere.
Anche quando il 25 dicembre scomparve, il Boxing Day restò l’epicentro emotivo dell’inverno calcistico inglese. Il 26 dicembre 1963 dieci gare della First Division produssero 66 gol: Fulham-Ipswich 10-1, Blackburn 8-2 a West Ham, Liverpool 6-1 sullo Stoke, Burnley 6-1 su Manchester United. Due giorni dopo, molte sfide si ribaltarono clamorosamente nei “ritorni” a campi invertiti, a dimostrazione che freddo, campi vischiosi e ritmi festivi scompaginavano gerarchie e tattiche. Quel record resta una cartolina della stagione d’oro del Boxing Day.
Dal discorso reale alla commedia natalizia fino al big-match in differita, il Natale britannico ha trovato nella TV il suo termometro. Tra anni ’50 e ’60, la curva dell’adozione televisiva sale come una rampa: più TV vuol dire più intrattenimento domestico, abitudine che ha finito per spingere il calcio dallo stadio al salotto proprio il 25 dicembre. Oggi i palinsesti festivi restano una calamita culturale (basti pensare ai picchi del 2022 con il messaggio di Re Carlo), benché il pubblico si distribuisca tra live, on demand e piattaforme. Il risultato, in termini calcistici, è chiaro: il grande giorno è di solito “senza partite”, mentre il menù si concentra dal 26 in poi.
Nel Regno Unito il 25 dicembre è la giornata col minor tasso di servizi pubblici: treni fermi, metropolitane chiuse, linee urbane sospese. A Londra, la TfL ribadisce ogni anno che il Natale è giornata di stop quasi totale, con ripresa solo parziale al Boxing Day. Questo ha un impatto enorme: per organizzare una partita servono forze dell’ordine, steward, autisti, personale sanitario, e serve che i tifosi possano arrivare e tornare a casa. Se i mezzi non ci sono, l’evento diventa un costo sociale difficilmente giustificabile. È anche per questo che, tra anni ’60 e ’70, il consenso verso le partite del 25 dicembre è evaporato.
Ogni tradizione perduta fa gola a chi sogna il revival. Nel 1983 il Brentford provò a fissare una partita la mattina di Natale contro il Wimbledon: il piano scatenò proteste, anche per una campagna pubblicitaria infelice; la gara fu spostata alla Vigilia e finì 4-3 per i Dons. Più di recente, il dibattito si è spostato sulla Vigilia di Natale: nel 2023 la Premier League ha riportato una gara il 24 dicembre (Wolves-Chelsea), scelta criticata dalle associazioni di tifosi per motivi logistici e familiari. Proprio quella polemica ha ricordato al sistema quanto sia delicato manipolare il calendario nelle ore “sacre” delle feste.
Nell’era di calendari saturi, dei diritti TV pluripiattaforma e delle coppe europee “espanse”, anche il Boxing Day ha conosciuto flessioni o spezzatini dettati dai broadcaster e dagli impegni internazionali. Nel 2025, ad esempio, si è discusso di una programmazione ridotta in Premier League, con l’invito implicito a scendere di categoria per gustarsi il calcio “di provincia” durante le feste. Non è un addio al romanticismo: è la conseguenza di un sistema che negozia continuamente tra spettacolo, logistica, lavoro festivo e sicurezza.
Tecnicamente, nulla lo vieterebbe in assoluto. Ma i costi sociali supererebbero i benefici. Con i trasporti pubblici quasi fermi il 25 dicembre, si scaricherebbero sui privati (auto, taxi) oneri e tariffe tipiche delle festività; la polizia e i servizi sanitari dovrebbero garantire turni in un giorno tradizionalmente “off”; la TV non avrebbe difficoltà a riempire il palinsesto senza lo stadio, mentre le famiglie hanno consolidato altre liturgie. Se si vuole salvare un Natale di pallone dal sapore antico, l’indirizzo resta quello dell’Irlanda del Nord: una finale mattutina in un impianto cittadino, pubblico locale, rientro a casa entro il pranzo. È un modello comunitario, più che nazionale.
Il calcio di Natale non è una nota di colore: è un pezzo di storia sociale britannica. Racconta la classe operaia che si prendeva lo stadio nel suo unico giorno di pausa; parla di quartieri e rivali di sempre divisi da pochi isolati; fotografa il passaggio dall’agorà pubblica allo spazio domestico della TV. E fa capire perché il Boxing Day sia ancora oggi un rito, sebbene modulato dalle esigenze del presente. Il 25 dicembre appartiene ormai alla tavola, al divano, ai palinsesti; il 26 è il giorno in cui l’Inghilterra calcistica si rialza in piedi e torna allo stadio, tra cappelli di lana e sciarpe annodate.
Nel racconto popolare, Natale 1914 vide anche calci dati a un pallone tra soldati britannici e tedeschi nella Terra di Nessuno. Gli storici concordano: ci furono fraternizzazioni, scambi di doni, e in alcuni settori del fronte brevi “kickabout”; più difficile provare l’esistenza di partite organizzate con regole e squadre compiute. Resta però la forza simbolica di quell’immagine: il calcio come lingua comune capace di scalfire, per un giorno, l’odio.
Il 25 dicembre e il calcio hanno divorziato quando la società britannica ha cambiato pelle. Non è nostalgia sterile riconoscere che quella tradizione fu un laboratorio di comunità, vicinanza, ritualità laica. Oggi quel patrimonio vive nella festa del Boxing Day, nei tornei che resistono la mattina di Natale in Irlanda del Nord, nelle storie che spieghiamo ai più giovani quando leggono di Blackpool-Blackburn 4-2 e ci chiedono perché, un tempo, il pallone rotolasse tra i fiocchi il 25 dicembre. La risposta è che il calcio, come le feste, è fatto di riti: alcuni finiscono, altri restano, altri ancora si trasformano. Ma tutti raccontano chi siamo stati.